Sonia Giovannetti

Sonia
GIOVANNETTI

Sonia Giovannetti è nata nel 1963 a Roma, dove vive. Ha pubblicato di poesia: Ho detto alla luna (Aletti, 2012), Tempo vuoto (Tracce, 2013), Un altro inverno (Kairòs, 2015), Dalla parte del tempo (Genesi, 2018), Pharmakon (Genesi, 2021), Cien poemas – Más allá del muro (Grupo Editorial Sial Pigmalión, Madrid 2024); di narrativa: Le ali della notte (Armando Curcio, 2014); di saggistica “La poesia, malgrado tutto” (Castelvecchi, 2022), “Arte sotto la lente. Note critiche a testi e mostre” (Il Convivio, 2024). Sue poesie sono presenti in numerose antologie tra le quali: Edi-thon (Penna d’Autore, 2012), La luce oltre le crepe (Bernini, 2012), Roma Città delle meraviglie (Lepisma, 2013), Poeti per il giorno della Memoria (Centro Pitigliani, 2013), Magia (Lepisma, 2014), Lettura di testi di autori contemporanei (The Writer, 2014), I mali in-curabili (Pironti, 2016), Il segreto delle fragole (Lieto Colle, 2018). Collabora al blog letterario “Alla volta di Leucade”. Molti i riconoscimenti, tra i quali il Premio dell’Accademia Mondiale della Poesia di Verona, il Premio “Scriveredonna” presieduto da Maria Luisa Spaziani, il Premio di Spoleto Festival Art Letteratura, il Certamen Apollinare Poeticum 2019 dell’Università Pontificia, il Caput Gauri 2019.

sonia_giovannetti@libero.it

https://www.linkedin.com/in/sonia-giovannetti-6137a984/

https://www.lafeltrinelli.it/libri/sonia-giovannetti/1285013

POESIE

da HO DETTO ALLA LUNA

I Giorni
Ora che l’aria scurisce
e accendono il cielo
chiari loggiati di lumi
– così lontani –
il desiderio di te mi afferra
e diventa languore,
dentro il mio lungo esilio
dove i fogli d’un calendario
cadono ad uno ad uno
in un autunno infinito.

da TEMPO VUOTO

Amo questo tempo vuoto
pieno di un nulla affollato di cose,
di quelle che ho perduto
e che non mi perdonano,
di quelle che non ho ancora avuto
e che non posso perdonare.
Tu dai senso a tutto questo
perché sei tu che hai riportato
tutte le cose nel mio tempo.

Itaca
Io lo so
cosa vuol dire avere un’Itaca.
È una pace che non riesco
mai a trovare.
La cerco, eppure
resto sempre sul bordo del mare.
Metà del mio spirito
s’inclina sulle onde per partire.
Metà si ritrae per restare.
In mezzo il mio Io
che non sa scegliere.
Itaca,
mio sogno certo.

Canto di vita
Se veramente fosse possibile
raggiungere l’ascolto
m’impegnerei a lanciare la parola.
E farla portare dal vento.
Lontano.
Farla scendere ad ogni stazione
appoggiarla e vestirla di senso,
ma certi viaggi sono lunghi
e anche faticosi.
Se veramente fosse ancora possibile
io uscirei dal silenzio proprio oggi,
oggi che gli occhi cominciano a stancarsi
e il tempo s’accorcia,
oggi direi
“almeno questo ho avuto:
il tempo per sognare e,
almeno per questo,
me ne andrò contento”.

da UN ALTRO INVERNO

Un altro inverno
Vedi come il tempo ci muta
e come sprofonda per esso l’illusione
d’aver per complice l’eternità.
Non so dirti padre mio
dove ho posato l’antica ascia
e dove riposa l’animo guerriero.
Un altro inverno si è adagiato
sul nido delle rondini
segnando così il mio volto
d’altra stanchezza greve.
Potesse ora il mio tempo sostenerti.
Ora che il tempo è abitato dal vero.

Lampo
Ora, d’un tratto,
il tempo s’è fermato.
Ed è il tuo volto
che scorre nelle vene.
I pensieri torneranno
come un mare che batte sulla scogliera
e tu sarai la sola cosa vera.

Notte
Questa notte come ogni notte,
esposta al vento come un panno pulito
all’ombra della luce d’una stella,
ha segnato un altro solco
dentro questa mia stanchezza.

Il sentiero
È questo sentiero già percorso il nuovo viaggio,
lo so per certo, ora che la meta m’appare come abbaglio.
In questo mio lento camminare,
la tua presenza è ciò che permane.
È forse altro la vita
se non un viaggio nella memoria?
Abbraccio il futuro ascoltando l’eco
di ciò che il cuore ha già percepito.
Con la flebile luce di una pallida luna
e la bisaccia piena di stelle,
la mia meta è già raggiunta.
Il sentiero che ho davanti
promette di essere questo infinito ritorno
lì dove tutto è cominciato.

