Andrea Zanzotto è nato a Pieve di Soligo (Treviso) nel 1921 ed è morto a Conegliano Veneto nel 2011. Laureato in lettere a Padova nel 1942, e a lungo insegnante, non si è mai allontanato dal suo altopiano e non ha mai ripudiato il suo dialetto veneto delle prime prealpi, quel "petèl" in cui ha composto numerose poesie e che conviveva con l’italiano, in una cultura di ampi orizzonti europei. Le sue opere di poesia sono: Dietro il paesaggio (1951); Elegia e altri versi (1954); Vocativo (1957, 2a ed. ampliata 1981); IX Ecloghe (1962); La Beltà (1968); Gli sguardi, i fatti e senhal (1969, poi 1990); A che valse? Versi 1938-1942 (1970); Pasque (1973); Filò (1976, poi 1988 e 2013); II Galateo in bosco (prefazione di G. Contini,1978); Fosfeni (1983); Idioma(1986); Meteo (1996); Ligonàs (1998); Poesie e prose scelte ("Meridiani",1999); Sovrimpressioni (2001); Conglomerati (2009); Tutte le poesie (2011). La sua prosa narrativa e critica è raccolta in Racconti e prose (introduzione di C. Segre, 1990, poi1995); Fantasie di avvicinamento. Le letture di un poeta (1991); Aure e disincanti del Novecento letterario (1994); Europa melograno di lingue (1995); Scritti sulla letteratura (2 voll., 2001).
POESIE
da DIETRO IL PAESAGGIO
Elegia Pasquale
Pasqua
ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore
disperato,
dov'è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga
profezia?
Dagli orti di marmo
ecco l'agnello flagellato
a
brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua
ventosa che i mali fa più acuti
E se è vero che oppresso mi
composero
a questo tempo vuoto
per l'esaltazione del domani,
ho
tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste
pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho
consumato purissimo pane
Discrete febbri screpolano la luce
di
tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell'odio;
è
mia questa inquieta
gerusalemme di residue nevi,
il belletto
s'accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi
uccelli covarono
colori d'uova e di rosei regali,
e il cielo e
il mondo è l'indegno sacrario
dei propri lievi
silenzi.
Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra
le bocche
non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono
immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.
da
VOCATIVO
Esistere psichicamente
Da
questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti
e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili
di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo
attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto
questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro
spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed
è tutto ciò ch'io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si
vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i
bruciori d'inferno
degli atomi e il conato
torbido d'alghe e
vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e
amori.
da IX ECLOGHE
Così siamo
Dicevano,
a Padova, "anch'io"
gli amici "l'ho conosciuto".
E
c'era il romorio d'un'acqua sporca
prossima, e d'una sporca
fabbrica:
stupende nel silenzio.
Perché era notte.
"Anch'io
l'ho conosciuto".
Vitalmente ho pensato
a
te che ora
non sei né soggetto né oggetto
né lingua usuale
né gergo
né quiete né movimento
neppure il né che negava
e
che per quanto s'affondino
gli occhi miei dentro la sua cruna
mai
ti nega abbastanza
E così sia: ma io
credo con
altrettanta
forza in tutto il mio nulla,
perciò non ti ho
perduto
o, più ti perdo e più ti perdi,
più mi sei simile,
più m'avvicini.
L'attimo
fuggente
Ancora
qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri
nell'incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo
alte selve m'affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria
irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di
ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E. E, puro vento, sola neve,
ch'io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a
sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio
v'ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre
l'immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami.
E.
È questo il sospiro che discrimina
che culmina, "l'attimo
fuggente".
È questo il crisma nel cui odore io dico:
sì,
mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte
dell'anno.
Notificazione di presenza sui Colli Euganei
Se la
fede, la calma d'uno sguardo
come un nimbo, se spazi di serene
ore
domando, mentre qui m'attardo
sul crinale che i passi miei
sostiene,
se deprecando vado le catene
e il sortilegio
annoso e il filtro e il dardo
onde per entro le più occulte
vene
in opposti tormenti agghiaccio et ardo,
i vostri
intimi fuochi e l'acque folli
di fervori e di geli avviso, o
colli
in sí gran parte specchi a me conformi.
