Roberta
DEGL’INNOCENTI
Roberta Degl’Innocenti è nata nel 1955 a Firenze, dove vive. Ha pubblicato di poesia: Il Percorso (1996, Accademia Vittorio Alfieri, Pref. G. Quinci e D. Masini), Colore di donna (2000, Chegai, Prefa. G. Fozzer), Un vestito di niente (2005, Edizioni del Leone, Pref. P. Ruffilli), D’aria e d’acqua le parole (2009, Edizioni del Leone, Pref. P. Ruffillli ), I graffi della luna (2012, Edizioni Del Leone, Pref. P. Ruffillli); di narrativa: Il Venditore di Palloncini e altre storie (1995, 2.a ed. 1997, Ibiskos, Pref. G. Panzani, C. Mezzasalma, G. Matthieu Chiocchini), L’Azalea (1998, Ibiskos, Pref. C. Mezzasalma), Donne in fuga (2003, Sassoscritto, Pref. A. Resti e E. Nistri); di poesia e narrativa: Come un piccolo sogno (2015, Masso delle Fate, Pref. M.R. Perilli). È anche autrice di fiabe: La luna e gli spazzacamini (2007, Edizioni del Leone) e Pisolina, la befana pigra (2014, Masso delle Fate).
robertadeglinnocenti@gmail.com
POESIE
da UN VESTITO DI NIENTE
UN VESTITO DI NIENTE
Un abito colore della pioggia, per favore.
L’indosserò con meraviglia celeste,
tuffo di lago, polla trasparente.
Squadre d’elfi guerrieri in fila,
a pettinarmi gli occhi di sorgente, chiari.
Un vestito di niente, lo so bene,
da stropicciare addosso, seguendone
le pieghe con la mano.
Un desiderio strano, irriverente.
Nuda di pioggia, naufraga del pensiero.
Prendetevi il mio cuore assassinato,
venduto in carta gialla da due lire
al mercato dell’acqua, insieme ai fiori,
una bottega sudicia, lampada a olio.
Ridatemi la pioggia a ridere i capelli.
Un vestito di niente, lo so bene.
ARGENTO E NERO
Ogni giorno il cuore mi stupiva
batteva con la testa in squilli di furore.
Scolpivo bambole pirata, elfi nascenti
sul palmo della mano e lacrime da bere.
Però c’era la notte che incantava, perfida
fino in fondo, regina degli abissi.
Bevevo acqua di rose e arsenico
in compagnia dei lupi, libera insieme
al branco correvo i fili di luna innamorata.
E li intrecciavo uno a uno, torcendoli
ai capelli: nero e argento, argento e nero,
padrona dei lupi in frusta di carezze.
Ma la mattina cancellava tutto, presagiva
ancora ombre di luna, nel fiato dell’alba
in nostalgia di ciglia.
Ogni giorno il cuore mi stupiva.
La notte intrecciavo argento e nero.
CANZONE
Ti scrivo una canzone per le sere
d’inverno quando una luce bruna
si fa fumo e crepitano nell’ombra
le parole, quando la nebbia si consuma
piano, dipinge le figure e le fa sogno,
se muoiono nell’ombra le parole
tu grida forte un nome –per favore.
Ti scrivo una canzone per sognare,
un desiderio liquido –non trovi?-
sognare di sognarti: un pensiero
stupendo –canzone già sentita-
all’ombra dei ricordi hanno rumore
basso le parole.
Ti scrivo una canzone per le sere
d’inverno che profumi di pane e
rosmarino, quando ancora la neve
si fa fiore, troppo lunghi i capelli
sul filo del respiro.
Una canzone pigra, da mordicchiare
lenta, se i colori addormentano la notte
tenera nudità sui seni bianchi,
e l’impronta di te sulle mie mani.
da D’ARIA E D’ACQUA LE PAROLE
BALLATA DEI POETI
Acchiappo versi come le farfalle,
mi sfuggono da un lato e li riprendo,
li stiro bene con un gioco di sillabe
e poi li allungo ancora. Mi basta poco,
davvero, per essere felice.
I poeti non conoscono la fame,
mangiano ingiurie e bevono bestemmie,
se li incontri per strada non temerli,
in fondo sono dei perdenti docili.
A volte vincono, però, la sfida col destino
e appaiono nei secoli a venire.
Sono buffi, talvolta indecorosi.
Vestono abiti larghi sui corpi allampanati.
Se li vedi un po’ assorti lasciali pensare.
Un verso, basta un verso, per essere felici.
I poeti sono tutti un po’ bastardi, non hanno
patria né rancori forti, affondano la vita
senza mordere e se lo fanno è solo per diletto.
