Atonia Pozzi era nata a Milano nel 1912. Nel 1930 si iscrisse alla facoltà di filologia dell'Università statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, e seguì le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, col quale si laureò nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert. Avvertiva intanto il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l'età delle parole è finita per sempre», scrisse quell'anno a Sereni. A soli ventisei anni si tolse la vita. Nel suo biglietto di addio ai genitori scrisse di «disperazione mortale». Si uccise con una dose di barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante l'abbazia di Chiaravalle. La famiglia negò la circostanza del suicidio, attribuendo la morte a polmonite e il suo testamento fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite. Tutte le sue opere sono state pubblicate postume. Nelle edizioni più recenti è stata ricostruita la genesi delle sue poesie. Le sue raccolte: Parole (Mondadori, 1939, I ed., 91 poesie; 1943, II ed., 157 poesie; 1948, III ed., 159 poesie; 1964, IV ed., 176 poesie, con prefazione di E. Montale), La vita sognata ed altre poesie inedite (Scheiwiler, a cura di A. Cenni e O. Dino, 1986), Parole (a cura di A. Cenni e O. Dino, Garzanti, 1989 e 2001), Poesia, mi confesso con te. Ultime poesie inedite 1929-1933 (a cura di O. Dino, Viennepierre, 2004), Tutte le opere (a cura di A. Cenni, Garzanti, 2009), Lieve offerta, Poesie e Prose (a cura di A. Cenni e S. Raffo, Bietti,2013). Opere in prosa: Diari (a cura di O. Dino e A.Cenni, Scheiwiller, 1988), L'età delle parole è finita. Lettere 1925 - 1938 (con prefazione di A. Cenni, Archinto, 1989), Diari e altri scritti (a cura di O. Dino, Viennepierre, 2008), Pozzi-Gadenz, Epistolario 1933-1938 (a cura di O. Dino, Viennepierre, 2008).
Link http://www.antoniapozzi.it/
Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Antonia_Pozzi
POESIE
da TUTTE LE OPERE
Non
avere un Dio
non avere una tomba
non avere nulla di fermo
ma
solo cose vive che sfuggono –
essere senza ieri
essere senza
domani
ed acciecarsi nel nulla –
– aiuto –
per la
miseria
che non ha fine –
10 febbraio 1932
Tu la
notte io il giorno
così distanti e immutevoli
nel tempo
così
vicini come due alberi
posti uno di fronte all`altro
a creare
lo stesso giardino
ma senza possibilità di
toccarsi
se non
con i pensieri
Tu la notte io il giorno
tu con le tue stelle e
la luna
silenziosa
io con le mie nuvole ed il
sole
abbagliante
tu che conosci la brezza
della sera
ed io che
rincorro il vento
caldo
fino a quando giunge il
tramonto
I
rami divengono mani
tiepide
che si intrecciano
appassionate
le
foglie sono sospiri
nascosti
le stelle diventano occhi
di
brace
e le nuvole un lenzuolo che
scopre la nudità
La
luna e il sole sono due
amanti rapidi e fugaci
e non siamo più
io e te
siamo noi fusi insieme
nella completezza della luce
fioca
ondeggiante come la marea
in eterna corsa...
So
cosa significa amore
quando il giorno muore
Chi mi
parla non sa
che io ho vissuto un’altra vita –
come chi
dica
una fiaba
o una parabola santa.
Perchè
tu eri
la purità mia,
tu cui un’onda bianca
di tristezza
cadeva sul volto
se ti chiamavo con labbra impure,
tu cui
lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano
in alto –
e così ti parevo più bella.
O
velo
tu – della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità
svanita –
o nodo
lucente – di tutta una vita
che fu
sognata – forse –
oh,
per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che
restano –
il ramo morto di tutti i giorni che restano,
che
servono
per piangere te.
25 settembre 1933
Vorrei
che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei
pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di
nebbia –
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto
viale, segnato
d’esili ombre -
fino a una valle d’erboso
silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il
canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non
profonda –
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che
la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.
5
dicembre 1934
Io non
devo scordare
che il cielo
fu in me.
Tu
eri il cielo
in me,
che non parlavi
mai del mio volto, ma solo
quand'io
parlavo di Dio
mi toccavi la fronte
con lievi dita e dicevi:
–
Sei più bella così, quando pensi
le cose buone –
Tu
eri
il cielo in me,
che non mi amavi per la mia persona
ma per quel
seme
di bene
che dormiva in me.
E se l'angoscia delle
cose a un lungo
pianto mi costringeva,
tu con forti dita
mi
asciugavi le lacrime e dicevi:
– Come potrai domani esser la
mamma
del nostro bimbo, se ora piangi così? –
Tu
eri
il cielo in me,
che non mi amavi
per la mia vita
ma per
l'altra vita
che poteva destarsi
in me.
Tu
eri il cielo
in me
il gran sole che muta
in foglie trasparenti le zolle
e
chi volle colpirti
vide uscirsi di mano
uccelli
anzi che
pietre
– uccelli –
e le loro piume scrivevano nel
cielo
vivo il tuo nome
come nei miracoli
antichi.
Io
non devo scordare
che il cielo
fu in me.
E quando per le
strade – avanti
che sia sera –
m'aggiro
ancora
voglio
essere una finestra che cammina,
aperta, col suo
lembo
di azzurro che la colma.
Ancora voglio
che s'oda a
stormo battere il mio cuore
in alto
come un nido di campane.
E
che le cose oscure della terra
non abbiano potere
altro – su
me,
che quello di martelli lievi
a scandIre
sulla nudità
cerula dell'anima
solo
il tuo nome.
Guardami:
sono nuda. Dall'inquieto
Languore della mia capigliatura
Alla
tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza
acerba
inguainata in un color avorio.
Guarda: pallida è la
carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne
traspare. Solo un languido
Palpito azzurrino sfuma in mezzo al
petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
È la curva dei
fianchi, ma i ginocchi
E le caviglie e tutte le giunture,
ho
scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m'inarco nuda, nel
nitore
Del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un
letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa
supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.
Oh, tu
bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi
perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.
Poesia, mi
confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu
lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu
mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia –
quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi
canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno
l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia,
poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a
ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni
soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi
tu degna di te,
poesia che mi guardi.
Forse
non è nemmeno vero
quel che a volte ti senti urlare in cuore:
che
questa vita è,
dentro il tuo essere,
un nulla
e che ciò
che chiamavi la luce
è un abbaglio,
l'abbaglio supremo
dei
tuoi occhi malati -
e che ciò che fingevi la meta
è un
sogno,
il sogno infame
della tua debolezza.
Forse la
vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio
eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.
Ma
noi siamo come l'erba dei prati
che sente sopra sé passare il
vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure
non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare
su dalla terra
per annegarsi in lui.
Stanotte
un sussultante cielo
malato di nuvole nere
acuisce a sprazzi
vividi
il mio desiderio insonne
e lo fa duro e lucente
come
una lama d'acciaio.
a L. B.
umida
strada
cielo d'ametista
lacrime e lacrime
sulle tue lunghe
ciglia
sulle mie lunghe dita
ma la mia anima
canora contro
il vento
come un drappo di seta
a sbandierare
frenetica di
strappi
per versare in uno squarcio
la sua giovinezza
ed
inondarne te
nuvola bionda
impolverata dalla vita
Aggiorna
sulla luna
e a noi persuade il sonno
questa faccia distolta dal
sole,
la campagna profondata negli oceani.
Per un varco di nubi
ancor balena
in poche stelle la vita lasciata:
mentre sugli
occhi piombano le ciglia
e suda fresco umore
sulla bocca dei
cani muti.