Sabrina
GALLI

Sabrina Galli è nata a Busto Arsizio nel 1964 e vive a San Benedetto del Tronto. I suoi libri di poesia: Liberi Orizzonti (2014), Emozioni tra fiori e pietre (2016), I volti del cielo (Aletti Editore, 2018). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti e suoi testi sono inseriti in alcune antologie tra le quali: “Adriatico Emozioni tra parole d’onde e sentimenti” (2017, a cura dell’Associazione Culturale Euterpe), “Festival Poetico Il Federiciano” (Aletti Editore, 2017), “Ciò che Caino non sa – Le mani dei bambini” (Edizioni Oceano, 2018), “La giovane poesia marchigiana” (Santelli Editore, 2019), “Marche d’Autore, le Marche e i suoi personaggi” (2020), “Oltre il silenzio, la parola al tempo della pandemia” (Teaternum Edizioni, 2020), “Il canto di flora, una scrittura al femminile” (Teaternum Edizioni, 2021). Ha pubblicato il romanzo La rivelazione del gelso (Masciulli Edizioni, 2021). Educatrice, da anni è impegnata nel volontariato. Nel 2019 ha frequentato “La bottega del racconto” laboratorio di scrittura della Scuola Holden Contemporary Humanities.

galli.sabrina6490@gmail.com

POESIE

da EMOZIONI TRA FIORI E PIETRE

Armonico sussurro
Le mani dell’anima
sono caldo silenzio,
inoltrato dallo sguardo
nell’astrale ridda estiva
che trapunta
il chiaro firmamento della notte.

Mani che posano
sulla gruccia di un ricordo
imprecise immagini
ingiallite in una dispersa traccia,
nei palmi schiusi del tempo.
Anche allora, allora come ora
mi smarrivo
nel cielo notturno.

Era chioma
di betulla danzante
la giovane età.
Filtrava tra i rami
come luce dorata.
Nel forte chiarore
l’adolescenza
ingentiliva l’asfalto.

Albeggiavano dal volto
fragili cristalli.
Tintinnavano, si urtavano,
si scheggiavano, si disperdevano
i timorosi fremiti
di una femminile metamorfosi.

Eccole ora le mani dell’anima!
Eccole nell’attuale presente!
Eccole in me nella cognizione
di essere donna e madre
oltre il diafano vetro
delle memorie
ammantate dal vivere.

Uno scialle a cui lavoro.
Amore e passione
come ferri
che si sfiorano
in un armonico sussurro
ad ogni punto
della trama che incede
verso l’ignota sorte.

da I VOLTI DEL CIELO

Grida e silenzi di vita
Aspetta! Non andartene!
Illudimi come sai far tu, di avere uno sguardo
figliolo dell’arco celeste e della Terra!
Permetti alle pupille di essere mulinelli
che inghiottono spazi d’azzurro!

Inebriami di capogiri con altitudini rocciose!
Riducimi come stami di girasoli
estasiati dalla circonferenza di fuoco,
primaria energia della Terra.
Poco importa se gli steli
ondeggiano in balia di venti sconosciuti!
Non è forse un mistero la vita?

Resta con me inquieta sorella
del sotterraneo cosmo!
Vaga tra le innumerevoli molecole
assemblate nella follia recondita
di una ribelle libertà,
adagiata sulle ali amaranto dei palpiti
che si susseguono nelle vene.

Non abbandonarmi! Alitami sul corpo
i versi sussurrati alla mente!
Disperdi i granelli di polvere
che otturano i pori di un’asmatica spontaneità.
Che erompano dalla mia pelle fonti emozionali!
Sono grida e silenzi di vita
esplicati in parole.

Ho raccolto
Ho raccolto
camminando nei tuoi inverni,
fiori intarsiati da gelo e nebbia.
Ne ho fatto collane ghiacciate
indossate e dissolte
dal battito amaranto del vivere.
Ora sul seno pulsante di vita
osservo bianche stelle alpine.

Ho raccolto
camminando nelle tue estati,
sabbie trasportate dal vento
verso veloci desertificazioni.
Ne ho fatto terre
che costeggiano corposi fiumi.

Ho raccolto
camminando nelle tue primavere,
germogli annichiliti.
Ne ho fatto forbite corolle;
calici traboccanti di miele rosato
per suggellare amare ferite
inflitte da sciabole affilate
che trafiggono giorni mesti.

Ho raccolto
camminando nei tuoi autunni,
foglie secche
sopra bitume grigio.
Ne ho fatto humus
per prolifiche colture
per saziare
la fame dei giusti.

Sono tornata
camminando nelle tue stagioni.
Sulla pelle profumo di stelle alpine;
evaporano acque dolci di fiumi,
sulle labbra sapore di miele,
le mani ricolme di frutti.

E tu mi inondi
di conosciute gioie:
le labbra di aroma mielato,
le medesime rugiade fiumane,
nelle mani gli identici frutti.

Anche tu
hai camminato in me.
Anche tu
a fare di me
ciò che io ho fatto con te.

Suggerisci un nome migliore
se ne sei capace!
Io lo chiamo amore,
soltanto amore.

Vittime e carnefici
Vittime di soprusi, di inganni, di guerre,
Vittime flagellate da un vivere granitico
con scudisci dagli schiocchi mordaci,
forgiati con lacrime di risi stolti e voci mendaci.

Finta bontà che occulta i sibili delle serpi umane
compiaciute di attorcigliarsi,
intorno agli arti degli inermi.
Sguardi truccati all’occorrenza
dalle smaliziate mani dell’ipocrisia.
Abbracci viscidi e fuggevoli come anguille.

