Antonio Spagnuolo è nato nel 1931 a Napoli, dove vive. Poeta e saggista, è specialista in chirurgia vascolare presso l’Università Federico II di Napoli. Redattore negli anni 1957-1959 della rivista “Realtà”, diretta da Lionello Fiumi e Aldo Capasso, ha fondato e diretto negli anni 1959-1961 il mensile di lettere e arti “Prospettive letterarie”. Condirettore della rivista “Iride”, fondatore e condirettore della rassegna “Prospettive Culturali”, ha fatto parte della redazione del periodico “Oltranza”. Ha pubblicato i volumi di poesia: Ore del tempo perduto (Intelisano, 1953), Rintocchi nel cielo (Ofiria, 1954), Erba sul muro (Iride, 1965, prefazione G. Salvati), Poesie 74 (SEN, 1974, prefazione D. Rea), Affinità imperfette (SEN, 1978, prefazione M. Stefanile), I diritti senza nome (SEN, 1978, prefazione M. Grillandi), Angolo artificiale (SEN, 1979), Graffito controluce (SEN, 1980, prefazione G. Raboni), Ingresso bianco (Glaux, 1983) Le stanze (Glaux, 1983, prefazione C. Ruggiero), Fogli dal calendario (Tam-Tam, 1984, prefazione G.B. Nazzaro), Candida (Guida, 1985, prefazione M. Pomicio, Premio Adelfia 85 e Stefanile 86), Dieci poesie d'amore e una prova d'autore (Altri Termini, 1987, Premio Venezia 87), Infibul/azione (Hetea, 1988), Il tempo scalzato (All'antico mercato saraceno, 1989), L'intimo piacere di svestirsi (L'Assedio della poesia, 1992), Il gesto - le camelie (All'antico mercato Saraceno, 1992, Premio Spallicci 91), Dietro il restauro (Ripostes, 1993, Premio Minturnae 93), Attese (Porto Franco, 1994, illustrazioni di Aligi Sassu), Inedito 95 (nell'antologia di G. Manacorda Disordinate convivenze, L'assedio della poesia, 1996), Io ti inseguirò (venticinque poesie intorno alla Croce, Luciano Editore, 1999), Rapinando alfabeti (L’assedio della poesia, 2001, prefazione P. Perilli), Corruptions (Gradiva Pubblications, 2004, trad. L. Bonaffini), Per lembi (Manni, 2004, Premio speciale della Giuria Astrolabio 2005, Premio Saturo d’argento 2006), Fugacità del tempo (Lietocolle, 2007, prefazione G. Finzi), Ultime chimere (L’arcafelice, 2008), Fratture da comporre (Kairòs, 2009), Frammenti imprevisti (Antologia della poesia contemporanea, Kairòs, 2011), Misure del timore (dai volumi 1985/2010, Kairòs, 2011), L’evoluzione delle forme poetiche (Antologia di poesia contemporanea, Kairòs, 2013), Il senso della possibilità (Kairòs, 2013); i volumi di prosa: Monica ed altri (racconti, SEN, 1980), Pausa di sghembo (romanzo, Ripostes, 1994), Un sogno nel bagaglio (romanzo, Manni, 2006), La mia amica Morèl (racconti, Kairòs, 2008); il volume di teatro Il cofanetto - due atti (L'assedio della poesia, 1995). Nel 2007 ha realizzato la Antologia di poeti contemporanei “Da Napoli/verso” (Editore Kairòs), presentando giovani autori al fianco di una scelta schiera di storicizzati. Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana "le parole della Sybilla" per Kairòs editore e la rassegna ”poetrydream” in internet. Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo. Della sua poesia hanno scritto numerosi autori fra i quali A. Asor Rosa nel suo "Dizionario della letteratura italiana del novecento" e nella “Letteratura italiana” (Einaudi).
E-mail spagnuoloantonio@hotmail.com
POESIE
In memoria di Elena
I
Anche l’ultimo abbraccio costringe il mio sguardo
a ricordi.
