Roberto
ROVERSI

Roberto Roversi è nato nel 1923 a Bologna, dove è scomparso nel 2012. Nel 2008 ha raccolto per le edizioni di Luca Sossella Tre poesie e alcune prose-Testi 1959-2004, un volume di 576 pagine che comprende buona parte della sua produzione poetica: Dopo Campoformio (nella versione 1965), Le descrizioni in atto (1969-85) e i versi degli anni Settanta e Ottanta riuniti nel Libro Paradiso (1993), oltre a due estratti dai romanzi Registrazione di eventi (1964) e I diecimila cavalli (1976), e a una scelta di scritti (tra 1959 e 2004) dal titolo Materiale ferroso, tra la teoria della poesia e l’azione politica. Nel 2010 ha dato alle stampe la versione integrale del poema L’Italia sepolta sotto la neve. Dal 1948 al 2006 ha svolto l’attività di libraio antiquario gestendo a Bologna la Libreria Palmaverde. Nel 1955 ha fondato con Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini la rivista Officina e nel 1961 una nuova rivista, Rendiconti. Ha scritto numerosi versi diventati testi di canzoni di Lucio Dalla (per gli album Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa e, sotto pseudonimo, Automobili, con la famosa Nuvolari ), e successivamente altri per il gruppo degli Stadio (Chiedi chi erano i Beatles, Maledettamericatiamo, Doma il mare, il mare doma dedicata a Maradona).

http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Roversi

POESIE

Mi fermo un momento a guardare
Non correre. Fermati. E guarda.
Guarda con un solo colpo dell’occhio
la formica vicino alla ruota dell’auto veloce
che trascina adagio adagio un chicco di pane
e così cura paziente il suo inverno.
Guarda. Fermati. Non correre.
Tira il freno alza il pedale
abbassa la serranda dell’inferno.
Guarda nel campo fra il grano
lento e bianco il fumo di un camino
con la vecchia casa vicina al grande noce.
Non correre veloce. Guarda ancora.
Almeno per un momento.
Guarda il bambino che passa tenendo la madre per mano
il colore dei muri delle case
le nuvole in un cielo solitario e saggio
le ragazze che transitano in un raggio di sole
il volto con le vene di mille anni
di una donna o di un uomo venuti come Ulisse dal mare.
Fermati. Per un momento. Prima di andare.
Ascoltiamo le grida d’amore
o le grida d’aiuto
il tempo trascinato nella polvere del mondo
se ti fermi e ascolti non sarai mai perduto.

Coppi
I sette soli d’estate fischiano sulla pianura
cascano sopra il fieno, la canapa, la valle.
Approdano anche le grandi navi del vento favonio
sulle spalle della pianura padana appena sgelata.
Prima dell’uomo il suo respiro calmo.
Prima del corridore il suo furore.
La ruota striscia sibila dentro la pietra aguzza.
La mano sul manubrio è gialla.
Gialla e astuta come la zampa dell’aquila pescatrice.
Lenzuoli colorati coprono di nebbia
le labbra senza testa di duemila pini scatenati
QUANDO COPPI E BARTALI CORREVANO IN BICICLETTA.

QUANDO BARTALI E COPPI
Il Galibier è una vetta
Il Tourmalet è un altra vetta.
Cime naturalmente tempestose e di-
scese nei boschi precipitose.
la gente aspetta in un silenzio feroce.
QUANDO BARTALI E COPPI CORREVANO IN BICICLETTA.

L’Italia è contadina
nei campi i buoi bianchi dalle corna di luna.
Una guerra terribile è ancora vicina
con le ossa tra le macerie della strada.
ma questa strada non ancora asfaltata porta ad un’altra strada.
Gli operai in tuta azzurra lasciavano
di giocare a palla per guardare e
Coppi leggero leggero come un pensiero appoggiato
sulle ruote dell’ombra che aveva strani bagliori saliva.
QUANDO BARTALI E COPPI.

QUANDO BARTALI E COPPI CORREVANO IN BICICLETTA.
La partenza è l’Aubisque.
L’arrivo è l’Izoard.
Minuti di ritardo. L’episodio cruciale. E al tramonto
sul traguardo il colpo di reni, un colpo di pedale.
La memoria non si caccia via coi sassi come un cane.
La memoria è storia non è oblio.

QUANDO COPPI E BARTALI
ero giovane anch’io.
Gino sembrava un todesco, Fausto un gatto
anzi no, una livra
e andava su storto per la fatica prima di scomparire
sotto un ponte dietro l’acqua del fiume.
Era sudato e come un lume senza più olio è andato a morire.

Iconografia ufficiale
La diga del Vajont è in VaI Cellina

a dodici chilometri da Belluno
è la più grande diga ad arco del mondo
alta 265 metri consente di invasare sino a un massimo
di 168 milioni di metri cubi d’acqua sul fiume Piave
per alimentare la centrale idroelettrica di Soverzene.
190 metri di coronamento carrozzabile
spessore al coronamento di 3 metri e 40 centimetri
spessore alla base 22 metri e 11 centimetri,
per costruirla sono stati impiegati
350.000 metri cubi di calcestruzzo
e mezzo milione di quintali di boiaca.
Crolla la diga del Vaiont
travolgendo interi paesi immersi nel sonno.
Era la più alta d’Europa.
Si cercano le vittime nel fango
il fango ha sommerso cinque borgate
fra i superstiti rassegnazione e
fatalismo: i superstiti non piangono.
Il dolore del paese, messaggio del Papa.
Le prime tele foto dal mare di sangue sopra Belluno.
A Pirago il paese si è frantumato
su questa piana c’era Longarone
ora è un mare di fango pavimenti di case.
La morte è scesa dall’occhio azzurro del Vajont.
Gli uomini vivevano sereni ai piedi della diga,
il fianco della montagna che si specchiava nel lago,

