Michela
D. CASTELLAZZO
Michela D. Castellazzo è nata a Genova nel 1964 e vive a Fosdinovo in provincia di Massa Carrara. Laureata in filosofia. Ha pubblicato la raccolta di poesie Ambliopie (Edizioni del Leone, 2003, con nota critica di Elio Gioanola); i libri di narrativa: Tre racconti (“libri liberi” laRecherche.it), il romanzo breve Aperitivo virtuale (laRecherche.it), il romanzo Il gioco del caso (Maria Pacini Fazzi Editore, con nota critica di Giorgio Bàrberi Squarotti), i tre romanzi brevi Aqua mater-trilogia della memoria e dell’oblio (CUT-UP Publishing); il monologo teatrale Lettera di una barbona ai passanti (laRecherche.it); il saggio La terapia della scrittura: salute e malattia in Nietzsche e Gadda (in collaborazione con Marina Palma, in “Teoria e storia dei generi letterari – Letteratura e medicina” a cura di Giorgio Bàrberi Squarotti, Rubettino 2009).
POESIE
da MANTRA
Anna dei miracoli
Per Anna G.
Apre la porta con te
ed entri finalmente nella tua casa
da padrone.
Girando ovunque
tutto diventa degno
anche con porte e finestre ancora chiuse
– polvere e ragnatele comprese –
anche se non sapevi come arrivarci.
Poi esci liberamente
ormai sei in strada
esplora pure con mappe e cartine
tutto il resto del mondo
tanto ormai sei sulla strada che non ti perde.
Sono cose che s’imparano in fretta
che non si dimenticano
e non hanno prezzo.
Cose da pazzi.
Poesia
Sei ancora qui che danzi
lievissima
sul corpo della mia anima.
Stanotte
la notte
colma di gioia
ricolma
esplodendo
esulta
e nel canto
intanto
si sveglia.
Cosa vuoi che sia
Che vuoi che sia
lo sbaglio di un minuto
lo sbadiglio soffuso scoppiettante di caffè
la sbavatura dell’inchiostro
sulla tua pagina ben stirata
o la piuma dispiegata d’un airone;
Il contorno o l’interno
il senso o il segno nel sogno
il polline nell’aria imbrattata di luce
il segnalibro dimenticato, che spunta appena
lo spiraglio spalancato all’improvviso
– nuovo ogni giorno –
negli occhi luccicanti e abbandonati
che hai lasciato qui
a dondolare liquidi su di me…
Che vuoi che sia
se solo la direzione dello sguardo
può deciderlo…
Guarda bene
è semplicemente tutto ciò che voglio
Danzando
Cogli
soave
questa brezza purissima:
respira
vibrando nel tuo fiato
e sferza feroce
tutti gli inganni
colpiti con forza
dal pieno tuo centro.
E mentre attraversi il fuoco ardente
come fosse sentiero segnato
– i piedi incollati ai calli,
le cicatrici chiuse e stranamente silenziose –
godi
se il tuo passo di danza
finalmente ha cambiato ritmo,
se come un giocoliere solleva il tuo sguardo
oltre la brace arrossata
fino a sostenerti tanto in alto
che ormai puoi sentire
anche con le palpebre abbassate
persino il pulsare misterioso
dell’aria che suoni.
Ri-danzando
Grondano
questi coriandoli di luce morbida
nei passi avvolti dal buio
mentre cercano ancora
ciò che spumeggia
giusto lì davanti
gocciolando colore…
Ogni secondo snocciolato
come fosse l’unico.
E poi si perdono in un gioco impensabile
che adesso evapora oltre la luce alta della luna
scavalca ponti di vetro perfettamente trasparenti
scioglie i nodi amari
densi di salsedine incrostata
esalando sogni in piccole bolle
soffiate per aria,
ciondolanti e imbevute di note.
Giocolieri non più in bilico sul pericolo
incantati dal flusso continuo
del loro potente respiro:
corpi aderenti soltanto
alla propria pelle ritrovata.
