Roberto
Pacifico, nato a Ivrea nel 1962,
vive a Milano dal 1985. Ha pubblicato le raccolte: “Notte
Gelata ad Ascra” (1984), “Metafisica
del Parnaso” (1991), “Flauto di Pan e
sax soprano” (1995), “Aeroporto
abbandonato” (2009), “Orfèide Metropolitana”
(2014). Sue poesie sono uscite anche nella rassegna antologica
di Poiesis (Roma, marzo 2001). Ha raccolto una parte dei suoi scritti
sulla
Divina Commedia in due volumi: “La ‘fera alla gaetta pelle’, la
corda e la
frode della seduzione”
(Milano, 2010) e "’Poi s'ascose nel foco che
li affina’”
(2013).
Giornalista professionista dal 1991, lavora come redattore per due
riviste di
Milano (Mark Up, Gdoweek). Collabora con “Quaderni d'altri tempi”, rivista online che si occupa di
cinema, musica e letteratura.
Web pacrob00@gmail.com
Web
vincen-pac@libero.it
POESIE
IL
ROMBO DELLA MOTO
(a Marcello Lo Vetere, in memoria)
Il
rombo della moto che frantuma
lo specchio del silenzio mi risveglia
dal sarcofago del sonno
con boato che fa tremare i muri,
sfreccia come siluro per il viale,
dardo scoccato da un arciere verso
il cuore del bersaglio. Così erano
i miei pensieri quando l'autostrada
della mente non aveva semafori
e le idee bruciavano i chilometri
con l'ansia di raggiungere una meta:
gli amici al bar, il mare, il proprio amore.
ACQUARIO
Visto
che nella parola
c’è il
tormento di un’ala imbalsamata,
fa’ sì
che almeno lo sforzo delle nostre labbra
non
esali inascoltato sul vetrame.
Se il
fluire di ogni storia segue
l’inesauribile
corso dell’acqua
nell’oscuro
tombino,
fa’
almeno che possa vedere
dalla
sincerità ialina degli occhi
ogni
guizzo nel tuo cuore
come i
calmi movimenti dei pesci
nell’acquario
senza anfratti.
CHIRURGIA
DEL VERSO
che
segue con la lama dell’unghia
il
profilo dei teschi accumulati,
la
mente accarezza i macabri trofei
della
sua ricerca: parole e versi
strappati
dal corpo della vita,
dalla
carne degli eventi, esibiti
in
una collana di atroce valore,
di
lugubre vittoria: come il teschio
è la
ridicola sostanza dell’uomo,
le
parole catturate nel buio di una foresta
sono
resti di una corretta chirurgia metafisica:
verità
ossee estratte dalla confusa varietà
di
carni e corpi: vibrandole
nel
vuoto del silenzio, un tempo,
accovacciato
sul più alto ramo,
il
pensiero opponeva urla di sfida.
FARFALLA
L'assale
dell'autocarro, abbandonato
come
un aratro, assomiglia a un'enorme
biga
moderna. Sul solco lasciato
dalle
ruote (le gomme hanno inciso orme
profonde
di battistrada) si posa
una
farfalla variopinta come
seta
damascata: si blocca elegante
come
in una foto che sorprende il volante
appoggio
della ballerina sulle punte.
SONETTO
SULLA MORTE
Di
quanto è nulla l’uomo sei l’estrema
sentenza,
la suprema Cassazione
che
annienta ogni speranza, ogni ambizione
sul
tuo abisso, falcato boia, trema
di
cenere. Sei sempre in piena azione
del
tempo sei l’epigrafe postrema
tua
la firma che sempre chiude il tema
spesso
interrotto per tua decisione.
Solo
nel mondo animato ti eterni:
le
pietre non ti conoscon né i monti
né i
fiumi né la materia che è eterna.
Dove
c'è vita e coscienza non smonti
mai
dal servizio, eterna sentinella
del
tempo, che è tua fedele ancella.
IL
VENTO CHE ROVESCIA LE FIORIERE
Il
vento oggi rovescia le fioriere
scuote
insegne e cartelli come frasche
piega
come a braccio di ferro gli alberi
solleva
un turbo di foglie e cartacce,
il
vento che purifica quest'aria
(spazzino
e balsamo ai nostri polmoni)
troppo
spesso stagnante, e ti ridona
la
corona abbagliante dei monti
(in
fondo a viale Sarca l'innevata
vetta
del Resegone rivedo con stupore)
offuscata
di solito da nubi
di
polveri sottili, questo vento
che
lucida i cristalli del meriggio
non
spazza, però, te, anima pigra
memoria;
ma
nel puro azzurro del cielo oscilla
ostinato
e vigile il mio dolore
come
ali corvine di un aquilone.