era da migliaia d’anni che si ergeva compatta e possente
Quell’immenso ghiaieto dove una volta erano case
ha oggi un aspetto allucinante.
Il paesaggio è lo stesso di quella città giapponese
dove era scoppiata una bomba,
alla luce del cielo terso
il paesaggio è di un biancore insopportabile,
televisione programmi sospesi,

dolore e mistero, catastrofe biblica.
Prime polemiche. Si poteva evitare?
Il presidente della repubblica
ha erogato una cospicua somma
per i primi soccorsi.
Il testo del telegramma
la notizia del gravissimo disastro
le laboriose popolazioni della valle del Piave
l’unanime sentimento di cordoglio del paese
animo profondamente commosso
reverente pensiero agli scomparsi
le famiglie così tragicamente provate
più affettuosi sentimenti di solidarietà.
Oggi Leone si recherà nel Cadore
– sentimenti vivo dolore
et profonda solidarietà
– pregola recare popolazioni colpite tanto flagello
sensi affettuosa solidarietà.
Un processo si deve fare
i responsabili si debbono trovare e debbono pagare.
Longarone Pirago Rivalta Villanova Faè
Codissago San Martino Spessa.
Calcolata perfettamente la diga
si è trascurata la parte geologica;
un sistema di centoquarantatre equazioni
con altrettante incognite
risolto per controllare
le caratteristiche costruttive; approssimative
le prove sulla struttura delle rocce.
Non è rimasto nulla.
Non nulla per dire poca roba: proprio nulla.
Quattro chilometri quadrati precipitati nel
fondo delle ere geologiche
in un tempo preumano
«l’Ava la stava qua?
magari la stesse qua. La stava a Rivalta
e a Rivalta non ghe più niente».
Diga perfètta ma roccia pericolosa.
L’anima nostra si raccoglie in preghiera
invocando eterna pace agli scomparsi ;
– per far rifiorire in quelle terre così laboriose .
la speranza di un avvenire
più sereno e sicuro
Certo è che, per citare un caso,
il paese di Valesella
un certo giorno cominciò ad andare in briciole
molte case dovettero essere abbandonate.
Ecco la valle della sciagura
nel crepuscolo del mattino
fango silenzio solitudine
e capire subito che tutto ciò è definitivo
più niente da fare e da dire.
In tempi atomici si potrebbe affermare
che questa è una sciagura «pulita»
tutto e stato fatto dalla natura
che non è buona e non è cattiva ma indifferente.
Mi ricordo che mentre la facevano
l’ingegnere Gildo Sperti della Sade
mi portò alla vicina centrale di Soverzene
dove c’era un grande modello di ottone
dello sbarramento in costruzione
ed era una scultura stupenda
Arp  e Brancusi ne sarebbero stati orgogliosi.
Più arrivano bare più arriva gente
in questo grande mercato della morte.
Il presidente Segni  è a Longarone
circondato dalle autorità
le autorità impettite e vestite a puntino
facevano gruppo isolato
attorno premeva la gente della montagna
«viene qui… da noi, ad ascoltarci».
Il consiglio dei ministri ha rivolto un riverente pensiero
ha espresso la commossa solidarietà
ha rinnovato l’assicurazione
– i provvedimenti intesi a dare pronta assistenza.
Un giovane piange la sua casa distrutta.
Nei magazzini degli aiuti ufficiali
vi sono soltanto quintali
di latte in polvere.
I discorsi dei miei concittadini.

Mai più! Mai più! Mai più!
I treni partivano
i treni arrivavano
“al mare” dicevano i treni
“alla montagna” dicevano i treni.
I treni ridevano
cantavano
erano felici i treni.
(Mai più! Mai più! Mai più!)

Il cielo era con nuvole azzurre
all’improvviso
il cielo è diventato nero
il cielo è diventato fuoco
il treno non è più partito
il treno non è più arrivato
il treno si è fermato (è in ginocchio per terra).
(Mai più! Mai più! Mai più!)

A un tratto il cielo
il cielo è diventato di fuoco
i bambini piangevano
le mamme gridavano
stesi per terra in silenzio
uomini donne bambine
mentre il sangue cadeva dal cielo.
(Mai più! Mai più! Mai più!)

Le nubi non erano più bianche
erano rosse di sangue
erano nere di fumo.
Poi il tempo è passato
i morti sono ancora con noi
con noi in partenza col treno
al mare in montagna.
(Mai più! Mai più! Mai più!)

Ascolto
ascolto
ascolto
Quello che vola lassù:
ci porta in vacanza
al mare o in montagna
fra le nuvole bianche
(Mai più! Mai più! Mai più!)

Ascoltate guardate
guardate la grande nave
passare
le onde
le onde calde del mare
nuotare
andiamo al mare.
(Mai più! Mai più! Mai più!)

Ascoltate
ascoltate
guardate
il treno
che arriva a Bologna
noi nella stazione aspettare
allegri per correre al mare.
(Mai più! Mai più! Mai più!)

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