Matteo
BIANCHI
Matteo Bianchi è nato nel 1987 a Ferrara, dove vive. Ha pubblicato le raccolte: Poesie in bicicletta (Este Edition, 2007, Premio Lascito Niccolini), Fischi di merlo (Edizioni del Leone, 2011, con una nota di Mario Specchio, Premio Rabelais, Premio Turoldo, Premio Oubliette), L’amore è qualcos’altro (Empirìa, 2013, a quattro mani con Alessio Casalicchio, note di Roberto Pazzi e Giancarlo Pontiggia), La metà del letto (Barbera, 2015, note di Anna Maria Carpi e Roberto Pazzi, Premio Metauro). Collabora con il quotidiano “la Nuova Ferrara”, “Gagarin. Orbite culturali”, “SITI – Unesco World Heritage Sites Journal”, “QuiLibri”, “L’immaginazione”, online con “Poesia 2.0” e “Alleo”, con Punto. Almanacco della Poesia Italiana (puntoacapo Editrice). Numerosi i suoi articoli apparsi sul portale Rai Letteratura. È presente in riviste e antologie, tra le quali In questo margine di valige estranee e Quel poco che sappiamo (Giulio Perrone, 2011) e L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio 1990-2012 (Kairós, 2013). Cura In gransegreto, rassegna annuale di poesia contemporanea a Ferrara e nel 2009 ha fondato l’Associazione Culturale “Gruppo del Tasso”. È stato tradotto in francese da Antoine Isenbrandt-Pitton sulla “Revue Verso” di Lucenay (n. 153, 2013), e in inglese da Christopher Channing su “Pelagos Letteratura”.
matteobianchi.estense@gmail.com
POESIE
Tra gli Imperdonabili e i Maledetti corre una lama sottile,
una differenza: gli Imperdonabili tornano,
i Maledetti non ne hanno bisogno.
INEDITI
La scelta
Non la qualità delle cartucce sarà
a stendere la preda di chi caccia
a vista nella nebbiosa pianura;
bensì la quantità di coscienza,
il male conseguente al male.
*
Caccia alla volpe
– affilati gli abbracci a tracolla –
Sulle tracce dell’ultimo bacio
un tale si guardava conscio le spalle
del suo ego addomesticato
e pensava: “Chissà con parole scarne
cos’hai stanato, quali hai scelto
per tirare e sino a dove.
Chissà se comprendi di aver sparato:
di fatto sta che non hai usato
il richiamo, non ti sei curato
della rosa di piombo sul suo petto.
La conseguenza del tuo strappo,
il suo pianto sconsolato,
mi ha risvegliato.
Chissà quanto il ricordo di te
riuscirà a reggere
quando l’avrò braccato.
(Un cacciatore innamorato)
*
La realtà che si basta
da sé? Quasi mai.
Ma in quell’avverbio di quantità,
noi c’incastravamo l’amore.
*
Diviso tra i dubbi dell’esserci
e l’essere in me,
dovevo ai miei oggetti,
i cosiddetti effetti personali,
tutti i significati sottomessi,
per non diventare matto,
per non sacrificare le viscere.
Sfogliavo il quotidiano:
la vita è un trapasso
dalla pagina delle missive
– «Egregio Direttore Le scrivo siccome…» -,
a quella dei necrologi
– «ti salutano i tuoi cari» -.
*
Una mattina anemica, mio padre irruppe in camera
e lesse d’urgenza un telegramma che diceva:
«tal giorno, alla tal ora, ti ucciderò.
(Firmato) X».
Etica di un assassino.
*
Proclamano «libertè toujours»
sul pacchetto le Gauloises,
le sigarette dei soldati francesi
durante la Seconda Grande Guerra:
fumare come fosse l’ultimo giorno.
*
Lo so, che cosa credi:
la felicità vietata a qualcuno
tramite sé
si pagherà a caro prezzo.
Nella misura del tempo negato,
quello di nessuno.
Due lancette di nulla più.
*
A. A. (amore avido)
I.
Ti ho lasciato a tua insaputa le sigarette in borsa; venti meno una, la prima, la mia promessa di smettere.
In amore il livello d’intensità che percorre la corrispondenza tra l’otto e il nove, quella misera unità agli occhi di chi guarda da fuori – magari una fumata nera – vale quanto un abisso, un’eternità. L’otto e il nove, due cifre tanto vicine, ma che mai coincideranno nell’intero, il dieci aspirato.
II.
Ma vi ho fregati tutti, poiché ho compreso che dopo il segmento – la retta, se vi fa stare meglio – ha senso solo la circonferenza; poiché ho sentito sotto i piedi che la terra è tonda e gira su se stessa come me, a differenza vostra che dentro credete sia piatta; poiché, dopo la prima, non ci potranno essere la seconda, la terza e via dicendo, ma soltanto l’unica che chiude il cerchio.
Lei, déjà vu senza soluzione, beata coincidenza.
*
Non un bel amì, piuttosto un brav’uomo,
con lo sguardo franco e l’anima arresa
di fronte al mistero.
Quel giorno mi penserete così.
da L’AMORE È QUALCOS’ALTRO
Lavapiatti
Aiutando mia madre
scoprivo inutile di me
il puzzo del pesce
si levi dal piatto col limone.
Ma la frustrazione no;
quella è ostica,
si radica alle piccole cose
e investe la soddisfazione
mai a bastare
entro lo spazio del buio.
Impedisce un pasto tranquillo.
*
Camera ardente
«Questa volta non ce la faccio».
Quando stanno per volare via
li spostano in fondo al corridoio,
per non dare impiccio a chi uscirà.
E raccoglievo le sue cose,
ciò che più non sarebbe stato,
ordinato, nei miei bagagli…
gli ultimi ritagli di vita
insieme a mio fratello.
Le cellule si ribellano a noi,
come noi ci ribellammo a Lui.
*
Rosaspina
L’uomo inventa gli angeli
soli non possiamo
realizzare il bene più grande
per te
un bocciolo di rosa
all’orecchio e clemenza
possiamo però offuscare
la tua esistenza,
fatti come demoni
impastati di incoscienza.
*
Pergolato
Un bacio tra due sigarette. Sotto la pioggia.
Sotto una coltre di nubi che non ci dà tregua.
Scintilla tra due astri
opposti nella volta,
l’incastro degli anelli.
Sagome, ritagli di fretta
un pomeriggio avverso:
timido e temuto conquistarsi della forma
a vicenda. Pesci in cielo e il tuo segno non brilla
più la solitudine.
da L’ALBA DI LADYHAWKE
Cotidie morimur – già,
ma con te era bello.
1.
Ho parcheggiato la speranza
nel momento in cui sei salita.
Io a soccorrere
la tua sindrome di Stoccolma:
più stavi male,
più t’innamoravi dell’altro.
Con il dolore ti sentivi viva.
2.
Ad ogni bacio, ad ogni urto,
– un vago retrogusto di vino –
sembrava che riconoscessi
le tue debolezze, ma circospetta
abbassavi lo sguardo.
«Dai, vediamoci domani,
dammi un po’ di continuità».
3.
Dicevi col sorriso
«sei pungente»,
e io non capivo
se fosse a causa della barba incolta
o delle sole parole.
Dopo il mio «alla prossima»
e un bacio a scendere,
stringevi le labbra
con sospetto e soddisfazione.
4.
Ripetevi di guardare la strada,
sempre avanti, con fermezza:
ti mancava l’ironia,
sia alta, sia bassa,
di finire angelica,
o sguazzare nel miele
e nel fango dell’ambiguo
mio inferno con le piume.