Tommaso
OTTONIERI

Tommaso Ottonieri (pseudonimo di Tommaso Pomilio) è nato ad Avezzano nel 1958 ed è cresciuto a Napoli. Ha pubblicato, in versi: Elegia Sanremese (Bompiani, 1998), Le strade che portano al Fucino (Le Lettere, 2007), Geòdi (Aragno, 2015); in prosa narrativa e non: Dalle memorie di un piccolo ipertrofico (Feltrinelli, 1980, No Reply, 2008), Coniugativo (Corpo10, 1984), Crema Acida (Lupetti-Manni, 1997), L’album crèmisi (Empirìa, 2000), Contatto (Cronopio, 2002), Coro da l’acqua per voce sola (Edizione D’If, 2003); e i sincretismi critici (intorno all’ultima scena letteraria in Italia) raccolti ne La Plastica della Lingua. Stili in fuga lungo una età postrema (Bollati Boringhieri, 2000).

https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_Ottonieri

POESIE

Mina d’angelo
(da Kerouac)
Angelo mio, che te ne stai tranquillo
Angelo di alcun Dio

—————Angelo Latte, di cosa sei fatto
——–Angelo, dalle Fratte

Angelo, incassa
—————–Angelo che sfasci
Angelo, adesso, Gratta

—————Angelo che vinci Angelo
——-che t’avvinghi—-che mi
——————————–triti
————————————–(che sfumi, mini),
————————————————sfrangia il tuo gelo,
————————–mischi
———————che
———Angelo

Memorie persiane
per Mario Persico
strappa velo estro disinnesca polveri
dal bulbo della testa innesta lampi
spenti niente ricordi niente zone
luccicanti ma solo lame, lacci

—————su giù che vanno volano le cornee
—————la bascula di vertebre rilascia
—————ondate elastiche animelle d’ombre
—————poi serpi mi trivellano la faccia

—————————–un condominio dentro che si muove
—————————–organi e vani dalla mente flaccida
—————————–ondeggia l’armatura di cartone
—————————–e cuore e milza l’omicidio irraggia

——————————————–cose io ho visto da stamparmi d’orme
——————————————–incancellabili dovunque. acqua
——————————————–solcata, le tracce che all’abisso tornano
——————————————–di orche in rotta su un gorgo di naufragi

—————————–infibulate dita, veli, forme
—————————–che desiderio inerpicano, braccia
—————————–flottando in lotta, io che tiro aste, corde,
—————————–e i chador che in memoria mi si slacciano

—————parati di damasco. intime spore
—————da masticarmi. sola. avvolta in fasce,
—————dalla testa una mummia mi si srotola.
—————poi vola in faccia ad una luna rancida

ché c’è un rinchiuso spirito che doma
e strugge e arde la tigre che mi mangia
schiocca la frusta dritto sull’embrione
se quello parassita la mia pancia

—————formicolìo degli organi e lì intorno
—————le retrattili pelli si schiamazzano
—————pose e richiami da un profondo porno
—————fantasime che provano a chiavarsi

—————————–gira la mano dall’interno corno
—————————–questa lingua di vento che si orgasma
—————————–mi tira a pera dentro del suo cono
—————————–mi solarizza al fuoco della danza

——————————————–i meccanismi rotti quando crollano
——————————————–d’una folla di pezzi che collassa:
——————————————–congegni morti per la gola rollano
——————————————–il tetris dei residui qui in bonaccia

Cucina (a New Haven)
“an and yet, and yet, and yet -“
tu rovinosa quiete quotidiana
scoscesa in palpebra, l’orbita spalanca
lo sbattere di ciglia sulla tronca
frana delle attese: e l’ora allarga, allaga

——–dalla quiete sospesa dell’istante
——–di questa quiete, ombra tu ti stagli
——–di stracca quiete lunga meridiana
——–la casa si spalanca, la palpebra è deserto

delle insonnie deglutite in un boccone
delle ansie vomitate nel tepore
d’un mezzo pollo crudo a ricavarne

cavarne fuori

——–spazi, vertigini di spazi, evìsceri
——–vertigini già pronte alla cottura
——–inforna queste fami nella dura
——–quiete vorace uscio del tuo cedere

cedere al polso del televisore
battito cuore in gola in un boccone
cedere spazio, fame nel pallore

——–cuore (di panna!) dentro cui t’assorbe
——–lo spazio no la sola sua memoria
——–la sete no la sola algida sfera
——–che ti assale, la sera, se sei solo