Nel vuoto l’inizio di una notte
che disperda, violenta, il tuo sguardo,
il tuo sguardo fisso alle mie labbra sbiancate.
Ritrovare il vortice del respiro affannoso:
in pochi istanti
lasci carezze sgomente per me che mi annebbio.
La casa era tutta tua, è tutta tua ancora,
anche nella tua assenza inaspettata,
ed io disperdo le mie mani
tra i ninnoli che non hanno più valore.
Timidamente il polso, per quelle tue aritmie
che hanno sospeso a tratti il mio affanno,
quelle aritmie improvvise che hanno atterrito
tutta la poesia della nostra vita,
di tutta questa vita che hai donato al mio incanto,
rincorre il battito nell’illusione di riaccendere.
Dove ritrovo quei tuffi spensierati di fanciulla,
spettinata al vento capriccioso delle onde,
il piede leggero nel roseo incantamento della corsa.
Dove ripeto inattesi luccichii del tuo sorriso
ancora teneramente ingenuo nella ricerca
di risposte impossibili.
La mia carne ormai è lacerata ,
perché fra le mie braccia hai interrotto il rantolo,
e le palpebre hanno lasciato un sottile riverbero.
Ora ho deposto anche Dio nella bocca
per non bestemmiare,
persecuzione angosciosa chiusa nel cerchio
a sradicare memorie.
II
Aspetto ancora il tuo respiro inventare
sospiri per le mie illusioni,
ma sempre più breve l’incanto
ora che hai dato ogni tutto ed hai tradito
le attese.
Il maligno alligna i suoi scherzetti
per distrarre l’angoscia,
legata prigioniera ai miei ricordi
che sono presenza del tuo viso.
Non appaghi le ore che nel giorno
mi stanno accanto come delle arpie.
La luce sale , preda dell’inganno,
mentre il tuo sangue gela nella tomba.
III
Potrei morire anch’io ormai che il letto
al buio mi rifiuta.
Non so più a chi giova
il verso intriso delle tue moine
ora che la tua carne ha segnato la clessidra
ed il tempo non segna alcun momento.
Ho perso anche il cielo fuori dalle magie,
ho perso le certezze e nell’affanno
avvolgo tutto quello che chiamammo
illusione.
Dolorosa tortura quella dei nostri corpi
insanguinati nell’eterno ignoto,
il giglio del tuo cuore cede alle notti
ed il mio canto piange un corpo eroso.
E’ fermo il tempo e nel perenne inganno
i miei ricordi staccano memorie
per parlare con te, inutilmente.
La tua pelle cedeva al mio impulso
spezzando le ferite, ed ora un incubo
spacca l’ultima luce particella.
IV
Ascolto sciogliersi le ore
nel libro duro dei giorni,
per l’assoluto incanto di preghiere.
Questo Dio possente che non parla
agli umani, e che non palesa,
ha troncato improvviso il tuo candore,
per distruggere ogni cosa.
Non c’è segno alcuno al tuo ritorno
qui tra i ninnoli che ancora custodisco
per l’inganno di qualche nuovo incanto.
Dove rincorro il tuo passo che a volte
nell’incertezza ritardava i sorrisi
se non tocco più la tua carne e dispero
i lunghi segni che tracciammo insieme?
Si lacera oramai ogni poesia
perché parole corrodono le ombre.
V
Prigioniero del vuoto
inseguo ancora la tua immagine.
Tra le foto scolpite per dispetto,
un dispetto che Iddio ha giocato per noi
nel bel mezzo di una storia di amore,
che non conobbe ferite.
Eri ancora il futuro, e raggiungevo
le carezze del sole in esplosioni
ad ogni tuo sorriso delicato,
quasi inganno del canto adesso lacerato
per rincorrere e assaporare il gelo
che ti ha rapito.
VI
Eccomi rinchiuso in una teca
dalle pareti smeriglio,
oltre le quali
non vedo se non il fragile abbandono
dell’impronunciabile.