Verso largo
Ondeggia lieve
ovunque ci sia voce
capace di scomporre nel silenzio
i millesimi di suono
di una danza
dalla melodia imponderabile,
sconosciuta finché non la canti.
Quando soffia maestosa
sparpagliandoti la vita,
non resistere a quel sussulto improvviso
ma bevi a lungo
le perle di parole
con cui ti ripaga
per lo spazio che le hai aperto
trasformandoti.
Mezzavia
Chiuse
le finestre affacciate sul nulla
attendono un giorno che non viene
appagato nel sereno canto silenzioso
da una voce inaudita
che talvolta ha parlato
nel disastro dello strazio
o nella risacca lenta
prima che il manto scuro della marea
la sommergesse,
muta.
Sono imposte di una casa senza porte;
solo una ferita, al varco
da ricucire proprio passandoci in mezzo
per spalancare finalmente insieme
gli altri ingressi
sbarrati di nascosto
in tutta fretta.
Poi, al crocevia,
con mezza stagione andata
e l’altra da venire,
un’ampia strada improvvisa
si allarga proprio lì davanti
come una sinfonia solenne e cadenzata
scandisce i passi:
porta ad una serra
dove si coltiva il sole
e s’impara da ogni fiore
a bere la vita che esplode.
Lulù senza sipario
Nell’aria che irrompe
sei ghiaccio che tiene
non cerchi riparo
e senza sipario
ti sveli danzando.
Nel ritmo,
riveli ogni lato
di quel che già eri.
Il passo ripeti
cullandolo ondeggi
dormendo non smetti.
Cercandomi
immagini
che un battito d’ali
spalanchi quei sogni
facendoli uguali.
Vivere
Scrigno ricolmo che si scoperchia
luce che abbaglia
si espande ovunque
in preda a suggestioni labili
sfiorabili appena
ma palpabili.
Scrivere
gocce di vita da bere
linfa che non disseta
sete che scava, vuoto
ad accarezzare le dita…
disegni di sogni ben svegli
alba di un tempo nuovo
di mattine assolate
luce che abbaglia altrove
si staglia comunque
e ancora si rinnova
vivendo.
Pospettiva astrale
Se fosse più facile amare un angelo
piuttosto che un dio,
magari basterebbe un dio che sembrasse un angelo
per salvarci.
Allora, forse, diverrebbe paradiso
questo infinito galleggiare nel vuoto
e l’ossessivo, frenetico, ruotargli attorno
solo l’incubo di un vago sonno infernale.
Nottetempo
Lentamente
come neve
scivolava lontano
pochi passi
poi a un tratto
scompariva di nuovo
e con ali d’argento
volteggiava cantando
le parole che un tempo
lei aveva sognato.
E provava
riprovava
senza troppa fatica
le sembrava
d’esser pronta
ma era solo uno sbaglio
così era fuggita
dalla sua stessa vita
brancolando nel buio
di una storia infinita.
Ma come possa fare
la neve a scivolare
non capiva
e siccome nella neve
si può anche sprofondare
ci cadeva
e intanto si chiedeva
nella neve che scendeva
quanto tempo le serviva
per diventare
proprio vera
poi eccola che ride tutta dentro
si spoglia del suo nome in un momento
e poi lo lancia controvento
Lo rincorre poco a poco
poi l’accoglie come un gioco
gioco che ti salva
e se ti prende non si sbaglia
sogno nella neve tutta bianca
Vuoi provare ad imitarla?
E danza sulle orme
di un passato senza forme
sola con il sogno di un amore giramondo
che non ha confini né certezze
solamente le carezze,
nottetempo.
Dolcemente
finalmente
respirava di nuovo
sembra niente
ed invece
è il segreto del suono
che si espande all’interno
della sua stessa voce
armonia di colori
accordati col mondo.
E come riesce a fare
la neve a scivolare
lo capisce
nel canto che si apre
poi si fonde
e si lascia trasportare
come un petalo leggero
come sguardo all’orizzonte
come polvere nel cielo
come un sogno quasi vero,
sulle onde
la voce che si espande dall’interno
il ritmo che accarezza l’universo
giocoliera che hai vinto il tempo.