L’approdo
Un cargo s’avanza nel grigio del mattino.
Alita il vento sull’acqua immobile.
Mani che si levano nude ad implorare la vita
sfidano l’ignoto in terra straniera.
Sulle schiene incurvate
grava, insanabile, il dolore per i dispersi
e il richiamo dolente dei fratelli
rimasti nella patria desolata.
Un gabbiano vola basso, incornicia di piume
quegli occhi attoniti d’incerta speranza.
Ma ecco qualcuno, sul molo,
lanciare parole dure come sassi
a chi arriva dal mondo dimenticato.
Come se i loro padri non fossero mai emigrati,
e mai avessero patito fame, paura, disperazione.
A volte la memoria tace.

A mia madre
Crepuscolari, dolci paesaggi
ora nel cuore porto come
una vita e l’infinita
nostalgia di te m’arriva,
eterna memoria.

Ultimo desiderio
Il vento disperde le foglie,
scuote il mio cappello
e la polvere fa ombra al mio sguardo.
Me la trascino dietro, come un carretto, questa vita.
Mi rattrista il suo silenzio.
Come esuli vagano, stanchi, i miei pensieri.
Tutto è compiuto.
Terra muta, indifferente al cigolio delle ruote.
Potessi fermarmi almeno un poco
per ritrovare il giallo vivo del grano.
Sparito – anche quello – nel solco degli anni.

Non trattenermi
Se un giorno non scriverò più
vorrà dire che la notte è arrivata.
Allora, lascia la mia mano. Non trattenermi.
Accosta dolcemente i miei occhi.
Serbami solo uno spiraglio di luce,
che io possa vedere quel sogno
dissolversi e lentamente sparire.
Come l’ultima onda del mare.

da DALLA PARTE DEL TEMPO

Il tempo
Dov’è il tempo se non nella memoria
che tutto lega al cerchio del durante
e l’essere fa eterno, e fin la storia
acconcia a tratto immoto del pensante.
Dispensa, il tempo, quella ria illusione
del viver somigliante a un proseguire,
e fa di sua apparenza distrazione
da ciò che sta e ignora il divenire,

giacché nel tempo ha dimora il vero
che non trasmuta né conosce mete
ma sempre torna a sé lungo un sentiero

ove infinito il ciclo si ripete
come in quel fato, amico del mistero,
che porta al riapparir delle comete.

 Il silenzio della notte
Ci ritroviamo qui, nel punto esatto
dove il vento urla.
L’uno al cospetto dell’altro
puntelliamo ombre e gettiamo pietre
su una strada che non contempla uscita.
Di noi, del nostro tempo, non rimane
che questo presente muto.
Sopportiamo il silenzio della notte
e non s’arresta la folata tra i rovi.
Nella penombra, nulla più cerchiamo.
Neanche il soffio propizio. L’alito che smuove.
Eroi senza battaglia
puntiamo l’ago nella rete smagliata,
continuando a tessere filo spinato.
È così che moriamo,
ignari – quasi – del nostro addio.

Partenze
Nel luogo dove riposa la ragione,
ci guardiamo l’un l’altro smarriti.
Là, nel punto dove s’alza
la polvere soffiata dal vento.
Gli uccelli sui fili decidono la rotta.
Resteremo ancora per poco.
Col vento che da ponente arriva
s’attende lo strappo della fune.
Il lento sciabordare delle barche, ancorate
al molo, esegue la sinfonia del distacco.
Lei dalla scogliera guarda.  Un ultimo saluto
col rosario che la mano stringe, sul nero vestito.
S’alzano le vele, s’aspetta l’avvio dai gravati
remi, mentre le campane giocano a festa.

Il tempo nascosto della vita
Nel tempo in cui i semi abitano la terra,
anche il silenzio è propizio.
Le mandrie, dai pascoli, tornano a casa
e gli alberi celano la loro identità.
Ma già s’approssima una nuova estate.
Mentre i nidi vacanti custodiranno
il loro miraggio, si cercherà il sentiero dei fiumi.
Sarà facile crederci. Veglieremo,
perché nessuna vita sta a sé muta.

Il far del giorno
Vorrei che mai venisse il far del giorno
a far cessare questa mia follia
che il sogno porta seco, mentre intorno
la notte rende vera la pazzia.
So che non è mai vero
quello che al sogno chiude ogni sentiero.

L’attesa di una madre
Era il tempo dell’attesa, quello.
Ricordi, padre, il pallore del suo volto
l’assenza di un seppur minimo sorriso?
E le parole, le sue parole, le ricordi?
Stanche e a grappolo cadevano
sulle distese del tempo
sopra la città dormiente.
Nulla accadeva, neanche
alla luce dell’ultimo lampione.
Mi assopivo appena un poco.
Era difficile allora
distogliere lo sguardo da lei
che scostando le tende
bramava il passo del ritorno.
L’attesa permeava di grigio la fitta nebbia.
Povera madre, disillusa ad ogni alba.
Ancora dispensa
– là nel luogo dove tace –
un mestolo colmo al figlio assente.
Ancora affida il suo nome
al vento complice negli anni.
Quegli anni! Debitori di vita
che non hanno nome.

Il mio saluto
In questo mio lento morire
nel tiepido vento di maggio
neanche la fede mi conforta.
Non credo ad altra vita
se non a questa.
Scrivo così, sul filo
ormai consunto del tempo
il mio saluto all’esistenza.
T’ho amato vita
seppur con la paura d’amarti.
Lo sanno tutti i miei gesti incompiuti.
Lo sa la mia poesia
che non cambia il vento.

Torna in alto