da “TUTTE LE POESIE”
NONNO
Caro
nonno, che di me nipote
più non ti ricordi (sono
venuto al
mondo dopo il Trentaquattro),
che mi dici figliolo o
pressappoco
nel tuo scuro farnètico e gli sbagli, e
parli
appena di trincee e di fuoco.
Ecco - la vedi? - questa è la
trapunta,
così si chiama, e adesso fa' attenzione
a come la
federa s'apre e s'infila. O ancora
tu t'imbuchi là a Nervesa (la
battaglia
sotto le troppo sue bombe) o a Doberdò
nel fumo
stranita e caduta?
Di tanto si è ritratta la tua vita
tutta
in un puntino, per fare resistenza:
che difesa scarnita in questo
tempo
sempre di ghiacci, di afflitti letarghi;
ma tu, di certo,
hai cominciato nello stento
un'altra specie di combattimento
da
qualche spelata dolina...
E il colloquio è finito, radunare
gli straccetti.
ZIO
Qui
bene si staglia in due fotografie
dritto su un prato secco,
e
somigliava a uno spago, bisognoso di nulla.
Si spera che
sereno sia arrivato
ad altre solitudini,
porgendo l'orecchio a
quello che non c'è:
mio zio col cappello, che poco lavorava
e
gli piaceva solamente la musica e
con uno strumento faceva dolci
suoni.
Ora rilucono di più le sue manie:
teneva un elenco
dei genetlìaci, seguiva
notturno i lavori tranviari,
spesso si
intruppava con dei cani.
La sua storia malcerta qui
finisce
(sai le persone, isole che camminano)
e quale evviva
potremmo gridargli
noi, venuti al tempo di cose mondiali,
di
stirpi in smisurato espatrio.
STANZA
Quatte
le nevi si avvicinavano
e rovente la stufa nell'angolo
bolliva,
tua madre il violino sognante suonava,
tuo padre - che
tutto ammirava - a quelle belle
arance sulla tavola esclamava:
"che rosso!".
E c'era lo zio Pino così grosso che
ridendo
nel corridoio cascava, e più non si levava;
e tu chino
su storti disegni, i pensierini
di gennaio o i re di Francia.
Era
in questa maniera che combaciava la sera.
Pulita
miniatura di una stanza e
da non disistimare,
perché la
bellezza viene anche da distanza;
e ciascuno - se tu guardi - è
ancora là
come pupazzo di stoffa stupito
nella sua discreta
eternità.
SCOIATTOLO
Tu
mansueto destino, camminante fortuna,
stelo piegato nelle guerre e
raddrizzato,
inciampo che non cascava, sorriso che mai
non
naufragava,
aiutami, papà.
Tu basco, pipetta e via
andare
contento del colore di una pera,
tu e le tue tinte così
azzurre sulla malta,
fatto di carezze discrete sulla malta, di
malta,
di cavernose locande, e canoniche in quel gelo,
di
sandali svelti e pulitezza,
pittore scoiattolo, lontano,
impicciolito,
spoglia passione senza cruccio,
nonnulla che
intorno aleggiava.
Adesso perlustro il terreno, la più
scarna
tua Lombardia,
a cercare i granelli di riso che a
cento
piano piano hai lasciato cadere,
tu Pollicino, e senza
neanche sapere:
mio arrovellato inseguimento.
da “MIELE E NO”
GATTO
Il
tempo cruciale, il più arduo svanire;
e il gatto malato per
dissenteria
(roba maligna) scenderà per dove
dormono i morti
senza suffragio.
Perciò ha azzerato qualunque movimento
-risorsa
elementare, tecnica pertinente-
il caro, saggio mucchietto di
ossa. Tuttavia
cosa vuoi che gli dica, e anche lui del resto…
I
suoi baffi non sono più gran che,
il pelo gramo rabbrividisce;
e
poi sta ognuno dentro sé recluso:
nocciolo inarrivabile.
Ci si
sbalestra da tutti i focolari,
però questa volta niente
insegnamenti,
se non la tua felina
signorilità, la poca
lagna.
da
"GENTE DI CORSA"
(BAMBINA Q.)
Con
la matita trabiccola traccia
sul foglio una linea, la strada,
poi la prolunga, ancora e ancora,
ancora più lunga: chiede
dove vada.
(BAMBINO B.)
Rincorre
il pallone, l'intero creato,
impara come dirigere il piede,
quello strapotere delle inerzie,
i rimbalzi di un mondo che
succede.
(BAMBINO O.B)
Rovista
lo zainetto, interne masserizie,
detriti di tram, foglietti in
sofferenza
ed un fiammifero: tesoro scarso
centrifugo come il
suo cuore; e di già arso.
(BAMBINA Z.U)
"Non
io stata, non stata", si difende
e stende avanti le dieci
dita:
stancante aurora, primi artifici
per dirottare i
fratelli, un pò nemici.
(SAMANTHA A.)
Lontano
da cemento e granoturco
la discoteca mulina potente.
E ad
alto ritmo, bevendo luci,
col corpo guizza su dall'epoca carente.
(COSTANTINA G.)
Piange
a quel film, fatto a strappacuore,
dove tradita è l'estetica,
assente la misura
e malrisposta perciò la commozione.
Ma è
la sua storia, la sua storpia direzione.
(SIGNOR
RELONDI)
Vuole
capire questo metamorfosare,
s'intestardisce sui giornali e la
politica
e beve la tivù, meditabondo,
per dileguarsi almeno
gravido del mondo.
(SIGNORA MOLTASI)
Dalla
poltrona sventola la mano:
"Come stai bene, come sei
cresciuto !
Tu sei mio figlio, oppure mio nipote ?"
Ma
poi le basta l'uno lì venuto.