La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Rodolfo Vettorello


 

Rodolfo Vettorello è nato a Castelbaldo (Padova) nel 1937, si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano e in seguito ha conseguito il diploma ISAD di Architettura Navale. Vive a Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesia: “In punta di piedi” (Bastogi, 2007), “Canzoniere veneziano” (Calogero Vitale, 2008), “Come sull’acqua” (plaquette, Dialogo Libri, 2008), “Io so volare” (Carta e Penna, 2009), “Al fondo della scena” (GDS, 2009), “Siamo come sassi” (Leonida, 2010), “L’ipotesi che siamo (Ibiskos, 2010), “Piaghe d’amore” (Leonida, 2010), Arcobaleni” (Il Golfo, 2010), Voglio parlarti adagio”  (Leonida, 2011), Discorso sul metodo” (Helicon, 2011), Contro il tempo, il tempo contro” (Carta e Penna, 2012), “In ripetuti soffi” (Premio Rhegium Julii. 2012), “Non so restare e non so andare via” (LuoghInteriori, 2013), “Elogio dell’imperfezione” (LuoghInteriori, 2014), “La geometria perfetta dei solstizi (Ibiskos-Ulivieri, 2014), “Le fragili  imperfette geometrie” (Leonida, 2014), “Tu la farfalla variopinta ed io...” (Tapirulan, 2015), “Candele nel vento” (Sena Nova, 2015), “La perfetta armonia degli indugi” (Helicon, 2016), “L’intesa è un tessuto che smaglia” (Golden Press, 2017), "Spesso il mal di vivere ho incontrato" (Leonida, 2018); di narrativa: i racconti “Cose di donne” (2008) e il romanzo “Al tempo delle lucciole” (2012).

 

www.rodolfovettorello.weebly.com

 

rodolfovettorello@yahoo.it

 

 

POESIE

 

 

da L’IPOTESI CHE SIAMO

 

 

L’ipotesi che siamo

 

Si può, lo so, si può provare a fare

di questo spazio minimo nel mondo

il nostro paradiso,

come la stanza piccola in cui vivo,

dove raccolgo

cimeli vari, sfilacciati brani

di quel tappeto magico che impiego

per visitare i luoghi del mio sogno,

paradisi di ciottoli raccolti

in ogni luogo,

la traccia sottilissima che inseguo

sul mio sentiero.

Le foto in seppia, a volte un po’ sbiadite,

di visi sconosciuti ed il profumo

d’un passato perduto,

come il piccolo mazzo di violette

legate con un nastro di velluto.

Si può, lo so,

si può non interrompere il discorso

con quello che rimane del ricordo.

Si può parlare con continuità,

tenere aperto il dialogo col mondo

e con se stessi.

Offrirsi una parola di conforto

ogni mattina all’ora del risveglio

per amare di noi quello che adesso

è come allora:

                       il nostro paradiso,

l’ipotesi che siamo,

                               il cielo stesso.

 

 

 

 

Taccio poesie

 

Distillo dall’aria del giorno

parole

ma niente che conti davvero.

Li tengo i pensieri, nascosti nel fondo.

Se canto è soltanto per gioco;

le cose che dico,cadenze di rime,

inutili frasi da poco.

Se scherzo, se rido

è solo per vivere il tempo

con tutti gli amici che incontro.

“M’illumino” a volte

del sogno “d’immenso”

se penso all’amore che è stato

e a quello che attendo

e il cuore si accende di colpo

vedendo le stelle del cielo,

le notti di luna, il tramonto

con gli occhi di chi s’innamora

ogni giorno

e vive il suo sogno cantando,

ridendo o piangendo,

secondo il momento, ma colmo

di tutta la gioia del mondo.

Distillo parole:

se scrivo racconto le cose più mie

ma se taccio,

ma solo davvero se taccio,

 

io taccio poesie.

 

 

 

 

da ELOGIO  DELL’IMPERFEZIONE 

 

 

 

Elogio dell’imperfezione

 

Aride stelle in cielo;

                                  geometrie

senza emozione, senza luce, senza

una semplice nota dissonante,

una parvenza minima che parli

della bellezza dell’imperfezione.

Questo universo immobile ci incanta

e l’ordine perfetto ci seduce

ma vivere è tutt’altro.

E’ il fango che produce

le fioriture magiche del cuore.

Si vive male, a volte, ma si vive

malgrado la follia degli assoluti.

Si spera il sole e intanto ci si appaga

del freddo di un inverno senza luce.

Il vento cresce

e porta neve all’uscio delle case,

risale le colline addormentate

nell’infinito sonno senza luna.

Come in letargo, la natura tace

e un tempo impercettibile trascorre

sull’orologio, al muro di cucina.

Non farei cambio della mia fortuna

di vivere una vita irrazionale

con l’equilibrio inutile dei saggi.

La geometria perfetta dei solstizi

genera mostri.

                        Solo il cuore,

la sua tachicardia disordinata,

dà il giusto ritmo al vivere una vita

di un’unica certissima nozione:

la meraviglia dell’imperfezione.

