Roberto
DONATI
Roberto Donati è nato nel 1980 ad Arezzo, dove vive. Docente, saggista e sceneggiatore. Tra i suoi ultimi libri: la raccolta di poesie postmoderni (Transeuropa, 2020), la monografia, pubblicata in italiano e in francese, C’era una volta il West di Sergio Leone (Gremese, 2018), il fumetto horror L’abisso è ovunque (Weird Book, 2019). Organizza e cura rassegne, retrospettive ed eventi culturali legati al cinema per conto di numerosi Istituti Italiani di Cultura (IIC) in Europa e nel mondo. Ha pubblicato, fra i tanti, con Falsopiano, Le Mani, Marsilio, EF Edizioni. Ha ideato e per anni diretto la collana Bietti Heterotopia. Ha lavorato come aiuto regista e assistente di produzione in Italia e negli Stati Uniti. Come membro Fipresci, ha seguito festival e rassegne internazionali di cinema (Egitto, India, Svizzera).
POESIE
da POSTMODERNI
Le coppie
Le coppie
sono quelle di ieri
sono quelle di oggi
le vedi sempre
da sole
in silenzio.
Passeggiano
passeggiano
passeggiano
in silenzio.
Si sente
solo
il tac tac
di tacchi alti
e non distante
il tump tump
di suole larghe
a terra
sempre più pesanti
sempre senza grazia.
Si frequentano
le coppie
da sole
o a coppie di coppie
in silenzio.
Tlin tlin
gelida
fa la forchetta
come va come non va
ti servo da bere?
puoi sentirli anche da qui
i loro discorsi
detti in silenzio
sempre uguali
da adulti
adulti.
Passeggiano
a volte una mano
intreccia
l’altra
cerca
e forse trova
la condivisione
di spazi
di pensieri
di ideali
di vita.
Passeggiano
le coppie
in silenzio
come da sole
unità più unità
mai somma
mai plurale.
Eppure
chi è solo
veramente
sa
eccome se sa
anche la divisione
frutta qualcosa
in termini puramente algebrici
fosse di segno negativo
non necessariamente positivo insomma
fosse qualcosa
che non sia sempre e soltanto
ogni giorno
quell’io – 1+0 – che rimbalza
di specchio in specchio
si rifrange
in case senza specchi
striscia sulle pareti
si posa sulle cose vive e
su quelle morte
e parla di una cosa sola
io io io io io
in silenzio.
Fosse qualcosa
anche di brutto
diverso da questa noia
sintattica in
prima persona singolare.
Bocche che fumano
Noto
come
con eloquenza
sfacciata eleganza
questa coppia
di fronte a me
passeggia e
fuma
sollevando e
abbassando
all’unisono
la sigaretta
formando e
riformando
un pensiero unico
una sola necessità
non curandosi del
silenzio
che si scambiano
impassibili
di boccata
in boccata
sempre uguali
tutte regolari
non curandosi di
chi li segue
che immagina
senza poterne fare a meno
bocche liquide di fumo
nell’eterna
attesa di un bacio
che rovinerebbe il
glamour del rossetto
appena screziato di grigio
di un residuo di tabacco
di lei
e il labbro appena arcuato
ancora insapore della
sua oralità
di lui.
L’invito
Sono
stato
testimone
attivo
di un
invito formale
giunto per
le vie
anonime
della rete.
Hanno
chiesto
di me
prima in una
poi in molti
senza sapere
chi fossi o
cosa facessi
chiedendo
solo
elemosinando
notti e
letti
sconosciuti
il tutto
sotto la mia
incondizionata
approvazione.
Sono
stato
testimone
attivo
di un
amore impossibile
ratificato
via e-mail.
Hanno
chiesto
di me
per necessità
bisogno
urgenza
disperazione
sperando
di trovare
una persona
gentile o
al massimo
disponibile
non una
sola e
affetta
da mancanza
di comunione
umana.
Sono
stato
testimone
attivo
di un
incontro insperato
passato
al setaccio
delle chat.
Hanno
chiesto
di me
e mi
hanno
trovato
riuscendo a
scoprire
cosa nasconde e
cosa permette
la solitudine
come si può
avere freddo
in una
giornata d’estate
come si può
non essere per
paura o
vigliaccheria o
depressione.
Sono
stato
testimone
attivo
di quanto pesa
il cenare
in piedi
per fare presto
prima e
non far aspettare
chi non ti aspetta
di quanto pesa
il cenare
in piedi
con il buio fuori
perché
apparecchiare
per sé
non ha bellezza
non ha senso.
Album
Ce l’hai Dossena?
A quattordici anni
ne parlò anche
il telegiornale
ricordo
un collezionabile
(un album, intendo)
cui mancava
un pezzo.
Era stato fatto
di proposito.
Era una truffa.
Giurando di averlo visto
(spergiurando, anche)
noi lo cercavamo
in ogni pacchetto
– ecco, ora esce! –
– vedrete, qui c’è! –
ce lo aspettavamo
come fosse dovuto
come il cane la ciotola piena
senza tanti perché
per il digiuno.