Ma i gesti d’amore hanno una propria radice
in un terreno planetario, hanno uno stelo,
un bocciolo, una corona di petali
che custodisce le anime, soprattutto quelle più sole.
Nonostante lo sfalcio dei carnefici
non finirà la germinazione
dell’amore

Nei tuoi dipinti
Nonostante in me come fuoco arda l’amore per il vivere,
struggenti malinconie
sono invisibili monsoni agli occhi degli altri,
quando spirano e anticipano
piogge nostalgiche, celate da sorrisi di nuvole.
Non oppongo resistenza, galleggio supina
sopra frantumi di passato di una fonte naturale d’amore
che conforta la perpetua assenza.

Diluvi monsonici confluiscono nelle paterne acque.
Eccomi varcare la soglia di un tuo dipinto.
Il mio volto riflesso nel vetro.
Ti ritrovo nelle vellutate pennellate
che concedono vitalità al paesaggio.
Ti cerco in un’altra tela e poi un’altra ancora.
Aumento il passo, corro in ogni dipinto, uno dopo l’altro.

Mari in tempesta, campi di granoturco,
colline innevate, cromatiche essenze in vasi di fiori,
nature morte in caldi colori, sinuosi corpi di donna,
orizzonti di cieli nei visi bambini,
anziani in attesa di carezze,
e il crocifisso volto di Cristo che sanguina
dolore, salvezza, amore.
Sono come una bimba sudata dal viso arrossato
che gioca nel sole d’estate e s’arresta
nell’abbraccio di un padre, il tuo.
Eccoti nelle tele ancor “vivo”, nell’ebbro sapore della vita;
un’apoteosi di bellezza si schiude come coda di pavone,
eccoti con la sensibile attenzione che osserva e dà forma
ad ogni accorata emozione, di quella vita congiunta
all’inevitabilità  “dell’eterna conclusione”.

Avvertii il tenebroso manto discendere
sopra il calendario dei tuoi giorni.
Nulla potei fare per scostarlo!
Ora accanto a me sei nel tempo di invisibili monsoni
e di passionali bracieri del vivere;
attigue differenze abissali in un’inquieta convivenza.

Nodi di preghiere
L’urlo del cielo è una pioggia ferale.
Le bombe raggiungono il suolo
e diventano sangue fluente
di sorgenti immobili, avvolte
nell’evanescente sudario di pianti umani.
Soltanto il sole rimane l’unico occhio puro
di un mondo cieco.
Di un mondo che annaspa, soffocato dalle giungle di rovi
nello spasmo di folle dolore.
Albe in balia di drammatici epiloghi.
Impronte incise dalle appesantite
gambe della vendetta
dentro i nidi delle aurore,
in cui pigolano le ore dei giorni
nutriti dall’andirivieni dei becchi appuntiti
dell’odio, da nido a nido.
Il destino sventaglia infide lingue
dapprima arrotolate per celarsi,
pronte poi a stritolare gli oppressi.
Sguardi annientati dall’odore di zolfo
di un cielo inclemente,
attendono la carezza lieve di un Dio,
affinché sciolga nodi di preghiere.

Nel susseguirsi senza fine
Forse… nel susseguirsi senza fine di ali di rondini,
di quel prendere e poi lasciare e poi riprendere
nastri di cielo in cui garrire da un emisfero all’altro,
forse si cela l’adrenalinica percezione degli uomini,
di raggiungere ciò che ambiscono,
difficile da conservare tra le dita scivolose del tempo
intrise di svariati destini, eppure simili a ricordare
che nulla ci appartiene, neppure l’esistere.

Forse… nel susseguirsi senza fine del mare
di quel prendere e poi lasciare e poi riprendere
la spiaggia, forse si cela l’andirivieni dei giorni
che ci concedono e ci tolgono e poi ci concedono
uno stupito appagamento,
anche se nulla è certo, tutto è ignoto.

E il nostro “presente”,
un epicentro sbriciolato in molecole
di tempo utopistiche e realistiche.
Il “nostro esserci” in un salire e poi scendere
e poi salire sopra l’altalenante forza di volontà
tra la terra e il cielo.

Inestinguibili fiammelle   (inedita, anno 2020)
Scrissi di voi e dei vostri volti
che se pure immersi nei tramonti della vita,
permettevano agli sguardi di essere aurore,
dove sorgeva un sole dalla luce fioca
ma il tanto che bastava ad illuminare
gli stupori e i timori che albergavano
in voi e trasformavano il caduco autunno
in un’infante stagione dai petali canuti.

Le espressioni dei visi si accendevano
nei colori dei ricordi, tra i solchi profondi
tracciati dall’aratro del tempo e la saggezza
fiottava come un fiume e dissetava, lungo le rive
dei vostri anni, chiunque sostasse ad ascoltarvi.
Voi come solide fondamenta interrate nella storia
del passato, per rendere consapevole
“il presente”  della propria identità.

Portai con me i vostri sguardi come fossero
preziose perle, destinate ad un filo della trama
emozionale che riveste l’anima di “essenziale”.
Ne feci un’invisibile monile per abbellire il cuore,
da indossare sempre, per non dimenticarvi
nell’immensa soffitta dei pensieri impolverati
dalla frenetica corsa della vita,
lungo inutili strade sterrate senza uscita.

Adesso non vorrei scrivere di voi!
Non vorrei scrivere delle case di riposo
testimoni di una subdola strage, come subdolo
è il nemico che vi conduce al cospetto della morte.
La voce della poesia è come uno scalpello
che con forza incide le parole
sopra l’oscuro drappo di una notte insonne.

Adesso siete come tante candele
posate sopra le stelle,
adesso siete nell’infinito eterne fiammelle
e così prego e così mi chiedo se ci sarà
un tempo per comprendere, un tempo capace
di condurci nel fulcro di ogni “verità”.

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