Paolo Fabrizio Iacuzzi è nato a Pistoia nel 1961. Vive tra Firenze e Pistoia. Le sue raccolte di versi: Magnificat (I Quaderni del Battello Ebbro, 1996); Jacquerie (Nino Aragno, 2000); Patricidio (Nino Aragno, 2005); Rosso degli affetti (Nino Aragno, 2008); Pietra della Pazzia (Giorgio Tesi, 2016); Folla delle vene (Corsiero Editore, 2018). Ha tradotto LeRoi Jones nell’antologia Kerouac and Co. (1995) e Lunch Poems di Frank O’Hara (1998). Ha curato l’antologia Il tempo del Ceppo (1997) e, con altri, Lezioni di poesia (2000) e Dizionario della libertà (2002). Si occupa di editoria, critica letteraria e promozione culturale. È il presidente e il direttore del Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia dedicato alla narrativa e alla poesia, con progetti di educazione e promozione della lettura rivolti alle giovani generazioni. È il curatore delle opere di Piero Bigongiari ed è il direttore scientifico del Fondo Piero Bigongiari della Biblioteca San Giorgio del Comune di Pistoia.
POESIE
da Magnificat
MAGNIFICAT
I
Il ponte di Mostar avanza
nelle macerie di questo azzurro.
Illumina. Prende la tazza
di caffè freddo nel frigo.
Mattina dopo mattina.
Con la paletta rossa piantata
nella polvere nera. Con la polvere
acerba di questi morti io
mi copro. Attenti alla storia
di fanti che scattano attenti
come angeli legati
a questo ponte di carne.
Da una sponda all’altra del pube
galleggiano morti.
Un fiume di desiderio li porta qui.
Abbracciaci tutti.
Tazza della spirale accesa
dalla vergogna. Io si leva qui
tra vestiti e bianchi
corsetti. Guardo meglio
di te che spari in questa
tivu accesa mentre
mi scaldi.
LA BICICLETTA BIANCA
Il ladro non seppe mai a chi appartenesse
la bicicletta bianca. Resta appesa
al chiodo della tua mente. Lei bianca
doveva pur cedere a chi
te l’aveva sottratta.
Colorarsi di verde, di azzurro.
A volte passa di fronte al mare. Vi si
confonde. A Mezzogiorno
dopo il bagno dei bambini
passa l’omino a strisce verdi e blu
con la trombetta afona.
Ironia davvero.
Lei sospesa in alambicco della mente
resta Bianca.
da Patricidio
Patricidio a New York
Io non so cosa cadde quel giorno dalle Torri Gemelle
dentro me. Avevo appena ricevuto i risultati e quando
caddero le Torri ero già caduto nelle cartelle delle analisi.
Così seppi che c’era oltre di me un altro che cadeva
cadeva come i coriandoli a Carnevale. Da un carro
altissimo. Quando avrò il funerale voglio salire
su un carro. Sbriciolarmi sui passanti. Sentire
le urla di chi vuol restare intangibile. Io non so
se quel giorno davanti alla tivu ho pianto più
per me o per i mille coriandoli che vedevo cadere
giù. Cadevano i progetti e i sogni. Da allora
vivo murato nel mio silenzio. Il canto è finito
per sempre. Con quale parola può rimare il dolore.
Con quale speranza si aprono gli occhi. Io non so
cosa cadde quel giorno né chi. Di sicuro dovetti
sbiancare di fronte al dottore. Un giovane mite
nel camice bianco. Si-può-curare. Ma come si può
curare l’adolescenza mai cresciuta ed il desiderio
di gettarsi nelle braccia di tutto il mondo. Non ricordo
altro dell’11 settembre tranne il rumore lontano
delle edizioni speciali del tg. E un senso di pace
come quando la nave affonda col carico di umanità
che possedeva. Il canto non ci salverà. Ma finirà
un giorno la strage che è diventato il mio cuore.
da Rosso degli affetti
I DUE CANOPI
1
Presi dalla luce non ci accorgiamo di esistere dentro un Aldilà
già consegnato ai posteri. Mentre sfiliamo in silenzio al museo
che tiene la Chimera a guardia del giardino. Dove le tombe
sono state traslocate. E le casette hanno cupole d’erba oppure
l’edera ha invaso le capriate. Scendiamo sotto la terra giglia
fra torba secca messa a seccare. Nel giardino delle tane
e dei cunicoli l’anima può anche appartenere agli etruschi.
Finché davanti ai due canopi neri siamo entrambi consegnati
al silenzio. Le urne cinerarie di terracotta. Le terre rosse
dentro un impero sgretolato. Immobili non ci guardiamo
nello specchio. E dentro la vetrina sembriamo due anatre
di plastica in un lunapark. Sotto il gran tendone a strisce
verdi e blu. La testa sopra le ascelle. Il corpo mutato in vaso.