… e tu disarmi –
————————il cibo: il
cibo, lo spazio, la fame, il cibo
di fame il boccone ingoiato e spu-
tato—-e via – io dove qui a disfarmi
sfarmi
——–al trangugiarmi pregno delle immagini
argini

——–cuore-di-panna fame delle immagini
——–e la soda; sprizzata; e poi il clangore
——–di pluto freddie mickey, splatt, la
——–notte le cauchemar le cocce schizze il cono
——–il corno della notte rizzo sul
——–margine questo margine di mar
——–gine di
——–(sùccuba, ìncuba) d’incubata
——–notte
——–la notte
——–di soda
——–si muore
——–da soli
——–di soda
——–si muore
——–di televisore

… buio,
buio tubo a picco, a bocconi, bulbo
starnazza ombre dal buio, dal tubo
dal cibo dal limo dal fondo del
tubo, e dal sonno, e dagli occhi del sonno
e dalla mente esausta che stramazza
viscere versa di fuori collassa
incubi aeròfagi dalla soda al cono al
tubo buco bulbo, falbo
da cui si sversa si sfarina il suono
——–
——–la luce
——–
——–la mente
——–allora
——–il bulbo
——–dico
——–la buca:

——–la quiete:

buio dico buio
tubo dico tubo
buco la mente dal bulbo alle valvole
alle ibernate
fughe, (dico), buie, succose super-
ghiotte ai
romitaggi frigo-
rìferi:

Colla
c’è sempre qualcosa che tiene attaccato
c’è sempre una colla che tiene distratto
un filo tra i denti che incide lo strappo
tra il tempo che vedi e il tempo del tatto

c’è sempre qualcosa che lega il tuo lato

c’è sempre qualcosa che lega al tuo lato
qualcosa che lega dispone il tuo stato
s’attacca alla bocca dal sonno ti stacca

qualcosa che ti si lega al lato

qualcosa che ti si lega al lato

qualcosa che ti si lega al lato

qualcosa che attacca su te la tua stasi

Luci sull’asfalto
per Garbo
——–io che cammino parallelamente
——–acclimatata imago a questo vetro
luce la notte già fusa sul retro
dell’afflosciarsi mio nebbioso,
——–mentre, negli occhi, battono fanali
——–la mente si consuma a farsi asfalto
d’onda scoccata rasa arco è lo sguardo
che mi riassorbe alla mia posa, radio,
——–io, che rilascio in macchia la mia immagine
——–cioè che risuono al fondo del comburio
di metallica dimora più segreto
motore che m’assimila al suo faro,
———————–fuoco, io
——–che mi partivo dalla strada dritta
——–verso motels a coltivare insonnie
diviso basta adesso questo suono
a non distrarmi mai dal giusto corso,
——–ora che luce mi trapassa fitta
——–da parte a parte trapanando il vetro
cioè mi perfora dentro dal mio verso,
ora che sono il fuoco della luce
——–di questa luce ardo che in me verso
——–così che a questa luce ora mi saldo, io
——————-che di me mi sfaldo,
————————che mi sfaldo:

Hotel Jugoslavia (i.e.: Nintendo War)
da Hotel California by the Eagles
…Spesso cielo d’asfalto, s’arroventa negli occhi
Vento grasso di fuochi, su dall’aria che danza
——–E’ una lama di luce, scava qui la distanza
——–La mia testa è bitume, dal pulsante si sgancia…

—————Vita, scarica, in frantumi. La testata, si sgancia…

…Giù, a siluro, da Aviano: qui, all’Hotel Jugoslavia.

…Lei che in piedi sulla soglia, resta immota e mi fa cenno
Che mi dice, – tu lo sai, che ogni cielo è ogni inferno, –
——–Poi accendendosi candele, che non capisco come
——–La sirena va in fusione, grida E’ Umana Missione…

—————-Che noi intrude Missione. Impossibile Missione.

 ———————…E’ un incendio, la notte. Qui, all’Hotel Jugoslavia.

…Suoni in fondo al corridoio, ricomponendo un coro
da smembrati cortei, metallici salmodiano
——–Giù da una sala giochi, d’inabissato hotel
——–Spingi forte sul joystick, che passerai il livello…

—————Ogni vita esaurita, risettando, rinsangua…

———————…Questo è il rogo. Nintendo. Dall’Hotel Jugoslavia.

