Nadia
SCAPPINI
Nadia Scappini, di famiglia veneta, è nata a Bagno di Romagna (Forlì) nel 1949 e vive a Trento. Tra i titoli più recenti di poesia La luna nuda (Travenbook, 2007), Il ruvido mistero (Ancora, 2008), Un’ora perfetta (Aragno, 2015), Come dire dell’amore (Moretti&Vitali, 2019). I suoi romanzi: Le ciliegie sotto il tavolo (Marietti, 2012, Premio Asti d’Appello 2012), Sonia e il poeta (Il Vicolo, 2016). Ha pubblicato un saggio su preghiera e poesia: E tuttavia Ti cerco” (Ancora, 2008) e un saggio/narrazione su cibo e convivialità Limone ruffiano (Il Vicolo, 2016). Si occupa di promozione culturale, scrittura e critica collaborando con la pagina culturale di alcuni quotidiani locali e con riviste nazionali. Ha organizzato convegni e seminari di studio su poesia e mito e su temi di attualità del giornalismo.
POESIE
perdonarsi
provare a perdonarsi non è cosa da poco
ci riesce meglio chi ha scarsa memoria
perché bisogna allontanarsi da quel sé cattivo
che ricorda tutto nei minimi dettagli
le ferite le omissioni le occasioni mancate
———–le colpevoli distrazioni
bisogna appendere gli abiti della festa mai usati
gli assolati giorni consumati al buio
la fame d’essere altrove
————le incrinature delle assenze
il rimpianto di mancate esperienze
battere i pugni sulla tua pena sulla mia
che ferma anche il respiro mentre stai
arreso solitario dietro una cortina scura
e non mi fai capire il dritto il rovescio
———-il rovello che ci sfianca
l’intreccio di spine che ti aliena
vedi
sta a noi puntare al sogno o pugnalarlo
come sanno le stelle nel crudo dell’amore
quasi il cielo fosse franato a terra
e la maestà dei platani non potesse placare
l’angoscia del cadere l’urto di una folata gravida
aspra e gelosa———al lucido fogliame
perché, vedi
non siamo soli
quello che è stato ancora e ancora ci canta dentro
rotondo e chiaro come l’annuncio di un frutto asprigno
che però basta schiacciare per sentirne l’umore dolce e rosso
inondarci le labbra e ogni fibra in petto
provare a perdonarsi non è cosa da poco
lascio la buona memoria i minimi dettagli
le omissioni le occasioni mancate le colpevoli
distrazioni e tutto il resto
———————-solo che torni un gesto
il tocco della tua mano a bruciare la mia nuca
exibo
senti come tace in certi istanti
il cuore, quella sua parte
dove relègo non so bene cosa
ma come vorrei che fosse
la redenzione
e poi d’un lampo
sentire la parola addosso impregnarmi
come il sapore del brodo di natale
quel languore diffuso
contorto e levigato insieme
di una fiaba quieta che ovatta
e conforta nel brivido inatteso
di una memoria prefica
di cui si scorge appena l’ombra
chiederle di raggiungermi
(anche senza appuntamento
senza un posto dove poter scrivere)
con la sola energia per riconoscerla
differente da tutte lucida della sua luce
innamorata
il resto è violazione potenza
che s’indigna
a mascherare rese di convenienza
ipocrite
saliva scivolata come una mancia
dentro una tasca in caduta libera
senza coscienza, senza sguardo
Sonia e il poeta
(monologo in versi in otto quadri)
Nulla fides ullo fuit umquam foedere tanta,
quanta in amore tuo ex parte reperta mea est
(Catullo, carme 87, vv. 3-4)
1.
l’incontro, a Selinunte
Aveva Sonia una beltà feroce,
la grazia di una dea che non frequenta
—————————il mondo.
Allacciate le parole si sfidavano
———-tra i refoli a spirale
—–che saldavano l’estate
mitigava il sole il rosso dei geranei
tra agavi sontuose ed olivastri
sedeva su una pietra appena
fuori dagli scavi, colpiva il nero
dei capelli appena mossi
sul lino bianco dell’abito gualcito
portava un braccialetto verde e viola
che tormentava sfilandolo dal braccio
———come per darsi un tono
———forse——nascondere un’attesa
ignoravo che l’avrei rivista a sera
nell’albergo azzurro sul mare
tra i turisti francesi che per mestiere
—————-era solita accompagnare
—————————che quella valle
dove i templi svaporano nel niente
dove pregare è un errare smisurato
avrebbe sigillato un nuovo amore
——-infausto senza appigli-
per l’incuranza nota degli dei
2.
l’epilogo, a Milano
Ho parlato a lungo – ieri – con Sonia
studiando ogni possibile via
cercando il fuoco dove poterci
incontrare. Ma lei sosteneva
non esserci uscita: storia finita,
lasciarsi – diceva – altro non resta.