Anatre nere senza ali pronte a ricevere il cerchio dei bambini.
Per chi vincerà il nostro corpo. Mentre sfidiamo i secoli
con il sorriso sulle labbra. Qualcuno forse vorrebbe ancora
tamburellare le dita sul nostro corpo cavo. Farci il solletico.
Vedere se siamo vivi oppure nati per essere i giocattoli morti
nelle mani dei bambini. Due anatroccoli neri ci guardano
con i nostri lineamenti. Incapaci di volare oltre l’orizzonte.
2
I bambini sono impazienti di vincere il loro premio.
Solo che il cerchio non passa dalle teste. Resta sghembo
sugli occhi. Non ci mette il cappio al collo. Così ci tolgono
dalla gara. Siamo due cigni qualunque in mezzo a tanti altri.
Se fossimo i due canopi. Fra il rosso e il nero delle terracotte
pensare. Perché pensano i vasi con figure. Il cratere François
spaccato e più volte ricostruito. Dove le grandi storie girano
con figure nere dentro il mito. Contenere tutta la nostra
vita diventata cenere dopo il fuoco. Anche in questo modo
capere di esistere appena sulla soglia della polvere. Pensare
che basterebbe un colpo d’aria. Il riscontro di una finestra
aperta per farci volare. Mentre il cratere François è solo
un trono di storie interrotte. Siamo due sentinelle a guardia
della civiltà. Crediamo che nella cenere risorgano gli eroi.
Prendere tutte le armi. Salire dal frastuono dei banchetti
con i servitori. Dai vasi neri con figure rosse. Dalle coppe.
3
I canopi senza gesta né figure. Cancellate dalle lavagne
dei bambini. Eravamo i guerrieri del Centro Italia. Siamo
le caricature di un luna-park chiamato storia dell’arte.
Tutti vogliono la nostra testa. Ma sfilano distratti verso
un’altra teca. Volano in cielo le anatre reali. Mentre noi
siamo le finzioni dei viventi. La loro coscienza del niente.
Con i nostri organi corrosi. Fegato mescolato al cuore.
Polmone tutt’uno con i reni. Per volare occorrono le ali.
I vivi non ce le hanno costruite. Non possiamo più librarci
nella morte. Solo navigare in un recinto. Una giostra tonda
gira su se stessa. Mentre nessuno potrà più sfiorarci ancora.
E con ansia aspettiamo di cadere dal vetro in mille pezzi.
da Folla delle vene
Rosa rosae rosae
(per “Lotofagie” di Luca Caccioni)
Un colpo d’ala e la rosa s’infiamma. Lo sente il muro
che arso si arroventa. Dove l’oblio della storia del padre
tocca l’apice della bandiera. E forse nel cortile gli uccelli
fanno a turno per sfidare i medicamenti degli afidi.
Così una volta potavi le rose. Coi guanti di pelle pesanti.
Sporchi a fine serata. Nell’orto esposto al mezzogiorno
della piana. Non erano le tue preferite. Le rose tenute
basse per non urtare gli iris. Mentre l’albero dei loti
protervo si allargava anno dopo anno dal bastione.
Rosa rosae rosae. Resterò per sempre orfano di questo
declinare e fiorire. Globi d’arancio. Luce del cielo altrove.
Le rose appena sollevate. La tenda stesa sulle sementi.
Il muro ruvido. Il tuo amore intatto che spezza un’ala
al gabbiano sfigurato. Volo. Nella tromba del Giudizio.
da Jacquerie
CEPPO SCOMPOSTO
Per Pino Spagnulo e per le vittime
della strage nazista del 1944 nel Padule di Fucecchio
È dove il Ceppo torna farina dal biscotto. La terra
terra. Il fuoco fuoco. L’acqua acqua. L’aria ancora
non sostiene l’aria. Dal fondo della Creazione
urlano tutti qui e ora. Nel giorno del Giudizio tutti
stanno disuniti per grazia o per dolore. S’alzano
vittime della palude a stormo. Raso acqua e terra
e fuoco. Ma l’aria è carica di pioggia. Va verso
il non ritorno. Sottovuoto non possono tenersi
le anime. Così intatte nel vetro della superficie
mentre ciclopiche si levano da grate. Girano
immense girano le ruote. Nel punto dell’attrito
il fuoco fuoco la terra terra l'acqua acqua tornano
a darci aria. Non quella che respiriamo. Il soffio
che ci fa nuvole. Se la fucina ritorna fornace.