Per scrivere usano fogli riciclati, ormai vecchi,
stracciati. Però i poeti sono anche angeli, volano
le tempeste sopra il cielo, sono puri davvero.
Si specchiano nei lembi di sorgente, soffiano
sopra i sogni dei bambini e li volano, li volano
per sempre.
Un verso, basta un verso, per essere felici.
Un verso, anche sbiadito,
che vinca la paura della morte.
LA GONNA DEI PAPAVERI
Ho tagliato i capelli, un tuffo sbarazzino.
La gonna dei papaveri sorride.
L’ho lasciata in soffitta, in gusto grigio.
Non ci parlo da tempo, contava mazzi di spighe
e capezzoli acerbi, dritti verso il cielo.
Brezza d’agguato sulle mani nude,
unghie laccate rosse, come una ferita.
La gonna dei papaveri era di una ragazza.
Gemito di fieno, a maggio, sopra il campo.
Urlo di glicine, stretto sulle mura.
Scialli di cattedrali le parole, lampo di tuono,
tregua di silenzio.
Ho tagliato i capelli, un gioco paglierino.
S’incantavano troppo, impazienti le trecce,
scogli di nodi, spuma trasparente.
C’è un momento di tregua per il vento,
mi canta una ballata nostalgia.
La gonna dei papaveri sorride.
Cicala pellegrina, pareti d’aria i sogni.
da I GRAFFI DELLA LUNA
OGNI DONNA
Nel cuore di ogni donna c’è un segreto
un brivido leggero, un sogno strano,
qualcosa che si perde in turbamenti,
in ansie piccoline di canzoni.
Tu cerca di raccogliere il segnale,
l’ombra rossa che freme,
la porta dell’attesa, il piacere
che vaga sulle ciglia, il ricamo
del verso sulla pelle.
Noi donne siamo esseri di vento,
di terra bruna al guizzo della serpe,
fronde di un’onda incerta sulla danza,
farfalle stanche sui colori accesi.
Nascondiamo le lacrime in cassetti,
chiudendo a chiave l’orma del rimpianto.
Se sante o meretrici non importa
quando l’azzurro circuisce il cielo.
CHIAROSCURI
Nel giorno che confonde i chiaroscuri
la luce si fa breve, il passo incerto.
Danza di ombre liquide, furtive.
Fantasmi della notte si ritirano
in geometrie di grigio, umide al sonno.
Impudente il respiro.
La penna amore è torpore e grida,
fruga gli anfratti, modella le lenzuola,
mi ritma il battito quasi fosse un volo.
Non c’è l’azzurro che dimora il cielo
ma l’odore graffiato delle foglie,
privilegio del tempo.
Il desiderio è onda che comprime, la
mano sulla pelle, rumore delle alghe
che danzano la riva.
E non ho mai smarrito labbra rosse,
nel cerchio delle rose.
Di perle e spine, folletto o meraviglia.
DESIDERI
Nel grembo della notte i desideri
sono aquiloni liberi, il fiato della rosa
che smarrisce, le lancette
d’un tempo tentazione.
Impossibile diluire i sogni.
Arrivano improvvisi sul respiro,
rubano carta e virgole,
si fermano sui punti fiordaliso.
Di terra e amore s’inchina l’ora quieta,
colma di tarli e cellule impazzite.
Nel grembo della notte i desideri
sono ombre umide, preda e cacciatore.
Sorprende la pigrizia dello sguardo.
Di pelle accesa veglia un’ora viola,
un fruscìo umido, l’agguato della luna.
Volo guerriero a sbigottire il cielo.
da COLORE DI DONNA
MI SFIORA UN DESIDERIO
Mi sfiora un desiderio di sorgente
nella dolcezza che danza la mia sera.
Si perde in questa nudità segreta,
spiata e colta al crepitìo dell’ombra.
Se bussi alla mia porta di sirena
mi coglie il canto e ammutolisce l’ora.
Sono il guerriero disarmato al vento,
la musica che prega e si consuma
COPRE LA TERRA
Copre la terra
il tuo sorriso stanco
nell’ora che spalanca
alla ragione,
abissi mai sopiti
di memorie
uccise e ricomposte
dentro il petto.
Ti vedo in trasparenza
come in volo, padre
che pretendevi la mia mano,
mano ribelle
di femmina guerriera.
Copre la terra
il tuo respiro chiaro
che ingoia la bestemmia
dentro un fiore,
smarrito nell’abbraccio
del perdono.
La zolla è riarsa,
livida la carne
che porge in morte
il dono e si riposa.
TRADUZIONI
UN HABIT DE RIEN
Un habit couleur de la pluie, s’il vous plaÎt.
Je le metterai avec merveille céleste,
plongeon de lac, source transparente.
