La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Claudio Pozzani


 

Claudio Pozzani è nato nel 1961 a Genova, dove vive. Le sue poesie sono tradotte e pubblicate in varie lingue e sono comparse in antologie e riviste di poesia internazionale contemporanea. Tra i suoi libri: "Saudade & Spleen" (Editions Lanore, Paris, 2000 - 2a ediz. 2002), "Kate et moi" (Editions La Passe du vent, Lyon, 2002), "La marcia dell'ombra" (libro-CD, CVTProduzioni, 2010), "Cette page déchirée" (Editions Al Manar, Paris, 2012), “Venti di Poesia” (Libero di Scrivere, 2015), "La marcha de la sombra" (Verbum, Madrid, 2016). Ha creato nel 1995 e dirige tuttora il Festival Internazionale di Poesia di Genova "Parole spalancate". Nel 2001 ha fondato a Genova la Stanza della Poesia, che organizza ogni anno oltre 150 eventi. Nel corso degli anni ha organizzato numerosi eventi di poesia internazionale in Francia, Finlandia, Belgio, Giappone, Austria e Germania.

 

Email clapozzani@gmail.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Claudio_Pozzani

 

 

POESIE

 

A MIA MADRE

 

Ti ho visto in faccia in quella stanza

io sporco di sangue e muco

tu stravolta e curiosa

Ho tentato di dirti che non ero sicuro

di voler restare fuori di te

ma le parole che avevo in testa

nella mia bocca si impastavano male

Avevo appena imparato che tutta la vita

sarebbe stata ipocrisia e paradosso

ti avevo appena fatta soffrire

ti avevo fatto sanguinare

eppure ero io a piangere e tu a sorridermi

Ti ho visto in faccia in quella stanza

mentre mi portavano via

C'era troppa confusione

per dirti quanto fossi felice

di poter finalmente dare un viso

al ventre che mi aveva ospitato

E più tardi con i miei colleghi

si discuteva di reincarnazione,

di eterno ritorno, dei cicli di Vico

ma non vedevo l'ora di rivederti

e di conoscere il tuo uomo e vostro figlio

dei quali sentivo la voce ovattata e lontana.

Ti ho visto in faccia in quella stanza

e darei tutto quello che ho per ricordarmene.

 

 

 

EPICEDIO

 

Non sento orti dentro me

solo steppa e tundra

Nessun fruscio di crescita o di vita

Nessuna trasformazione

Nessun organo di luce

Soltanto scie grigie

come vortici di numeri di roulette

e lampi magri

come radici di pianta carnivora

che divora angeli e aerei

al di sopra delle nubi

 

Non sento porti dentro me

solo navi bombardate

Nessun formicolio di pulsante gioia attiva

Nessun trasporto o sollevamento

Nessun roteare di fari

Soltanto voragini e banchine sbrecciate

solo ganci di gru abbandonate

che dondolano al vento come donne impiccate

 

Non sento morti dentro me

solo scheletri e silenzi

Nessun ricordo spezzato

come un ombrello dal temporale

Nessuna ernia da sollevamento lapidi

Nessun cacciavite a inchiavardare bare

Soltanto un asindeto di visioni amare

solo semafori lampeggianti grigio

in incroci deserti orfani di clacson

 

Non sento forti dentro me

solo tende strappate

Nessuna donna che si fa sull’uscio

a salutare l’uomo che va via

Nessuna casa dalla schiena di pietra

Nessuna chiesa con le croci intere

Soltanto ombre impresse sui muri

e ponti che percorre solo il vento

e solo il vento un giorno potrà ritornare.

 

 

 

DANZO

 

Danzo la danza delle idee geniali

sperando che tu mi dica qualcosa di nuovo

Danzo la danza dei perdenti e perduti

sapendo che i miei passi saranno vani

Danzo la danza degli ingenui felici

credendo che il mio sudore serva a qualcuno

Danzo la danza dei profittatori

e danzerò finché mi pagherai

 

E danzo, danzo, danzo

per vincere la mia arroganza

Danzo, danzo, danzo

il perché non ha importanza

 

Danzo la danza dei maledetti

perché lo spleen mi arriva fino al torace

Danzo la danza dei presuntuosi

perché anche tu lo sei se ti credi al mio livello

Danzo la danza degli indesiderati

mi sono allenato molto davanti alle porte chiuse

Danzo la danza degli insofferenti

ti puoi spostare un po' più in là, per favore?

 

E danzo, danzo, danzo

fino a che resterò in piedi

Danzo, danzo, danzo

perché sei tu che me lo chiedi.