Ah, domata
qual voi l'agra natura,
pari alla vostra il ciel mi dia ventura
e
in armonie pur io possa compormi.
da LA BELTÀ
Al mondo
Mondo,
sii, e buono;
esisti
buonamente,
fa'
che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed
ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non
meno che ogni esclusione;
su
bravo, esisti,
non
accartocciarti in te stesso in me stesso.
Io
pensavo che il mondo così concepito
con
questo super-cadere super-morire
il
mondo così fatturato
fosse
soltanto un io male sbozzolato
fossi
io indigesto male fantasticante
male
fantasticato mal pagato
e
non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un
po' più in là, da lato, da lato.
Fa'
di (ex-de-ob etc.)-sistere
e
oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi
qualche chance,
fa'
buonamente un po';
il
congegno abbia gioco.
Su,
bello, su.
Su,
munchhausen.
Da GALATEO IN BOSCO
Sonetto di sterpi e limiti
Sguiscio gentil che fra
mezzo erbe
serpi,
difficil guizzo che enigma orienta
che nulla enigma
orienta, e pur spaventa
il cor che in serpi vede, mutar
sterpi;
nausea, che da una debil quiete scerpi
me nel vacuo
onde ogni erba qui s'imprenta,
però che in vie e vie di serpi
annienta
luci ed arbusti, in sfrigolio di serpi;
e tu mia
mente, o permanere, al limite
del furbo orrido incavo incastro
rischio,
o tu che a rischi e a limiti ti limi:
e non posso
mai far che non m'immischio,
nervi occhi orecchi al soprassalto
primi
se da ombre e agguati vien di serpe il fischio.
da SOVRIMPRESSIONI
Postremi luoghi del Galateo in bosco
Quanta
altezza ha raggiunto il silenzio
come
per torridi fiati posati lungo ere
sui
vaneggiamenti semivisibili di dossi e brughiere
in
cui vaneggiai le storie infinite dei sangui
che
di là stillarono fino ai rivi
più
infimi delle mie menti dolenti
in
un qui, futile-orrido qui
Quanto
colmo è stato quell'indietreggiare nell'eterno
dopo
vacue vittorie/sconfitte
quanto
il deprivarsi l'addensarsi
d'una
sorda sostanza tra crude fitte
nei
qua-o-là percepiti da un'alba
chimicamente
incerta, forse fatta di soda da lisciva,
sciva
diluente
eppure
abbagliante per un suo proprio fuori-occhio-lente
Silenzio
a strati e strami
sul
bosco lontano, ahi lontano in ogni direzione
via
via vaporato da particolarità
uniche
di abbandoni, di persistenze, umili -
non
quiete, non-stasi, non-necessità, non nimbo
trash
di presenza e d'immanenza
Non
emanar più silenzio a tratti a scatti acceso
acceso
malvolentieri al sublime
talvolta
nauseasimile per colaticci di rime
non
emanare, voce, non intimare sparendo
non
dislocarti entro un proibito essere non proibirmi di essere
BOSCO
MONTELLO FICTIO
mentre
si mutano segnaletiche
ed
etiche di operazioni e disperazioni
ormai
fuori portata di furti umani
succhiate
in altre risacche, in altri cloni
Luna
Starter di feste bimillenarie -
21-
22 dicembre 1999 -
Fotomodella
d'altissimo rango
in piena forma sembri questa sera,
pur
sempre amica Luna,
non si direbbe granché dilatata
dentro il
gran sottozero
che rende ogni belletto menzonegro.
Ma di certo
un lievissimo cachino
ti sfugge mentre adocchi sulla
Terra
formicolar la gente assatanata:
perché ben sai
che
gran parte del senno umano ormai
nel tuo mirabil tondo è
congelata.
Invano striglia Astolfo l'ippogrifo
ed il carro
d'Elia s'appresta invano.
Al mondo per le sue presenti mete,
non
serve il senno, basterà la rete.