Équipe d’elfes guerriers en file
me peignent les yeux de source, clairs.
Un habit de rien, je le sais bien,
à froisser sur moi, tout en suivant
les plis avec la main ouverte.
Un désir étrange, irrespectueux.
Nue de pluie, naufragée de la pensé.
Prenez pour vous mon cœur assassiné,
vendu en papier jaune à deux francs
au marché de l’eau, avec les fleurs,
une boutique sale, lampe à l’huile.
Redonnez moi la pluie à rire le cheveux.
Un habit de rien, je le sais bien.
EXTENSION DU JAUNE
(à Vincent Van Gogh)
C’est un grand cadeau la folie,
celle qui te fait serrer et voler,
serrer le dents, crisper les poignes,
en voltigeant une pensée vagabonde
qui tombe dans la boue, entre les
détritus, en bas, au bout, caméléon
hispide en forme de rose.
C’est un grand cadeau la folie. Celle
qui dirige la plume, puis ément le rire
gouailleur, masque menteur.
Arlequin de notes. Extension du jaune.
J’écrivais sur le murs des maisons
– en rêve, certes – avec des feutres
gros comme un doigt, l’écrivais le cri
de la mouette qui se tue en vol
dans la tempête.
Un homme peignait sa fureur.
Vieux pinseau de tournesols ouverts
comme lévres et comme chambre enfante.
Drapeau de vaincus ou de vainqueurs?
Qui peut le dire? Un homme peignait son tresor:
Vol de carbeaux et blé jaune paillé.
Je chantais les notes que l’esprit cache:
Extension du jaune pris aux tournesols.
ARGENT ET NOIR
Chaque jour le cœur m’étonnaits
il battait dans ma tête avec des éclats de fureur.
Je sculptais des poupées “pirate”, des elfes
Naissants sur le paume de la main, des larmes à boir.
Toutefois c’était la nuit qui me charmait,
tout à fait perfide, mais reine des abÎmes.
Je buvais eau de roses et arsenic
en compagnie des loups, avec leur bande mais libre
je courais poursuivant les fils de lune, éprise.
Et je les tressais un à un, les tordant
Aux cheveux: noir et argent, argent et noir,
en commandant mes loups avec fouet et caresses.
Mais le matin effaçait tout, encore
en prévoyant des hombre de lune,
dans le souffle de l’aube en nostalgie des cils.
Chaque jour le cœur m’étonnait.
La nuit je tressais noir et argent.
CHANSON
Je t’écrive une chanson pour le soir
d’hiver lorsque une lumière brune
se fait fumée et dans l’ombre les mots
crépitent, lorsque le brovillard se consume
doucement, peint des images et en fait des rêves.
Si les paroles meurent dans l’ombre,
s’il te plait crie haut un nom.
Je t’écrive une chanson pour rêver,
un désir liquide – n’est-ce pas? –
rêver de te rêver: une pensée splendid,
une chanson que j’ai déjà entendue.
À l’ombre des souvenirs les mots ont un bruit bas.
Je t’écrive una chanson pour les soirs
d’hiver qui profument de pain et romarin
lorsque la neige encore se fait fleur
et trop longues le cheveux au fil du souffle.
Une chanson paressence, à mordiller
Lente, si les couleurs endorment, la nuit,
tendre nudité sur les seins blancs
et l’empreinte de toi sur mes mains.
BALLADE DES POĖTES
J’attrape des vers comme des papillons,
s’ils m’échappent d’un côté je le reprend,
je les étire bien avec un jeu de syllables
et après je les allonge encore. Il me suffit
vraiment peu pour être heureux.
Les poètes ne connaissent pas la faim,
mangent des injures, boivent des blasphèmes,
si tu les rencontre en route, pas de crainte,
au fond ils sont des perdents dociles.
Parfois ils sont tout de meme vinqueurs,
au défi du destin, dans l’avenir des siècles.
Ils sont comique, quelque fois indécents.
Ils portent des habits larges sur des corps maigres.
Si tu les vois un peu absorbés
laisse qu’il pensent.
Un vers, un vers suffit pour être heureux.
Les poètes sont tous un peu bâtards,
ils n’ont pas de patrie, ni rancœurs forts,
ils plongent la vie sans mordre
mais s’ils le font c’est pour amusement.
Pour écrire ils employent papier recyclé,
désormais vieil, déchiré.
Mais les poètes sont aussi des anges,
il volent dans le ciel sur les tempêtes,
ils sont vraiment candides.
Ils se mirent dans les coins de source,
soufflent sur les rêves des enfants,
ils volent, ils volent pour toujours.
Un vers, un vers suffit pour être heureux.
Un vers même pâli,
qui sait vaincre la peur de la mort.
(trad. G.P. Brunelli)