 

 

 

VENGO A PORTARTI UNA POESIA DI NERUDA

 

Ho un galoppo nel cuore

e onde al guinzaglio

Di questo mare insepolto

impasterò vento e sabbia

per costruire i tuoi piedi rumorosi

e sentirli danzare dentro i miei occhi

Per raggiungerti salgo

dal mare alla collina

La mia testa si ridisegna stella

per chiamare le tue voci

Le mie labbra si arcuano stanche

in sorrisi autunnabondi e distratti

E io sono qui,

su questo autobus che scuote il mio corpo

come un dado

come un tappeto

arrancando su polverose strade

rese mute dalla pioggia improvvisa

Le farfalle applaudono al mio passaggio

sbattendo le ali

sopra le pozzanghere che ingoiarono Narciso

Ho un galoppo di onde

nel mio cuore al guinzaglio.

Portami dove si possa dimenticare

questo secolo che ci vede esiliati,

questi temporali

che non riescono più a rinfrescarci,

queste celebrazioni e abbracci

che sembrano inutili corone di fiori.

Il mare è laggiù

lontano come un progetto abbandonato

le ruote sparano sassi e ricordi

sulla salita che la tua casa mi srotola davanti

Sono l'intagliatore di foglie di carciofo

e ti porto in dono sagome di nubi

A te,

bicchiere dall'orlo sbeccato

che non posso baciare senza ferirmi

A te,

orecchio reciso e gettato su un prato

per ascoltare i segreti delle formiche

A te,

porto in dono la mia giacca logora,

la mia resistenza

e questa poesia smarrita di Pablo Neruda.

 

 

 

LA DONNA DALLE LACRIME DOLCI

 

Sei la donna dalle lacrime dolci

Ogni tuo gesto è una fiamma leggera

Sei l'ombra, sei il gatto che fugge e poi ritorna

Sei l'impatto del treno contro i rami sporgenti

 

Un alambicco pieno di mercurio e di zolfo

bolle di notte tra i tuoi seni perfetti

Quanti alchimisti hanno perso i polmoni

inseguendo i fumi del tuo corpo sudato!

 

Sei la donna che detta il ritmo delle stagioni,

che dimezza l'attesa tra un mio battito e l'altro

Sei Venere che sorge da una colata di lava

Sei Psiche che tiene sempre accesa la luce

 

Calpesti la terra e neanche ti accorgi

che ad ogni tuo passo prende vita un giardino

Per i tuoi capelli il vento sta ringraziando Dio

per avergli donato uno scopo di vita

 

 

 

SONO

 

Sono l’apostolo lasciato fuori dall’Ultima Cena

Sono il garibaldino arrivato troppo tardi allo scoglio di Quarto

Sono il Messia di una religione in cui nessuno crede

        Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto che non cede

 

Sono il protagonista che muore nella prima pagina

Sono il gatto guercio  che nessuna vecchia vuol carezzare

Sono la bestia idrofoba che morde la mano tesa per pietà

        Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto senza età

 

Sono l’onda anomala che porta via asciugamani e radioline

Sono il malinteso che fa litigare

Sono il diavolo che ha schivato il calamaio di Lutero

Sono la pellicola  che si strappa sul più bello

        Io sono l’escluso, l’outsider,  un chiodo nel cervello

 

Sono la pallina del flipper che cade un punto prima del record

Sono l’autorete  all’ultimo secondo

Sono il bimbo che ghigna contro le sberle della madre

Sono la paura dell’erba che sta per essere falciata

        Io sono l’escluso, l’outsider, questa pagina strappata

 

 

LA MARCIA DELL’OMBRA

 

Stanno cadendo corde dal cielo

e gelide catene ti danzano attorno

E’ un mondo di nodi da sciogliere al buio

tra un lampo e l’altro di fosforo e grida

E’ un groviglio di corde che rifiutano forbici

E un pettine che s’incastra

dentro chiome che non pensano

 

E’ ombra    ombra

E’ un battito di ciglia ancora

 

Mi guardo attorno e vedo muri

persino il mio specchio è diventato un muro

sui tuoi seni è cresciuta una pelle di muro

il mio cuore, i miei sensi reincarnati in muri

E continuano a piovere preghiere e bestemmie

che evaporano appena toccan la sabbia

e continuano a strisciare in un silenzio velenoso

avverbi, aggettivi,  parole senza suono

 

E ombra    ombra

e un battito di ciglia ancora

 

Del sole vedo solo il suo riflesso

nelle pozze iridescenti di acqua piovana,

della luna indovino la presenza nel buio

dal lontano abbaiare dei cani legati

La mia pace non è la mancanza di guerra

La mia pace è l’assenza del concetto di guerra

 

Non ombra      ombra

ma un battito di ciglia ancora

 

TRANSLATIONS

 

Shadow March

 

Ropes are falling from the sky

and frozen chains dance round you

It’s a world of knots

to be unraveled in the dark

between a bolt of phosphorus

and one of cries

It’s a tangle of ropes

that defy the scissors’ hands

A comb that gets caught

in an unthinking mane

 

Shadow… shadow

Another blink of the eye (and then it’s)

 

I look around myself and all I see is walls.

