Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Ungaretti
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La madre
E
il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro
d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi
darai la mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua
davanti all'Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in
vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando
spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m'avrà
perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai
d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Caino
Corre
sopra le sabbie favolose
e il suo piede è leggero.
O pastore
di lupi,
hai i denti della luce breve
che punge i nostri
giorni.
Terrori, slanci,
rantolo di foreste, quella mano
che
spezza come nulla vecchie querci,
sei fatto a immagine del
cuore.
E quando è l'ora molto buia,
il corpo allegro
sei tu
fra gli alberi incantati?
E mentre scoppio di brama,
cambia il
tempo, t'aggiri ombroso,
col mio passo mi fuggi.
Come una fonte
nell'ombra, dormire!
Quando la mattina è ancora segreta,
saresti
accolta, anima,
da un'onda riposata.
Anima, non saprò mai
calmarti?
Mai non vedrò nella notte del sangue?
Figlia
indiscreta della noia,
memoria, memoria incessante,
le nuvole
della tua polvere,
non c'è vento che se le porti via?
Gli
occhi mi tornerebbero innocenti,
vedrei la primavera eterna
e,
finalmente nuova,
o memoria, saresti onesta.
L’impietrito e il velluto
Ho
scoperto le barche che molleggiano
sole, e le osservo non so dove,
solo.
Non accadrà le accosti anima viva.
Impalpabile
dito di macigno
ne mostra di nascosto al sorteggiato
gli scabri
messi emersi dall'abisso
che recano, dondolo nel vuoto,
verso
l'alambiccare
del vecchissimo ossesso
la eco di strazio dello
spento flutto
durato appena un attimo
sparito con le sue
sinistre barche.
Mentre si avvicendavano
l'uno sull'altro
addosso
i branchi annichiliti
dei cavalloni del nitrire
ignari,
il velluto croato
dello sguardo di Dunja,
che sa
come arretrarla di millenni,
come assentarla, pietra
dopo
l'aggirarsi solito
da uno smarrirsi all'altro,
zingara in tenda
di Asie,
il velluto dello sguardo di Dunja
fulmineo torna
presente pietà.
Silenzio
Conosco
una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in
quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore
durava il limìo
delle cicale
Dal bastimento
verniciato
di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un
poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi
Nostalgia
Quando
la
notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno
passa
Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto
In
un canto
di ponte
comtemplo
l'illimitato silenzio
di una
ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondono
E
come portati via
si rimane
Amaro accordo
Oppure
in un meriggio d'un ottobre
dagli armoniosi colli
in mezzo a
dense discendenti nuvole
i cavalli dei Dioscuri,
alle cui zampe
estatico
s'era fermato un bimbo,
sopra i flutti
spiccavano
(Per un amaro accordo dei ricordi
verso ombre di
banani
e di giganti erranti
tartarughe entro blocchi
d'enormi
acque impassibili:
sotto altro ordine d'astri
tra insoliti
gabbiani)
Volo sino alla piana dove il bimbo
frugando nella
sabbia,
dalla luce dei fulmini infiammata
la trasparenza delle
care dita
bagnate dalla pioggia contro vento,
ghermiva tutti e
quattro gli elementi.
Ma la morte è incolore e senza sensi
e,
ignara d'ogni legge, come sempre,
già lo sfiorava
coi denti
impudichi.
L’isola
A
una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e
s'inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch'erasi sciolto
dallo stridulo
batticuore dell''acqua torrida,
e una larva
(languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch'era
una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da
simulacro a fiamma vera
errando, giunse a un prato ove
l'ombra
negli occhi s'addensava
delle vergini come
sera appiè degli
ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua
pecore s'erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre
brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un
vetro
levigato da fioca febbre.
Casa mia
Sorpresa
dopo
tanto
d'un amore
Credevo di averlo sparpagliato
per il mondo
Giorno per giorno
“Nessuno,
mamma, ha mai sofferto tanto...”
E il volto già scomparso
ma
gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e
riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo
sparse
per distrarre il suo bimbo...
Ora dov'è, dov'è
l'ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze
sollevava
dai crucci un uomo stanco?...
La terra l'ha disfatta, la
protegge
un passato di favola...
Inferocita terra, immane
mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il
martoriato corpo...
Non conta... Ascolto sempre più
distinta
quella voce d'anima
che non seppi difendere
quaggiù...
M'isola, sempre più festosa e amica
di minuto in
minuto,
nel suo segreto semplice...
Sono tornato ai colli,
ai pini amati
e del ritmo dell'aria il patrio accento
che non
riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio...
Il porto sepolto
Vi
arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li
disperde
Di questa poesia
mi resta
quel
nulla
d’inesauribile segreto
Allegria di naufragi
E
subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un
superstite
lupo di mare
San Martino del Carso
Di
queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di
tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure
tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio
cuore
il paese più straziato
Soldati
si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie
Sereno
Dopo
tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del
cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa
in un giro
immortale