Oh, anima inquieta, distante già
dal caldo umidore che io paziente
——-alimentavo di melodie
arrangiando parole arruffate — paratie.
Eppure da tempo spiavo lo spettro spietato
(covava la lontananza amara nell’abbraccio)
mentre un gelido fruscio mi trapassava
con il sapore infernale del distacco.
Sì, mi ero fatto custode fedele
di un tempo conteso tra promesse
—–e continuati disincanti rimossi
tra i pietosi asfodeli di Proserpina
—————–nei crateri senza luce.
Almeno riuscissi – ora – a stanare
dal viola la luna limone, la rauca
compagna del mio respiro che incalza
dentro l’aurora insidiato come la fiamma
flebile
————-di una candela bianca.
3.
tentativi
proprio lì in disparte
tra le pieghe gualcite
sostava con lo sguardo fiero
mi chiedevo allora nel frastuono
come vestire i suoni di silenzio
per consentire al suo pensiero
di non disperdersi in segrete fenditure
basta lasciarlo fluttuare – mi dicevo –
per una durata imprecisata
palpitare in misure diverse
——————-fino a una forma
————che germogli a modellare
—————–i desideri grigi
——————–in minuscole aurore
e lei – sentendomi chinata sulla sua sosta
————-in quel breve pomeriggio
che sapeva già di primavera (e faceva solo finta)
parlò
—–e ci fu tregua
4.
una nascosta scala
distendo nel riquadro d’ombra
uno spicchio di pensiero ostinato
come le parole – quelle dette
a labbra chiuse che non so
se mai cammineranno all’angolo
—————-dove le piace sostare –
ma c’è un luogo, una nascosta
scala dove il respiro dell’aurora
si fa canto nella luce piena
dove cova la confidenza
mentre il suo volto si riapre
e tornano a sfogliare i giorni
tutto il mio corpo, allora, freme
———————-ma cautamente
come in un recinto
————–di muto—stupore
5.
viaggio
(sul Bosforo)
e io un rosso struggente, al tramonto
— s’attardava dall’alto sulla terra
come Iride a segnare l’alleanza
per noi a coniugare l’amore
dolce come frutto tardivo e sodo
la polpa sguainata dal disincanto
delle stanze oscure in lontananza
quietato come la lana morbida
al primo freddo di una stagione
che scompagina il certo provvisorio
6.
partenza, a gennaio
il freddo ha denti
che affilano anche i giorni
in questa fine di gennaio
latita la luce anche se
tento di salire verso il cielo
di accendere uno spazio
magari solo per pregare
e fare che il respiro nero
si quieti nella neve sfarinata
———————-all’alba
7.
ultima estate
i nostri corpi protesi nel silenzio
manichini opachi senza suono
ora stonati sulle sdraio a righe
azzurre nel tempo immobile
———————fermi nel sole
ci siamo persi così
per la fatica di stare sospesi
per non sapere come spiegare
la rete dove ci eravamo imbrigliati
ci siamo persi così
senza più corredo né provviste
che potessero legare i nostri nomi
nemmeno la carità di una porta socchiusa
– ammutoliti
per la nuvola rotta
che né sole né acqua lasciava
inesorabilmente più passare –
8.
lettera
Quando uscirai da questa casa
non sostare, Sonia, sulla soglia
non ci sia anche lo strazio
di vederti andar via, sentire
il suono del mazzo di chiavi
il tuo scatto nervoso
sulla consolle che a lungo
avevamo corteggiato
dal piccolo antiquario sui Navigli.
Lo sai, non mi piacciono i titoli
di coda – ma oggi li fermerei
———-a qualunque condizione.
Sarà l’ascensore dalle pareti
trasparenti la tua via di fuga
-me una carrucola scura piomberà
tra fantasmi implacati dove ancora
—————————sosterò supino
spiando un’ultima (improbabile) sutura-.