Emozionale
Quando c’è abbastanza spazio per sistemare le cose
la pienezza non è colma e non straborda,
sorride senza parlare
accarezza senza toccare
spettina i pensieri
poi li nasconde
e intanto scioglie le redini
senza avvisare.
Come un lago che allarga
il letto basso di un fiume:
lo allaga e poi s’addormenta
senza sprofondare.
Un’altra vita
Vieni
vieni a vedere
non restare immobile
l’indifferenza non ti proteggerà
la paralisi non ti scagionerà
il silenzio ti assorderà
se non verrai.
Vieni
vieni a vedere
oltre cosa c’è
dietro cosa si nasconde
quando guardi avanti davvero.
Vieni
esci allo scoperto
mostrati alla luce
lascia che ti guidi
dove sai di voler andare:
perché una strada esiste.
Fortunato chi almeno
cammina nella sua direzione
chi sa leggere la bussola
chi ancora non rinuncia a decifrare le carte
chi viaggia con un bagaglio leggero
e parte, perlomeno.
Si passa da qui per andare avanti
e si viene da lì per non restare fermi;
oppure si passa da lì per venire qui
se preferisci.
Più che la direzione
conta l’orientamento
addestrarsi al rischio di una guerra
incatenando la paura,
respirare nell’affanno
attraversando ogni varco.
Vieni a scoprire in quest’altro mondo
chi viene da te
chi ti lascia
chi ti prende
chi c’è da questa parte
e chi sta davvero dalla tua.
Insieme
spalanchiamo tutte le finestre
scardiniamo le sicurezze di polvere stantia
che ancora c’imprigionano
ribaltiamo le prospettive
giochiamo ad essere un altro
tracciamo nuovi itinerari
spostando i binari
dimenticando orari e ritardi.
Vieni a prendere la chiave
da questa parte,
vieni a trovarti.
È tutto lì dentro.
Ad ogni sigaretta
Suona l’accendino
nell’occhio
sfuocato
che di sbieco
accarezza ancora la fiamma.
Suona una musica sempre nuova
tintinnante metallo dal timbro largo
melodia che dura solo un attimo
ammutolisce subito
e si nasconde dentro
a bruciarsi di silenzio.
Fair play
Inutile concorrere, correre e rincorrere
se si soffrono i sorpassi.
I passi sono troppi e la strada è ancora lunga.
Meglio marciare arrivando lenti al fondo
godendosi il panorama fino al traguardo.
Congratularsi coi fenomeni
che la spuntano prima andando in tutta fretta
è un lusso che protegge dall’invidia,
è il privilegio dei pazienti
allenati a scivolare sulle attese
lanciati oltre le smanie del risultato
del successo ad ogni costo
del riconoscimento.
Il cielo di sopra – anche senza stelle
e una coscienza sempre in movimento – anche senza legge
spesso sono le uniche certezze fluttuanti
per chi
a forza di slittare
ne ha imparato l’ebbrezza.
La curva
Per ogni strada c’è un percorso
per ogni percorso infinite alternative
ad ogni alternativa si apre un nuovo bivio
e dopo ogni bivio una rotonda con altri incroci.
Tutte le strade hanno curve
tutte le curve offrono infinite visuali
angolazioni insospettabili
che proiettano altre strade
piene di curve, incroci, raccordi.
E infinite sorprese.
Spesso il malato
incredulo di fronte alla diagnosi
può negare il responso
rifiutare la cura
sprofondare nello sconforto
ribellarsi, scalpitare, dimenarsi, dimenticare,
fingere che niente sia mai successo.
Oppure può accettare la sfida
e correre dove solitamente si traballa
volare dove molti barcollano
arrendersi dove troppi combattono
abbandonarsi dove tanti attaccano.
Perché lottare per imparare a perdere
è davvero l’unica guerra da vincere.
In-Out
Respirando
diventi intero
ogni frammento si ricompone
la strada si dipana
s’intravedono passaggi e nuovi ponti
il terreno diventa morbido
mentre torna a te.