Oggi che pure
non sono passati
tanti anni
abbiamo
tutti stipato
cassetti di doppioni e
ci siamo
tutti detti
che quell’album ha
un nome e
la ricerca una scadenza.
Verso sera
Vorrei
provare
quella calma
intensa
di tranquillità
trovarti
tornando
a casa
verso sera.
Vorrei
potermi
poterti
dire
tu apparecchi
io cucino
amore?
al ritmo di
una luce
tremolante
che intanto
non è il buio
quando è sera.
Vorrei, potrei, mi piacerebbe
verso sera
la comodità
gioca in casa
un divano ampio
la seduta retta
vieni qui da me?
accoglie.
Probabilmente sarei perfetto.
È che non voglio.
Dove metto
le ombre
le nebbie
i morti
li ho dentro
mi parlano
ne sanno
una più del diavolo
figuriamoci dei vivi.
Cosa faccio
di questa bava
sottile
di lumaca, ultracorpo
ultrapensiero,
infatti ci vede oltre
infatti tu rispondi
e ti vede là
come se fossi qui
quando ti scrivo
verso sera
e forse è anche più tardi.
Ecco oggi
torno a casa
verso sera
le famiglie
nel supermercato
i marinai sono scimmie
sulle vele
del porto dirimpetto.
Mi fermo
vedo me dipartire
l’uno qua
l’altro là.
Mi fermo
e ti penso,
non sarai un’àncora
ma una boa sì.
La tua casa
Conosco
le vene di
tutto il paese.
Vene d’acciaio.
Conosco
tutte le arterie di
questo e
altri paesi.
Arterie di fumo.
Conosco
le rotte fatte
e sono instabili
di mare e aria.
Se non tutte,
quasi.
Niente da fare.
Fra tutte le cose
fra tutte le case
compresa la mia
la tua
è l’abbraccio stretto
è il respiro fermo
è la mammella che nutre
è il mondo in una stanza
anche quando
ti allontani,
sei sempre lì.
L’argine
Gonfiano le sponde
crepano le muricciate
travolti sono i primi animali.
L’argine
s’è rotto
il fiume
nella notte
straripa
i contadini
tutti nel paese
suonano l’allarme
la parola d’ordine è contenzione
provano e provano
è inutile tutto
non capiscono
se i campi secchi di prima
sono perduti
allagati
o germoglieranno.
Solo un neonato
non visto
a mezza luce
nella culla
lasciata sola
dall’emergenza
sorride
sogna l’acqua in cui ha nuotato
la stessa acqua
capisce senza errore
l’amore ha
attraversato un uomo.
Ti presterei volentieri il cuore
Ti presterei volentieri il cuore
in che condizioni lo troverai
l’aorta sghemba
il ventricolo consumato
l’atrio stanco
e per niente spazioso
ha vissuto
ha fatto il suo
a giudicare dal sangue che pompa
ha ancora tempo per te.
Int. aeroporto di Dubai/mattina presto
Bambino,
ero sicuro la fica
galleria di talpe
punto e virgola fra la piccola morte e
la grande
sbuca
tende alla luce
alla stregua di cicale
aggrappate ai
rimasugli del giorno.
Avevo ragione
del resto si
dice
‘dare alla luce’.
Uomo,
senza più sicurezze è solo
nel percorrerla
avanti indietro e
ancora
finalmente so chi non
sono
se non
una macchia di stelle
covata anche questa
nell’abbraccio di un buco nero
lo hanno chiamato cielo o
Beatrice.
(Che fica la Commedia!)
Spalanchi
pozzi di vertigine
sprofondi
là dove la vita è vita
sarai la Poesia.
Gli effetti della nicotina
Qualche sigaretta
di troppo
ti hanno reso la voce
(ti ha)
di ferina sensualità
come se una rauca tigre
ruggisse al tuo interno eco.
Per chissà quale processo
di osmosi
ne respiro erosive boccate
– lingue di bruciato più spettri dei miei sogni che nebbia – e
l’asma cerebrale si risveglia.
Credevo fosse più facile
di pendere dal male
non dall’innocente blasfemia alla quale ti volti
non dalle tue labbra alla nicotina.
Sapessi almeno
che differenza c’è
fra una rossa e una nazionale
per sapere
quanto sono vivo quanto sono morto.
Porto d’approdo
In tanto nitore di questa videociviltà
mi ritrovo a cercare
un punto di tenebra
sia pure un buco di spaziale nero
sia pure una rorida fica
Tutto qui
È l’autunno
sfrondato
dei salici piangenti.
Ogni volta
Ci scappa il tempo
un altro amore
lo stesso
inseguito mai raggiunto.
Scappa via.
Scia di mare
lampo riassorbito
ogni volta
in una notte perpetua d’esistenza.
Compunzione
Anche
se
non sono
il più
indicato per dirlo
ho diritto a un angolo di solitudine
ho diritto al mio inferno privato.
Ecce homo
Ho
un uccellino
a cui è morta la compagna.
Lo imito:
nel lamento di
bile
nel disperato soleggiare
di stanza in stanza di una
prigione
senza chiavi senza serrature.