 

 

Morire a Natale

 

                  a Fernando Bandini, morto il giorno di Natale 2013

 

Ho sognato una bimba sognare;

alla porta del cuore

ho avvertito il suo sogno bussare.

Non chiedeva un giocattolo nuovo

né un pupazzo di neve.

Nel suo letto di piaghe

                                    aspettava,

con la musica dolce dei canti

della gente felice,

il tinnio dei sonagli alle slitte

di Babbo Natale.

L’ha aspettato per giorni e per ore,

per un’ultima notte stanotte.

Quando il canto s’è udito

ha potuto socchiudere gli occhi.

Sul cuscino ha lasciato,

trattenuto sul bordo di ciglia,

un sorriso e uno sguardo dorato.

Si combattono al mondo battaglie

e si sparge del sangue innocente

e si perde una guerra ogni volta,

sul lettino di un angelo biondo

che si lascia morire per niente.

 

 

 

 

da L’INTESA E’ UN TESSUTO CHE SMAGLIA

 

 

Il pagliaccio e la bambina

 

Vi racconto di lei che mi ha dato,

così piccola e dolce e malata,

un amore di donna-bambina.

Si chiamava Cecilia e abitava

non lontano da qui.

Il suo piccolo cuore aspettava

un trapianto.

Era debole, fragile e lieve

come un fiocco di neve

e sgranando i suoi occhi di cielo

sorrideva ai miei giochi e diceva:

 

“Io ti sposerò un giorno,

                                       se vuoi”

 

ripeteva.

I bambini alle volte

hanno sogni più grandi di loro

che racchiudono in cuori malati.

 

Sono solo un pagliaccio di strada,

un dottore-sorriso

che fa ridere i bimbi.

                                  Cecilia

ride e piange con me.  Sulle ciglia

una lacrima spunta al pensiero

che per vivere ancora

                                   le tocca

aspettare il regalo d’un cuore

d’un bambino malato che muore.

Ha aspettato così lungamente,

finché il tempo è finito.

Da lassù, dove sta, che ci guarda,

riderà dei miei giochi innocenti,

piangerà qualche volta al ricordo

d’un amore finito nel niente.

 

 

 

 

 

A  Camillo  Sbarbaro

 

E io vado avanti,

ma solo

rispetto alle cose

                            che dico e che scrivo;

non so verso dove,

ma altrove.

Di là dal filare ordinato

dei verdi cipressi a bordare

la strada sterrata tra i campi.

Ed io vado avanti

                            a sfidare

la linea precisa del blu:

il vasto orizzonte sul mare.

Le cose da fare

molteplici e tante.

Ed io vado avanti.

Se penso, capisco

e davvero insensata

                               mi pare,

la voglia di andare,

inutile e vano

                      il bisogno di fare,

se quello che cerco è racchiuso

nel breve perimetro chiuso

di questa mia stanza che guarda

su strade affollate,

di gente che corre e non sa camminare.

Io devo al più presto trovare

un luogo per stare

                            appartato,

col mio libro in mano.

Ch'io possa incontrarmi

con quelle che amo,

le pagine care

                       che parlano al cuore.

Se Sbarbaro scrive

di scialbe passioni, emozioni frenate,

delusi  pensieri, Camillo,

i tormenti di ieri

somigliano ai miei, quasi uguali.

A modi da tempo esplorati,

a righe che paiono gocce

stillate da un mite malessere lieve,

dal peso di vivere a lato.

Sentire ma senza patire,

uno stato

di veglia cosciente,

un'assenza presente,

un molle adagiarsi sull'onda

sfinita del niente.

 

 

 

 

A Clizia

 

Io lo so che mi perdo

anche dentro lo specchio ristretto

di una polla sorgiva.

E lo so che mi annego

anche dentro il tuo sguardo di donna,

al frusciar di una gonna,

all'idea che per capo mi frulla,

a una dolce illusione da nulla.

Io lo so che mi perdo per gioco

nella trama conclusa d’un sogno,

di una dolce promessa delusa.

Libreria Mezzaterra, in vetrina sorride

il Montale di Lettere a Clizia

che ripaga l'attesa

di te che ti specchi e riflessa

mi regali uno sguardo improvviso

e un sorriso. A ogni agosto,

quando il sole arroventa i selciati,

io risalgo quell'erta che porta

alla Piazza Maggiore su in alto,

che indovino

dai voli impazziti di rondini

e ricerco il tuo sguardo

raddoppiato nei vetri

e mi sembri tornata, mia Clizia,

vaghissimo sogno incosciente

che porti negli occhi il prodigio

di un lampo d'azzurro e nel riso

un'ipotesi vaga d'amore,

una dolce promessa di niente.

 

 

 

da CANDELE NEL VENTO-CANDLE IN THE WIND

 

 

Al fondo del pozzo

 

                   ad Antonia Pozzi, poetessa infelice

 

Avanza la donna sul filo,

la nota in bemolle rimbalza

nel rigo di sotto poi torna

più in alto.