Ad ogni passo
le labbra assaporano il tempo
in perle di minuti
la bocca scioglie l’amaro che lo accompagna
la dolcezza evapora nell’aria
sospesa nuvola benedetta
palpitante nei battiti ricongiunti al cuore.
Espirando
s’intuiscono radici galleggianti
affiorano leggere e si trasformano
moltiplicano figure liquide cangianti
che collimano e si combinano in purezza
fino alle stelle.
Senti ormai di poter essere ogni cosa
e se t’inventassi ancora all’infinito
nulla cambierebbe
tu resteresti un tutt’uno
tutti e nessuno.
Ogni caduta è un abisso che rigenera
ogni ferita trabocca linfa
ogni separazione è l’incubo di un sonno drogato di niente.
Deja-vu
Come un’onda senza risucchio
non si rifrange
avvolge senza arretrare
lambisce e accarezza
ti sorseggia a piccole dosi
danza, si flette
e poi ti riflette
così si apre e t’ingoia
il sale immerso nel mare.
Cristallizzato
in quelle tracce
dilaga
il profumo impossibile
di un miracolo
che si ripete
testardo.
Dietro
Tornano i profumi nei giochi di allora
nei sogni di sempre
tornano i sapori, i divieti
le simmetrie, gli spigoli
e torni anche tu
che sei sempre rimasto qui.
Tornano le rondini
chiazze scure intermittenti
lampi imprevisti, spremuti col contagocce
frammenti e millesimi di passato
invadono il presente
come se tutto fosse ancora lì
intatto
per noi
che ricominciamo a sentire
per la prima volta.
La pallina
Non è facile scovare una pallina in un bosco
sotto alle foglie o dietro i fusti degli alberi;
soprattutto se è autunno e malgrado il suo candore.
Garantisco, non è per niente facile.
Bisogna avere un occhio allenato a vedere
che non si accontenti di guardare soltanto,
che non si stanchi di cercare
senza tema di smarrire la pallina.
Il gioco è tutto lì: prendere la mira, concentrarsi, flettersi, ruotarsi, insomma, fare ogni cosa per bene
accettando il rischio che non serva a niente:
perderemo comunque la pallina.
Ma cambiando direzione, curiosando
forse ci capiterà di trovarne un’altra più bella e nuova
su una strada che non avremmo mai fatto
da cui si vede ogni cosa
e la visuale migliorerà tanto che, buttando l’occhio qua e là
inciamperemo nella nostra vecchia pallina ancora nuova e bella.
Ciò che crediamo perduto
è soltanto lo sbadiglio distratto
della nostra impigrita codardia.
Black-out
Considerando quanto poco siamo indipendenti
e quanto ogni cosa ci sembri indispensabile
diventa legittimo che un cellulare spaccato
sia più grave del cuore spezzato:
il dolore non comunicabile è insopportabile
se non possiamo inviarlo a qualcuno.
Qui da noi
il veicolo ha più importanza di chi lo guida
il canale conta più del messaggio
il mezzo ha da tempo soppiantato il contenuto e il suo scopo,
e sembra che abbiamo tutti sostituito
con un lungo e delicato trapianto
una sottile scatoletta nera
collocata dove prima c’era il cuore.
Ma se saremo almeno un po’ fortunati
l’impatto inevitabile col vuoto
riattiverà le giuste connessioni
e noi ringrazieremo i cortocircuiti
di questa impertinente e dispettosa casualità.
Fino al prossimo black-out.
L’imbuto
Capovolta ogni volta
scordo tutto
confondo il dritto col rovescio
il dentro diventa fuori
e mi manchi se mi manco
quando da quaggiù guardo in su.
Com’è che il largo è passato dallo stretto,
com’è che qui sotto è tutta nebbia?
Comunque, solitamente
si sorvola sul tuo sopra,
ogni illusione è dismessa
e si slitta al pensiero
che il foro minuscolo all’apice del lungo collo
da lì non sia nemmeno visibile.
Un tuffo a testa d’angelo in un imbuto
un foro che si succhia l’arcobaleno,
ecco cosa siamo io e te.