Even my mirror has become a wall.

On your breasts a skin of wall has grown

My heart, my senses

Reincarnated in walls

And prayers and curses keep on raining down

Evaporating as soon as they touch the sand.

And adverbs, adjectives and words without a sound

Slither away in a poisonous silence

 

Shadow… shadow

Another blink of the eye

 

Of the sun I see only its reflection

In iridescent puddles of rainwater

Of the moon I perceive its presence in the dark

In the faraway barking of chained dogs.

My peace is not the lack of war

My peace is the absence of the concept of war.

 

Shadow… shadow

Another blink of the eye and then it’s…

THE WOMAN OF THE SWEET TEARS

 

You are the woman of the sweet tears

Every single gesture is a light flame

You are the shadow, you are the cat that flees and then returns

You are the impact of the train against the overhanging branches

 

An alembic full of mercury and sulphur 

boils at night between your perfect breasts

How many alchemists have lost their lungs

pursuing the fumes of your sweaty body!

 

You are the woman that dictates the rhythm of the seasons,

that halves the lapse between one of my heartbeats and the next

You are Venus rising from a lava flow

You are Psyche holding the lamp aglow

 

You trample the earth without even realizing

that at every step you take, a garden springs forth

For your hair the wind thanks God

for having given it a reason to live

 

 

I dance

 

 

I dance the dance of brilliant ideas

hoping that you will tell me something new

I dance the dance of the losers and the lost

knowing that my steps will be in vain

I dance the dance of the happy naive

thinking that my sweat will help somebody

I dance the dance of the profiteers

and I will dance until you'll pay me

 

        And I dance I dance I dance

to overcome my arrogance

I dance I dance I dance

the why has no importance

 

I dance the dance of the damned

because the spleen reaches my thorax

I dance the dance of the presumptuous

Because you too are one of them if you think you're in my league

I dance the dance of the undesired

I’ve trained myself a lot in front of closed doors

I dance the dance of the intollerants

Can you move over a little, please?

 

        And I dance I dance I dance

        until I’ll remain standing

        I dance I dance I dance

        because it’s you who are asking

 

 

 

A drink downtown

 

My heart is an empty chair

where no one wants to sit

and my brain a soggy sponge

the angels wring into your glass

 

And that burning oxidian glance of yours

slides down your nose and turns into a kiss

and down and down, to our knees

that touch, and move apart

exchanging desires of bone and synovitis.

A drink downtown

and I am at a loss

Bistrot table, hors d’oevres plates, breasts against a sweater, rims of glasses,

it’s a delirium of rotundity running away

a moth hitting against the windows of your silence

        The street dances quickly out of the corner of our eyes

        Fingers are hooks to hang your smiles on

Give me a word to frame and hang tonight above my bed

because it’s tired you know

of Madonna tears

and the dripping of perpetual stigmata

Give me your feet

and maybe even double them

so I can shoe the legs of the kitchen table

and kiss them at every breakfast

worshipping in laic and carnal oration

Or, get up, let’s go.

Open that tan compass

that was used to trace the equator

Against the sunset

your black profile

weaves together with the stenography

of the hilltops

and every step you take is an exclamation point.

Let me be the shirt

under the red iron of your tongue

Let me be the sea

for your squid hands

swollen with ink and certainties

And tonight

I will listen to the harpstrings of your narrow feet

between the sheets and flames

and I will close your palms

after having read there the last unforgettable chapter of my day.

Let me be the one to open

the door to your dreams

before resting

my eyes on the nightstand

and the world on Atlas’s shoulders.

 

 

 

I am

 

I am the Apostle

left out from the Last Supper,

One of Garibaldi’s men

too late to the rock of Quarto

I am the Messiah

of a religion with no believers

 

I am the excluded, the outsider, the damned who won’t surrender.

 

I am the main character

who dies on the first page

The stray and mangy cat

no old lady wants to pet

I am the rabid beast

that bites the hand that feeds it

 

I am the excluded, the outsider, the damned in eternity

 

I am the unexpected wave

stealing towels and radios

The misunderstanding

making couples fight

I am the devil

dodging Luther’s inkpot

The reel of film that snaps

Before the final scene.

 

I am the excluded, the outsider, a hammer in the brain

 

I am the pinball that’s swallowed

one point shy of the record

The  goal scored against myself

before the clock runs out

The kid making faces

at his mother’s slaps

I am the fear of the grass

about to be cut

 

I am the excluded the outsider, this page torn out…