Solo un’ombra profonda che cesella
il numero dei giorni
inseguiti dopo il tuo abbandono.
Devo saldare ogni insicurezza
per quei gesti che non ho compiuto,
per questa morte che ti aggancia ancora
se socchiudo gli occhi nel ricordo.
Anche la luce non è più la stessa
tra le pareti inaridite,
tra questi oggetti che ripeto al tatto
per non credere più al miracolo.
Abbiamo malmenato la tua carne
senza alcun riguardo,
nel breve spazio di una bara,
che ancora oggi mi perseguita zincata.
Adesso devo morire anch’io
per sparire nel nulla,
o per scoprire
dove si cela la tua sembianza.
VIII
Sei andata nella nebbia,
mentre la pioggia raggelava il cuore.
Come una stella esplosa all’improvviso
hai strappato le idee, le mie illusioni,
e noi, meteoriti dispersi ed impazziti
fuori dalla tua orbita.
Il cerchio , ubriaco del rimorso,
resta mistero che affonda.
Di quanta gramigna sia fatta la mia storia
adesso ho percepito, rincorrendo
le immagini disegnate con pudore,
ogni volta che ho imprigionato una verità
che ti tradiva, ogni volta, ogni volta
che nel tuo sguardo ho disperso il mio timore,
ho rincorso i tuoi doni.
Il ciclamino ha perso il suo turgore.
Il vento avvampa così l’essenza del nostro amore,
ha bruciato ogni ricordo, per ritornare a correre.
Ora che sei nel soffio dell’eternità
la mia mente contempla te diversa,
e una volta soltanto ho vissuto tutta la gioventù
nel tuo grembo, nei tuoi piedi affusolati,
nel tuo sorriso che strappava ingenui baci.
Quando eri la luce che doveva risplendere
la più sottile follia ci accecava.
Il mistero che ormai hai accettato
non è saggezza,
è il soffio di una nuova storia al di la del sospiro,
e cerco il tuo sguardo
che apriva tutte le porte della vita.
IX
Le ultime parole
sono cadute sulle tue labbra, tra i tuoi denti,
serrati per la morte,
morte improvvisa,
nel medesimo fremito del silenzio.
Riapri quel tratteggio
che sconvolge, che ripete il senso
dei minuscoli frammenti incasellati
nel tuo viso,
deserto, vagabondo,
ormai tormento di messaggi e sapori
fuori da ogni tempo.
Per i vecchi detriti ora non c'è abbandono,
e filtra lo sgomento mosaici dal lento
cesellare.
Non ho pazienza e non giunge carezza
che abbia il sapore di una nuova mano.
X
Brucia ancora quello che avevamo sospeso
ora che la luna è un tormento
nemico,
una apina che inclina il giorno
tra le ombre fuggiasche.
Adesso posso anche dire che più nulla
sarà possibile, immobile a fissare
quel filare di fiori appassiti,
anche se invano spezzo il cerchio della solitudine
per allontanare il crepuscolo.
Inutile parlare quando accalcano
sconosciute cadenze:
altro viso ha l’amica che ripete con forza
l’improvvisa sembianza.
Ha il ventre portato all’infinito,
e nel momento
risveglia il tortuoso secondo delle occasioni
perché non oso percepire
la levità del respiro.
XI
Tutto è finito, ed il sorriso
non riesce a comporre gli ornamenti
civettuoli del tuo andare.
Rincorro qualche assurda storia
tra la finestra ed il soffitto,
tra le mura ormai ostili,
e ricordo
quando scrivevo per te versi gioiosi.
Ora forma dormiente
sei simbolo del nulla
strappata alle astrazioni in cui credevi
ed io soltanto piango quell’ultima immagine
che gira vorticando tra pareti.
Tengo stretto il pensiero tra le bende
per distinguere i fiori della morte
da ogni colore clandestino.
XII
Inutile urlare il tuo nome contro le pareti.