OMBRE
CINESI
Una
leggenda narra che le Ombre Cinesi nacquero quando un cortigiano del Re
Wudi
(140-85 a.C.) disperato per la morte della sua concubina Li Furen, creò
una
statuina della donna proiettandone l’immagine sul muro. Talmente
somigliante
era l’ombra da far dimenticare al sovrano il dolore del distacco.
“Mio
Re, per tanto tempo questa invenzione
ti ha
consolato: hai creduto vere
le
sue forme riflesse sopra il muro
a tal
punto che lei sembrò rivivere
nell’ombra
che le mie abili mani
proiettavano
sul nulla creando
un
perfetto simulacro di bellezza:
non
fantasma né immagine vana era
quel
mio capolavoro”. “Sì, credetti
fosse
lei, l’incanto della tua arte
per
un lungo momento le mie pene
alleviò,
mi hai donato l’illusione
che
mai lei fosse morta, mai perduta
l’avessi.
Poi una notte le sue mani
strette
alle mie tornaron nel ricordo
e
rividi i suoi occhi malinconici,
abbracciata
la risentii a me”.
“Ecco
perché, mio Re, fissavi l’ombra
senza
più quella gioia che la mia
arte
a te generò per alleviare
la
perdita di Li Furen: mio Re,
l’ombra
di lei non era così bella?”
“Bellissima,
Pion Gyn, ma il mio dolore
è
proprio non riuscir più ad annullarmi
nella
visione di lei come forma
ideale:
quell’ombra che per tanto
tempo
sublimò l’assenza di lei
fisica.
Ora per la prima volta
in
tanto tempo mi manca il respiro
all’idea
che non la rivedrò mai
più.
COMMIATO
Credo
di aver commesso il peccato
più
grave: non vivere. Ho tradito
forse
il sogno di chi mi ha generato
svelandone
l'inconsistente mito.
Non
volli esser felice: ho corteggiato
sogni
e deliri cartacei, ho ordito
le
mie teorie a danno del creato
saccente
metafisico bandito.
Non
riconobbi nemmeno l'amore
Mi
persi nel sogno oppiaceo dei versi,
negai
valore a tutto eccetto il dolore.
Delizia
del labirintico errore
fu
come terrazza con vista a mare
la
poesia, sogno di vele e navi in lontananza.
THE END
OF THE SHOW
Keyboards, harps, and you sad jugglers,
each of you is playing the usual stuff.
Leave me be to sultry summer Sundays
when footsteps crunch on hardened pods
strewn around the walls of shuttered villas.
That enormous wave already looms
on the horizon, soon its roar will silence
all the organs' stately notes we used to
hear heads bent in prayers, and the hovering
chords of harps will never beat the time
of my childish jugglers' pantomimes.
FOUR FLASHES
The best, most precious altar
decked out with words that have
only the earth's rough purity!
At flash-throbbing lightning
objects break free from the darkness
like flutters of wings from the bush.
Once the necessary round has finished
leading the lady to meet with her lovers
the musical box starts with its motive again,
which never happens with us.
Waves sweep the pier,
eternal washing-lapping on the stone's
indifference.
THE BULL AND THE GLADIATOR
Roughness levels off in dust,
the file performs its duty.
Goals see ideas being fulfilled in facts
as buttons slide into their loops.
But elsewhere. Here the gladiator waits
in the wings for a mark or report,
a diet or a sentence to be given.
Through strange grafts
lives are created out of dry peat,
once humid soil teeming with worms
that were used to promise new life.
A bull roams anxious and lost
with no direction
out in the glade:
ha cares not if someone will paint
on a canvass his back's sturdy curve
his sickle-shaped horns.
THE DATE
We descended cautiously 'cross a steep
rut meandering through the wood: at last
we attained the skirt of the lake: its
surface
glittered so brightly
with a lot of moon-coloured scales always
broken by the lightly-blown ripples bringing
starry glee of twittering gleams: the only
sounds that we heard
were the reeds that chafed all along the
banks,
unseen, and the steadily-pitched croaking
from the secret throng of the frogs: the hull
followed the slow
motion of the silently gliding boat,
as if were the headway a weird coaxswain;
so pursue we this secret rudder to the
long waited Shore.
PRELUDE
From the inner alley's bottom
which I'm growing thinner in
hear I a wedding hint.
I feel the past
behind my shoulders
like the barren hillside
emptied of any voice,
and it seems to me to flow
towards an estuary whose sound
reminds me more and more