Giorgio
Vigolo è nato nel 1894 a Roma, dove è vissuto e morto
nel 1983. È del 1913 il
suo primo
poemetto in prosa: Ecce
ego
adducam aquas, sulla rivista “Lirica” diretta
da Arturo Onofri, e del 1923 il
suo primo libro di poesie, La
città dell'anima. Tra le sue opere più importanti le raccolte
poetiche Canto del
destino (1959) e La luce ricorda (1967, Premio Viareggio) e
quella di
racconti Le notti
romane (1960,
Premio Bagutta). Il meglio
della produzione in versi è raccolta in
Poesie scelte
(a cura di M. Ariani,
1976). Ha collaborato alla “Voce” di Giuseppe
De Roberrtis, a “L’Italia letteraria”, a “Circoli” e “Letteratura”.
Ha curato
la prima antologiadei Sonetti del Belli, anticipo della
memorabile
edizione critica del 1952. È stato critico musicale per le riviste “Epoca”, “Risorgimento
Liberale”, “Il Mondo”. Nel 1982 ha pubblicato il
suo unico romanzo La
Virgilia:
un racconto lungo, o poema in prosa, scritto a 27 anni.
Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Vigolo
Web
http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-vigolo/
POESIE
da
Canto fermo
Stazione
In
sere d'eterno
diluvio m'è grato rifugio
la cupola interna
della stazione; e mi basta
sentire l'odore di zolfo
del fumo dei treni
perché subito si sfreni
la mia fantasia sedentaria
e via se ne fugga
fuor della scura tettoia
cercando nel buio dei prati
la gioia dell'erba nera
che
succhia la pioggia.
Cammino su e giù per l'asfalto
di questa gran piazza coperta
che simula un vuoto mercato
o una cattedrale smessa.
I greci avevano il portico candido,
ma a noi meglio si conviene
questo fumoso chiesone
sconsacrato, ridotto a stazione.
Chiaror di lampi celebra
sotto l'arco di ferro
il puro altare delle montuose nevi.
Diluvio
Mi
coglie lo
scroscio dirotto
a
mezzogiorno
sul ponte:
dintorno
la
città -chiese e palazzi-
si
scioglie in
fumo e non si vede più.
Anche
quell'ultima
cupola è sparita.
Rimasto
solo è
il ponte,
tagliato
dalle
sponde,
sospeso
in alto
in alto fra le nuvole
con
le sue
statue d'angeli grondanti.
Ma
mentre la
città mi si cancella
nel
fumante
diluvio
dentro
la nube
uno spiraglio ride
verso
uno sfondo
di monti sereni:
e
dietro un
vetro limpido e sottile
l'ultima
pioggia
un praticello splende
avvicinato
in
quell' umida lente.
Fuori
di porta è
già tornato il sole.
da
Linea della vita
Occidente
Al
fuoco d'occidente
popolosa
declina
la
via di festa;
e filtra
a
quel raggio d'ebrezza
la
folla che già
fonde
in
amorosa
amalgama di membra.
A
fiotti a
fiotti il florido
fiume
di carne
scende;
si
rigonfia sul
ciglio
dell'alta
rampa,
poi rovescia ombroso
e
franto in ime
gole
di
tetri rioni e
di chiese.
Mura
Mura
ch'io vidi
in un sogno d'infanzia
cadermi
addosso
a strapiombi di torri,
a
blocchi d'ocra
fulva e di tufo
sulla
silenziosa
via del sonno,
vi
ritrovo,
passati tanti anni,
lungo
la stessa
strada sonnolenta,
altissime
mura
deserte di voci;
tremano
al cielo
pochi fili d'erba.
Per
miglia e
miglia un sentiero solingo
circonda
le
altissime mura di sonno:
immobile
il sole
vi batte sul giallo
e
ferma è l'ora
in un colore eterno.
Salmo
O
miei piovosi
inverni,
umidità
delle
mie strade antiche,
e
voi, chiese
grondanti,
cimiteri
dentro
le nuvole,
solo
a sera una
fiamma
d'aperto
cielo
accende
il
sanguigno
mattone dei ruderi,
solitario
sui
prati spenti.
Mia
vita, anche
tu attendi
sui
tuoi colori
muti
il
salmo dell'ora
serale.
La
morte ci scioglie...
Guardavo
le
foglie
che
il vento
stacca dai rami
e
via le
trascina nei turbini
della
pioggia e
le macera e le stritola
fino
a mutarle
quasi
nel
suo sibilo,
nel suo grido stesso.
Allora
m'è
venuto il pensiero
della
morte che
noi pure ci stacca
così
dal tronco
della terra nero,
quando
vecchiaia
o fuoco
di
febbri han
consumato
la
nostra foglia
umana.
Un
soffio appena
più forte
il
tremulo gambo
recide:
e
saremo così
trascinati
dalla
pioggia,
mischiati
a
nuvole d'
altre foglie.
La
morte ci
scioglie
nelle
grida del
vento.
Eppure
chissà
che senso
di
felicità
originaria
si
proverà in
quel momento,
quando
le nostre
corde
strappate
dalla
morte renderanno
un
accento
supremo
all'
unisono con
l' accordo
maggiore
dell'
universo.
Forse
l'estrema
gioia
inutilmente
inseguita
per
tutta la
vita,
è
quella che ci
folgora al momento
di
morire, nel
grande mutamento.
Trasognato
e felice
Trasognato
e
felice
per
viucole
antiche,
vagavo
sotto un
cielo
vicino
alla
pioggia. Leggero
ai
passi m'era
il suolo
e
vaniva la via
sotto il piede
come
un fiume di
nuvole;
tanto
mite
scendeva
a
specchio dei
selciati
la
dolce ora di
sera fra le brune
case,
e anche le
persone ferme
nel
vano buio
delle porte avevano
non
so quale
perlata ombra sui volti.
Via
Monserrato,
via del Pellegrino,
Campo
dei Fiori
mi si aprì di gialli
meloni
acceso e
cocomeri rossi
nel
grigio della
sera senza lumi,
fin
quando prese
a cadere
una
pioggia
tiepida, lieve,
e
le strade si
fecero nere.
Gli
schiavi
Come
schiavi
perduti
in
crollate
miniere,
i
ricordi del
cuore
scavano
incontro
alle speranze prime
che
la vita
lasciò dietro ai suoi mali;
disperati
richiami
battono
al buio
e ascoltano se alcuno
risponda
di
lontano.
Talora
un tocco
lievissimo s'ode
come
vibrato da
un martello d' oro
e
la montagna
giubila a quel suono
alleggerita
e
pura;
ma
subito il
silenzio si rimura
sui
paurosi
giorni
orfani
d' ogni
voce.
le
mie speranze
sono ormai cadute
dall'
altra
parte della vita...
Fine
di un giorno
Sono
belle le
sere
quando
la luce
scende di colore
e
dall'oro e dal
viola
s'
immerge nel
turchino.
Ma
questa grigia
fine
di
giorno sotto
il cenere d'agosto
ha
il pallore
che scava il viso umano
un
istante dopo
la morte.
Dentro
il cielo
spettrale
i
cipressi s'infiggono
più neri
e
più livido
sotto le loro ali
si
rizza il
travertino
della
chiesa che
altissima trasale
con
un sobbalzo
d'ossa
gridato
con un
urlo senza voce
come
quando nei
sogni
si
vorrebbe
chiamare e non si può.