Post scriptum
Sonia, non fermare
il filo che scorre nell’ago
lascia che adempia il suo scopo
—————-(ha un nodo al capo
per nuove cuciture).
da UN’ORA PERFETTA
1.
nella piega obliqua di un sorriso
a volte
nella piega obliqua di un sorriso
rimane qualcosa di confuso
come la parafrasi di una poesia
che sussulta per il raggiro
e si oscura
per quella nube non richiesta
invasiva, anzi, maldestra
2.
sull’orlo del bicchiere
a volte, sull’orlo del bicchiere
avverti un sapore estraneo
come l’annuncio sotterraneo
che altro è il contenuto
e allora non sai se continuare
perderti nel liquido
o bloccare l’inclinazione
———————–restando
—————————-con le labbra
———————————-in attesa
ad asciugare
come per un pensiero sopravvenuto
un muto esitare
3.
nel timbro di una voce
a volte, nel timbro di una voce
rimane qualcosa di sospeso
come una vibrazione
dietro alfabeti fragili un filo
che preme e racconta
di un possibile restare
dentro ai lampi
————-a mietere
—————–parole
4.
il tempo amaro
viviamo il tempo dell’enigma
sospeso differito azzerato
senza agnizione, amaro
così cogliamo rose come sorprese
senza indagare le spine le foglie
le ferite, ne facciamo un mazzo
regolare tagliando i gambi
alla base, le corolle pari ché
sulla soglia dell’ospite all’apparire
siano abbaglio, (autentico)
stupore
e certi uomini stanno
superbi a contendere i giorni
in file sconnesse
———————inconciliati
manovrano sotto l’insegna
fragile di qualche schieramento
improvvisato
5.
la meta
…
l’approdo scarno, l’anima dilagata
dall’andarsene orfano e ferito
verso un oltre sconosciuto
arriveranno mai, ciascuno alla sua meta?
come uccelli migranti planano
sul bianco della pagina
geroglifici
——–di un ovest sgretolato
confuso dalla marea sgomenta
——–di volti senza nome
-li pigiamo come formiche
senza voltarci indietro-
e osserviamo da lontano
se si tirano su incerti e zoppi
6.
sfoglio la memoria
sfoglio la memoria come i petali
di un girasole per ritrovare
una forza antica, l’eco di una
voce che ristori dall’arsura
e diverga dagli inciampi consueti
dai vuoti quando incalzano
a oscurare la linea del futuro
si nasce destinati alle intemperie
agli umori del caso?——-eppure
sappiamo arretrare sull’abisso
assecondare battiti vibrazioni
improvvise, capaci di distendere
contratture e nodi gemmando
pause inattese e felici
come, camminando su certi sentieri
nascosti, la fiammata improvvisa
—————–(tra i cespugli)
———di bacche autunnali
7.
Tutto quel che ascende converge
Pierre Teilhard De Chardin
sopra la cala dei ginepri
narrami dell’aurora sopra la cala
dei ginepri, luminosa come
una fragranza
delicata e sapiente come una preghiera
intonata nel deserto
claustrale
nella fede salda della penombra
chiara e il fruscio dell’angelo custode
quando pronuncia il nome
e chiama alle tappe faticose
di una notte arresa fino a scorgere
il barbaglio della rosa
che si fa via via attesa dentro
un fremito che bacia e che rincuora
e fa sentire rette la solitudine
le scarne parole a labbra giunte
l’orazione dell’orecchio che trattiene
appena il seme che ascende
e converge in virtù della bellezza
rara e democratica di ogni filo d’erba
della conchiglia che fa la sabbia rosa
dell’ulivo argenteo e del mirto, degli
oleandri, del ginepro pungente e
austero, della buganvillea radiosa
e florida come una sposa, come
la vite selvatica, e il glicine slabbrato
e sensuale sul muro sbiancato dal salso
sulla rotta del vento
limpido a pelo d’acqua dove sollevano
gli uccelli le ali, la barra dritta alla chiamata
8.
eppure il nostro cuore
gli spazi bianchi stanno
tra le lettere sopra e sotto
e dentro i segni di scrittura
allineano in recinti le parole
rovesciate a trattenere il prima
e il dopo … il silenzio
che inciampa nel mistero
e sfida i vuoti di un tempo
———————–amaro
eppure continua il nostro cuore
——————————a pulsare
dello splendore primigenio perché
(non c’è niente da fare)
quando noi siamo davvero
il paradiso tutti ce l’abbiamo dentro
– magari appena un richiamo… –
ci è dato nell’istante in cui
nell’utero materno germiniamo
TRADUZIONI
1.