Riprende leggiadra la danza

la ballerina e volteggia rinchiusa,

preziosa,

              di dentro a una teca

di vetro soffiato. 

                           Se parlo

è solo per dire ch’è l’ora di farlo.

Di accendere il lume

e andare a vedere

                             se dorme.

Antonia non lascia capire

che cosa le passa nel cuore.

Si tolga dal suo comodino

la scatola intera.

Non sono nemici i sonniferi

eppure

il sonno fa a volte  paura.

Riparte la musica dolce,

non serve che un giro di molla.

La donna che balla riprende

la strada sul filo.

Antonia che dorme

non esce dal  sonno

e inizia il suo viaggio, da sola.

La nota in bemolle rimbalza

sul rigo di sotto,

poi giù,

            fino al fondo del pozzo.

 

 

 

da TU LA FARFALLA VARIOPINTA ED IO...

 

 

Il  carillon

 

Era d’estate ed era in là una vita

che t’ho perduta e non ricordo dove

e ti ho cercata in tutti i lunapark

e in ogni carrozzone di giostraio.

 

E’ un colpo al cuore adesso ritrovarti

con un tutù colore di turchino

che balli su una musica barocca

al timido vibrato di un violino.

Rinchiusa in una teca di cristallo

ti muovi in girotondo su un binario

e insieme ruoti come intorno a un perno.

 

Tre giri,  una ricarica di molla.

Quando ti fermi sembri ipnotizzata,

l’ultima nota imprigionata dura

di dentro alla campana come un’ eco.

La bambolina del mio carillon,

la bambola turchina prende vita

soltanto con un po’ di manovella,

ad ogni giravolta se mi guarda

sorride come fosse innamorata.

Io, come il burattino della favola,

mi animo al suo sguardo di velluto,

mi illumino se guarda verso me,

mi spengo se mi priva di un saluto.

 

Sei tu che hai scelto questo modo insolito,

quello che in fondo sembra più indolore,

di dire quello che volevi dire

e lo sai fare con un carillon.

 

Giro la molla un’altra volta ancora

e dolcemente la mia ballerina

si muove piano e senza far rumore,

poi  sulle punte, come una vedette,

danza la danza del perduto amore.

 

 

INEDITI

 

La donna  col foulard

 

Bella com’era da restare in mente

e m’è rimasta in mente per vent’anni;

tette spavalde ed occhi grigio verdi

e l’andatura d’una belva in gabbia.

Avrei voluto averla tra le braccia,

per una volta almeno, come i tanti

col vanto d’aver colto i suoi lamenti.

 

Da Feltrinelli visito il reparto

con pochi libri di poesia,   mi piego

per ricercare se ci sia il mio nome.

Nell’ordine alfabetico la V

sta sempre nel ripiano in basso,

appena un po’ più su del pavimento.

Sento qualcuno che ha fermato il passo,

alzo lo sguardo e tu mi sembri tu.

Le tette piene, un po’ meno spavalde

 

e al posto dei capelli un foulard blu.

 

Soltanto gli occhi son rimasti quelli,

ancora grigio verdi o un po’ di più.

 

 

 

La sezione aurea

 

La maglia modulare giustapposta

sulla facciata della Cattedrale

indiscutibilmente ci dimostra

che non esiste niente di casuale.

 

La dimensione magica, perfetta,

è fatta di una logica serrata

e di misure adatte per creare

il senso vero della perfezione.

 

Qui, la sezione aurea padroneggia

la proporzione varia tra le cose.

In un segmento,

la parte grande è media in proporzione

tra l’intero segmento e la restante.

 

Non accade così nel sentimento

dove non c’è mai logica, mi pare.

Si ama da sempre chi ci fa patire

in modo che la maglia modulare.

a protezione della nostra vita

mostra evidenti le sue smagliature.

 

 

 

Magia dei numeri

 

Gioca la luna in questa notte pallida

coi conigli selvatici, nell’orto.

Hanno spento i colori le farfalle

e ad ali chiuse tremano nel vento.

Sabba di lucciole sull’acqua ferma

dei fossi che si arrendono al silenzio.

Mi attardo a conteggiarle come in gioco

e rischio di contarle mille volte.

Mille e più mille come le scintille

che sprizzano dal ciocco dentro il fuoco.

 

E’ la magia dei numeri il segreto

e come i “basia mille” di Catullo ,

vorrei per te le mille e più carezze

delle infinite stelle della notte.

 

Conto ogni cosa, conto i fili d’erba

e conto della sabbia i suoi granelli;

conto i minuti gli attimi gli istanti

che sommano le storie della vita.

Conto le dita delle mani alzate

a benedire il giorno quando viene.

Conto degli occhi i lampi sorridenti

di sguardi che si attardano a osservarli

i  bimbi che hanno fame di carezze.

Conto la gente che ha pietà del sangue

versato inutilmente

e conto l’apertura delle braccia

che accolgono chi ha sete.

 

La luna gioca in questa notte pallida

ad inseguire con la luce argento

un uomo solo che ha perduto tutto

e accende un faro sopra il suo tormento.