Specchi invertono il soffitto, alcool spuma dai cubetti
E mi trovo cablato nei miei stessi congegni
——–Sulla Hall Jugoslavia, dalla palude emersa
——–La simulo e non posso più ammazzare la bestia

Sull’Hotel Jugoslavia, negli scrocchi della festa
Scaricando i miei alibi, per cumular tempesta
——–Benvenuto all’Hotel, al livello finale
——–Spara quanto ti pare, mai lo potrai lasciare

da ELEGIA SANREMESE

versi-chincaglierie riscavano la mente
in cunicoli lunghi da non dire

rovista un poco, e tira le tue lire
gettonali rigirami più inverso

*
sai per sai per sai per
ché mi piaci
è per i 24
e quattro mila baci
che t’ho dati
flautati acuminati
da plastica e da stoffa
soffocati,
cioè dico in carne ed ossa, nella fossa
che più non ti darò

giaci giaci giaci
sull’asfalto
il sangue ancora caldo
m’estingue sul tuo corpo
quando cado
(vertigo!!)
e a picco dal tuo corpo traggo il colpo
più sordo
che in te mi affonderò

giù per giù per giù per
questa strada
sterrata inerpicata
scialbata mai palpata, dolorosa
del mio orrore
tremore &
bugie meravigliose,
vedrò quel gatto nero che volevo
e non tenevo
e che da te non ho

così che poi aspettando,
e tanto così tanto,
e manco con sgomento,
crudele quel dondon delle sirene del
tormento,
che adesso viene qua,
adesso viene qua, adesso viene
mo proprio che son stanco, che mi svengo,
——————————————————–io
ti sento-o,

ti sento

*
frusciano qui creature dal midollo
pese suonando sotto della testa
anime in lotta in mezzo al capo e al collo
battono il campanello della festa
chiedono a me dov’è che sta il controllo

ragionano profonde nella notte
tutti soppesano i diritti e i torti
cantan canzoni con ignoti accordi
e sulle ossa il tempo a suon di botte

*
matto, matto, matto
mi tira, il cuore, a strappo

rotto, guarda, sotto
la pelle, il cuore, un botto

forte, proprio, forte
s’eietta, il cuore, e parte

sbatte, e gira, batte
l’idea, che il derma stacca

che quindi sbanda
se il cuore spacca

che lenta spacca
(il contatto)

si stacca:

*
c’è un motivo che mi sbatte nella testa,
e non se ne va

è qualcosa che attacca
tipo la lacca, e rimane là

tutto un senso di noia
dentro la gola – è la felicità,

questa qua? oppure è il malessere
che mi succhia dal plesso,

cioè andando giusto dalla testa, quando
finita è la festa, la festa

che tutti se ne vanno tutto fuma
nella mente, con la rabbia

che stagna sulle cose: e resta
a recidere l’aria

lo strazio funerario
che trivella il mio cranio

in tempesta, scompare
ogni traccia
del senso, la musica
sfuma, se pesta, da ossessa, il pensiero,
il pensiero,

è in bonaccia

*
cioè: pensa al tuo stato minerale
a queste pietre come fanno male
alla tua zolla molla così molla
pensa che preme quello che risale

pensa al tuo seme come sa di sale
alle pietre che si piantano sul fianco,
nel tuo fango, qualunque cosa fai,
dovunque, se ti stai,
sarà così, vedrai,
alla ruspa che affonda per lo sbanco:
così che tu sarai così molle; così stanco

*
forse un bel giorno basta, andare via
trovarsi in faccia il tutto come un nien-
te: e poi tuffarsi e non riemergere –
———————————————–o sci-
volare, via, la mente, dalla ria
resistenza del Corpo, che ci tiene
———————————(del Tempo, che ci perde)
forse un bel giorno uscirsene dal giorno,
—————————————————–via
dall’arpa canora che sul vento ci sfiora
—————(sulle ali del vento, spezzate dal vento,
in questo momento) adesso che sento
l’inanità del tempo, che implora
d’abbarbicarsi limaccioso all’ente
———————————————––  e non
saper tenersi neanche un poco
quando la muffa scappa dalle unghie
che lievita le unghie dalla rumba
mi lievita, dunque, dall’unghie spuntandosi
m’allevia – io sciolgo l’arsura sonora,
—————————————————-per dire
ciao mentre scivolo
ciao mentre scivolo,

ciao

El Conquistador
da Edgar Allan Poe
Ecco: è già notte di Gala
——–Degli ultimi anni solìi!
Ressa d’angeli ornati / Rissa soffice d’ali –
——–…Da’ veli che grondano affanni…
Dall’ima Platea per Plaudire