Inutile urlare ed attendere:
non sei per me altro che l’eco
della mia voce, diventata roca,
delle mie lacrime sempre più cocenti,
del mio sguardo errabondo.
Anche la luce aveva un suono per noi,
ora è silenzio ove impazzisce il ricordo,
e il tempo ricompone memorie
roventi
mentre l’ombra si allontana.
XIII
Con la sabbia la pioggia perde azzurro
e l’angoscia è il suo colore,
stupisce per capelli sconosciuti
per una storia raccontata più volte.
Sotto l’unico cielo che più non splende
ricerco la tua stella , quasi magia
di un luccichio che riporti il tuo viso.
Le pieghe della pelle, che mostravi
con gli occhi socchiusi e col sorriso,
per giocare all’amore tra le vene
ed il mio polso, hanno segni corrotti.
Vorrei ignorare il mistero che ora ti circonda
l’impossibile vuoto che hai lasciato,
i piccoli spazi che la speranza annulla,
mentre anche i sogni
sono precipitati nel fango…
XIV
Il gioco dell’amore insegue i tempi
in cui strappammo allegramente il sesso,
tra le onde benigne del golfo.
Ora io piango
ricordi affannati, la foto che ti svela
tornita come il marmo,
l’acqua salsa,
il boccio della carne inappagata,
l’arcana derisione del tuo nudo.
Via con la testa a segnare confusioni,
mentre l’ambrosia piega il profilo
e l’azzurro si riposa tra le mani.
Ritorna agosto per smarrire leggere
vocali, imperfette, e la tua bocca
non ha più labbra per il controtempo.
Forse l’eternità gioca all’amore
per rincorrere inganni.
XV
Un docile rimorso ha la parola,
inerte,
che ritorna incosciente tra i fantasmi,
che scivola tra noi due, nell’ombra.
Ho colpa d’ogni tua impazienza.
Solo nel sogno posso immaginare che tu venga
a ripetere gesti , a blandire sudori ,
per non farmi sventrare dalle ire
e chiedere alle stanze perché te ne sei andata.
Un girotondo lento,
un tradirmi nell’ultimo abbraccio,
invece di sfuggire all’infinito.
XVI
Ti chiedo l’imperfetto di un sorriso
che inciderò al tuo ritorno,
improvviso,
ora che il corpo entra nel silenzio
per la cieca caduta,
catturato dalle tante rovine che la morte
imperterrita decide.
Sono le stesse dita del tremore:
come i volti di allora
si rinnovano preghiere nella mente.
Tu sei altrove, dove non posso anch’io
ed ho scomposto la sorte anche nel vuoto,
forse ad inganno dell’attimo tuo, ultimo,
inatteso.
Ora mi fingo un dubbio nel ricordo,
anche se il futuro lo abbiamo già divelto.
XVII
Sei tu il sapore di autunno, della stagione livida
che ti ghermì per sempre,
della tremenda immagine che imbruna con le tenebre.
Rifugio cieco nella notte
per avvolgere il mio grido in una nuvola
come canto inquieto.
Muta la speranza che nella imprudenza
ha chiuso ogni tremore, ogni sussurro,
per riproporre lingue infinite di vento.
Incrocio disattenti testimoni
per quel misto di eucalipto, quasi incandescente,
tra le mura di cemento ingiallito
e la salsedine che batte agli scogli
ove correvamo col tuo nastro al vento.
XVIII
D’improvviso continua il gioco dei gradini
e si assopisce il tempo delle piccole cose
così il rimpianto del sentiero che non ritroviamo
per sussurri e silenzi.
Lento intervallo del respiro
lento il passaggio imperdonabile:
qualcosa è sparita
o cessa d’esistere dentro la realtà.
Finzione
come lo spazio per essere in contraddizione.
E di nuovo m’avvince questo incanto:
una scrittura prediletta del possibile:
nelle tue mani affilate,
1a precedenza in cui t’avevo sognata
come t’avessi vista ieri, ma ora sei inganno
una collana d’ambra intorpidita
cercando di carpire ombre impazzite.