Senza nemmeno,
io,
la malinconia di bei giorni perduti.
Mi perdo
in un amareggiare ordinato di
inutili
abitudini
tutte più vuote.
Meno
Poesie, e poi più:
monologhi di morti.
postmoderno
ho frammentato la prosa
e non ci ho trovato un senso
ma va bene così mi ha detto un critico
si arriverà a un poeta che si spiega
in postmoderno Donati analizza tautologie
a un robot che dia dignità a onde bip e a radiazioni crz
i cortocircuiti si chiameranno poesie
Ascoltando
Ascoltando il tuo silenzio
mi pare di sentire l’eco del mio
Vorrei fare la comunione
col tuo corpo. Ma
sono un girasole ed
è notte.
C’è bisogno di centellinare le parole
Non amo mescolarmi in orde assordanti
di armigeri danzanti
truccati a festa
C’è bisogno di centellinare le parole
Senza stelle
notte
nave
un faro
ovest
—è strano
—come ho fatto
—della mia vita un orologio svizzero
est
—e non sono riuscito a prendere
—l’unico treno,
—che non ripasserà
sud
—emigrante carico di valigie
—sono rimasto in piedi
—il fumo bruciava nell’attesa
—mentre un altoparlante borbottava
—barbari borborigmi
nord
—ma è l’anima che pesa, che non
—si scrolla di dosso
persino il cretese nauta aveva il suo neonato Virgilio,
sia pure verso l’inferno.
Mancanza
come l’acqua———————–non mi basterà
a chi ci si è sperso—————–un deserto d’oasi
nel caldo———————————per dissetarmi
Breccia
Mi capita
di fantasticare sopra le tue mani
mai ancora toccate.
Gli erotici contatti
– a te non l’ho chiesto –
non fanno per me.
Talvolta, poi,
mi sorprendo a pensare
chi di noi due sia più timido
chi la preda chi il predatore
chi nessuno dei due.
Forse, senza saperlo,
ci apparteniamo già.
La mano che disegnava sé stessa
autoannullazioni alla escher
di mani che cercano vene
per suppurare paradisi
col contagocce di un decalitro d’inferno
La fantasia in stand-by
hai
voglia
di dire
che i draghi
sono giurassici
come le playstation uno
anche allora era tutto un play stop rewind
illudersi del tempo che corre
per misurare la vecchiaia
non popola che cavalieri e burocrati di tutte le età
La possibile malinconia
Lo stereotipo della stazione
come nonluogo di addii (anche per chi ritorna)
smack smack ciuf ciuf pat pat
mi va stretto
Io, per dire, sono sul treno
e non mi ci sento
(neanche protetto)
Fra il viaggiare
di sorde ferraglie
e sparuti ascoltatori
è il transito di lunghe ombre
cui assistiamo
Come chi è sul cavallo e
solo
aspetta di cadere
per dirsi cavaliere
pedine di scacchiere
di partite da giocarsi
Sei parole (titolo escluso)
(REALPOLITIK) Berlusconi unisce l’utero al dilettevole.
(LA PALLOTTOLA) Le attraversò il cuore. Fu amore.
(PLAGIO) Amor, ch’ha nullo amato amar perdona.
(IL MACELLAIO) Voleva mangiare tonno, quel salame. Digiunò.
(CRONACA VERA) Contorsionista si chiude in sé stessa.
(TEXAS) Cespugli rotolanti ordinano ciambelle al bar.
(TELEGRAMMA) Scoperto senso della vita: morte. Stop.
Invitata al suo funerale, preferì vivere.
Dovrò aspettare l’Alzheimer per dimenticarti.
Ecco, entra, lascia fuori la vita.
TRADUZIONI
The Embankment
The banks swell
the walls crack
overwhelmed are the first animals.
The embankment
it’s broken
the river
in the night
overflows
the farmers
everyone in the country
sound the alarm
the watchword is restraint
they try and try
everything is useless
they do not understand
if the dry fields than before
they are lost
flooded
or they will sprout.
Just a baby
unseen
in half light
in the crib
left alone
from the emergency
smiles
he dreams of the water he swam in
the same water
understands without error
love has
crossed a man.
I know the folds of your hands
I know the folds of your hands
one by one
the big knot of
phalanges and of my
throat
short, neat nails,
the hollows of life
the scraps of that
vein
the round of the fingertips
your digital fingers
they move thin like
anchovies on the surface of the water
I browse them
and they are
pages of a novel
of which exists only
the beginning and the end
two words for the whole
the same
always unspeakable
ever since.
How do you forget
How do you forget
of the teacher’s note
of a hug from mom
but even a glance is enough
of the death of a friend
of the dried saltiness
in the late hours
of that blondie
after school
that Santa Claus existed?
How do I forget, I,
of your perfume?
If you know, and
you say that, I won’t believe it.
Address book
I ask nothing more
from life
to
become
your favorite
mobile number
I’m a liar, I
know, and
I expect too much.
Port of call
In so much clarity of
this videocivilty
I find myself looking
for
a point of darkness
albeit a black space
hole
albeit a moist cunt
Less
Poems, and then
more:
monologues of the
dead.