——–La “pièce” di Paura & Desire –
Se Orchestra di suoi spasmi espira
——–celeste Armonica di Sfere –

—————o Musica di Mille Lire! Mimi:

Maschere del Dio: nell’Alto
——–Biasciando la chioccia voce bassa –
Svolacchiano entropica mobile massa –
——–Non più che fantocci, che vengono e vanno
Derive di vaste d’informi /
——————————–deformi cose
——–La scena trasmutano da un lato e dall’altro
————————————-(inconsolate: erose)
Scotendo lor ali di Condor cospargono
——–Pene invisibili & ascoso Affanno

—————Pinte, accozzate, teatrali Pose! –

Mélo  cangiante! Nulla
——–Sarà per voi scordato:
Il Fantasma fantoccio che la Folla
——–Rincorre senza mica afferrarlo –
Al mezzo d’un cerchio che sempre ritorna al-
——–Lo stesso centro del Sé –
———————————————–e la Follia
Che è molta, e ancor più è il Peccato –
——–E Orrore che anima/muta la fola!

E’ Orrore che smuove la mota Che traccia la rotta Che sfolla dal

Cerchio Che sfalsa i contorni! Orrore dei fondali adorni Orrore dei miei cupi giorni

Del Sole Nero de l’Etterno Rullo!

Mira! – nel mezzo di mimica rissa
———————————(e lubrìca)
——–Una forma s’intrude che striscia!
———————————e struscia!
————————————–e si lombrìca!
Sanguisuga la Cosa / Che si dimena & insinua
——–Sul Deserto Sconcerto della Vuota Scena!
Si torce! – e contorce! – di morte gli spasimi
——–– Fatti suo pasto i mimi –
Ed alle zanne bèstie singhiozzano i serafini
——–Pregne di sangue a grumi, globuli a bocconcini –

—————A litri l’infiasca tra Spire Ritorte:
—————S’intrude alla Tresca di Forme già Morte:

Si spengono le luci – s’accendono le fauci
——–E sul Brivido d’ogni Forma, casca
Il sipario – funebre trama, & funesta – che tomba – insomma –
——–Giù a rombo di tempesta – che rumba, che affonda
Che gli angeli pallidi esausti che gli angeli rauchi
——–Levandosi Esponendosi alla Persa Vista,

—————————————–ANNUNCIANO:

Che “UOMO” ha nome la Tragica Farsa,
——–E VERME è il suo Eroe, il Verme, sì, il Verme

—————“E’ il VERME che CONQUISTA!!”

Vapore, screenplay
(cinque variazioni su un tema di “Elegia Sanremese”,
per Balletti & Mercandelli)

rotti nervi al calore
d’un meriggiato ardore tutto-sibili
sincope di vapore
fra cigolìi d’automi, ferro, brividi
un pugno di desiri
troppo presto esauditi,
senza limiti:

cornee affiorano in gore
fitte al calore plastico dei liquidi
squagliano nel colore
gorgo petrolio da orifizi lividi
spugna d’ogni sospiro
senza peso assorbito,
entro i miei rivi

lacero il mio calore
fisso al lavacro di mucose rétine
succubo d’ogni errore
di qua del ronzio elettrico nell’iride
orma di desiderio
inverso al derma imprimi
altre ferite

lacrima di vapore
sfatta che d’acre rétina colliqui
sformi ogni visione
resa al ronzio al lattice dell’iride
colla di desiderio
in fondo al sonno instilli
i tuoi colliri

un turbine di scorie
in rotta in fondo a paralleli viali
dal fumo del motore
derma ustorio di muchi, scosse, fari
sonno senza sollievo
nel cellofan dei corpi
senza velo

carne muta se irrori
della vena che inonda dai suoi rivoli
toccami del tuo ardore
dal sibilo d’incendi di vescica
coglimi nei respiri
che si arrestano, tenui
sulle vertebre

Post-scriptum, Kerouac, l’ultimo albergo
——Ultimo albergo
——Di fronte, un muro, nero
——Ombra che vedo, stampata sul vetro,
——E lui che parla, che
——non m’interessa di che cosa, parla,
——ma soltanto che questo,

——questo è l’ultimo albergo

L’ultimo albergo
Fantasmi nel letto
Sangue di vittime
L’ultimo albergo

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