in the slant bend of a smile
in the slant bent of a smile
something dim loiters
like a poem’s paraphrase
that startles for the sidestepping
and darkens
for that cloud, which is unasked
intrusive, better yet, inept
2.
on the edge of the glass
sometimes, on the edge of the glass
you taste a foreign flavor
like an underground revelation
that the content is another
and then you don’t know if to go on
lose yourself in the liquid
or stop bending
——and stay
————with your lips
——————-waiting
to get dry
like a thought popped up
a mute hesitation
3.
in the timbre of a voice
sometimes, in the timber of a voice
something pending lingers
like a vibration
behind frail alphabets a thread
that pushes and tells
of a possible stay
within lightning
——-to harvest
————words
4.
the Bitter Time
we live the time of enigma
pending postponed zeroed
with no agnition, bitter
and so we pick up roses like surprises
without inspecting the thorns the leaves
the wounds, we make an even bunch
cutting the stems
at the base, level every corolla so that
at the doorstep, upon the guest’s arrival
they dazzle, (authentic)
awe
and certain men stand by
puffed-up to fight over days
in irregular lines
————–unreconciled
they maneuver under the frail
insignia of some makeshift
line-up
5.
the destination
…
the paltry landing, the soul overwhelmed
by the orphan and battered leave-taking
bound to an unknown beyond
will everyone reach their destination, ever?
as migratory birds they glide
on the white of the page
hieroglyphs
———of a West fallen to pieces
puzzled by the distressed sea
———of nameless faces
—we pack them like ants
without looking back—
and we stare from afar
if they get themselves up, unstable and crippled
6.
I pick off my memory
I pick off my memory like petals
of a sunflower to recollect
an old force, the echo of a
voice that quenches from thirst
and veers from the usual snags
from the gaps when they press
to darken the line of the future
is one doomed by birth to the storms
to the moods of fate? And nonetheless
we can step back from the abyss
go along with beats, sudden
vibes, capable of loosening
contractions and knots by budding
unexpected and happy pauses
just like, walking on certain hidden
paths, the sudden fire
——(in the bushes)
——–of autumn berries
7.
Everything That Rises Must Converge
Pierre Teilhard De Chardin
Over the junipers bay
tell me of the dawn over the junipers
bay, shiny as
a scent
delicate and wise like a prayer
risen in the cloistered
desert
in the steady faith of the clear
half-light and the guardian angel’s swish
when he whispers the name
and calls to the demanding stops
of a surrendered night until spotting
the shimmer of the rose
getting more and more longed-for
within a kissing and heartening thrill
and making the loneliness feel fair
as well as the scanty close-lipped words
the sermon of the ear that barely
holds the seed it rises
and converges in virtue of the rare
and democratic beauty of every blade of grass
of the shell that grinds pink sand
of the silver olive-tree and the myrtle, of
oleanders, of the stinging and severe
juniper, of the bright bougainvillea
blooming like a bride, like
the wild grape, and the sensuously ripped
glycine on the sea-salt whitewashed wall
on the route of the clear wind
on the water level where wings of birds
are spread, right rudder upon call
(Translation by Sara Fruner)
4.
eine versteckte Stiege
ich breite im schattigen Fleck
einen Schnitz hartnäckigen Gedanken aus
wie die Worte – jene mit verschlossenen
Mund gesprochenen von denen ich nicht weiß
ob sie je ins Eck wandern werden
——–wo sie gerne stehen bleibt
aber es gibt einen Ort, eine versteckte
Stiege wo der Atem des Morgenrots
im vollen Licht Gesang wird
wo die Vertrautheit brütet
während sich ihr Gesicht auftut
und wieder die Tage erglühen
mein ganzer Körper bebt
————–aber vorsichtig
wie in einem Gehege
————–von stummen Erstaunen
5.
Reise
(am Bosphorus)
und ich ein verzehrendes Rot, im Abendrot
— verspätet hoch über der Erde
wie Iris ein Bündnis verkündend
für uns die Liebe beugend
süß wie eine späte und feiste Frucht
das Fleisch befreit von der Ernüchterung
der dunklen Zimmer in der Ferne
beherrscht wie die weiche Wolle
in der ersten Kälte einer Jahreszeit
die die vorübergehende Gewissheit durcheinanderbringt
(traduzione di Reinhard Christanell)