TRANSLATIONS
da Magnificat
Magnificat
I
The bridge of Mostar advances
in the wreckage of this blueness.
A light. Takes the cup
of coffee in the fridge. Cold.
Morning after morning.
With the red spade planted
in the black dust. With the bitter
dust of these dead I cover myself.
Beware of the History
with the soldiers that spring up.
Beware. Like angels tied to the bridge
of flesh. From one bank to the other
across the pubis float the dead.
A river of desire brings them here.
Embrace us all together.
A cupful of the spiral set alight
by shame. Io awakes here
between the clothes and white
corsets. I see better than you
who shoot again on this TV.
On-off. While you heat me up.
da Jacquerie
The pass of refugees
IV
They were all in a wagon. The bikes jammed
one inside the other. Not one of them
moved again. Mine with green handlebars
and a yellow bell. Yours too with yellow
handlebars and a black bell. But father’s
was a sage-green colour. Red light and a pedal
as yellow as the sun. When they took her
stowed her with the others. «Like quarters
of meat skinned to bone. We all were
always about to go. With a great
concert of saddles. With the mess tins
just to pass the time. While only youth
had some bells. And we brought
what water there was to our mouths
with straws of hay. It was coming down
on the trailer. Without flavour between
deaf songs and pedalling. As a telegraphist
I pressed harder with my fingers. To the last
tap tap. Then I got down from the death train.
That’s how I bounced back on the train that night.
I took advantage of its suddenly going through
my mind». Then you said: «I’m a man who can
change his skin». Until hanging from hooks
we’ll melt together like the bike. Broken to pieces
by life. Then we’ll swap bells. We’ll even
swap handlebars. We’ll swap the ladies
on the crossbars. We’ll wait for time
to polish the entire bike. To go quickly
through the focus oh the hourglass. Until
even the potato field will be no more
than dust. Near Dachau.
da Patricidio
Parricide in New York
I don’t know what fell from the Twin Towers on that day
inside me. I had just received the results and when the Towers fell
I had already fallen into the sheets of analysis. Thus I knew
that beyond me there was another who fell down
like confetti at Carnevale. From a big high
wagon. When my funeral comes I want to rise
on to a wagon. Scatter myself on those passing. Hear
the screams of those who wish to stay untouchable. On that day
I don’t know if in front of the TV I cried more for myself
or for the thousands of confetti I saw falling
down. Plans and dreams fell. Since then
I have lived walled up in my silence. The poem
has finished forever. What word can rhyme with pain.
What hope can still open eyes. I don’t know on that day
what fell nor who. Certainly I must have turned pale
in front of the doctor. A kind young man in a white coat.
It-can-be-treated. But how does one cure an adolescence
that never grew up and the desire to throw oneself
into the arms of the world. I remember nothing else
of the 11th of September except the distant sound
of the special editions of the news. And a sense of peace
as when a boat goes down with the big cargo of humanity
it carried. The poem will not save us. But that day
will end the carnage that has become my heart.
da Rosso degli affetti
Beslan the soldier
1
On foot from school the road home. On the first day
of high school. We take his bike by hand. The old lady
crossbar and the rainbow chain over the steel spokes.
Already we are friends but now we two are truly
desk mates. You play football after school untill
underlining Dante’s “Commedia” text and notes.
Seeing again the bike that carries you from the tree-
lined corso to the Army Fortress. The dead confuse us.
2
Memory confuses everything with in us. We are in the
Hereafter of the same age. Children of fathers. Fathers
of grandfathers. All grandfathers of sons. We are one
alone. A single great helmet with blue eyes. A war trophy.
Putting on the record player “Madam do you love me or not?”.
Filling the room with “In un big store once a month”.
It could be once again the same song from the seventies.
Even if you come forward dressed as Beslan the soldier
holding a child in his arms. He has a shaved head
but he looks like you. Have pity on our different life.
As you gaze and set the child down near to us.
He couldbe us. Whatever good entered into a shared
life. Beslan the soldier who watches over our life
holding back adolescence on this side of the abysse.
Finding together the great extreme salvation. While you
hold on to the bike moving off by itself. A white bride.
When and if a friendship is accompanied to the altar.
Knowing why unexpected friends abandon each
other within the horizon full of hols. If we desire to become
mothers to bring up sons. The battle trench of that desk.
After the teacher’s questions. Piles of books and scattered
notes. In the far corner of the classroom. The lone
survivor. The same heart two lips a liver two arms hold
the anguished child. Now you have been employed
as a teacher. You teach in an empty classroom. The mind
hopes to remake that bike. But life is totally different.
The pictures ask for a transparent skin. A white light
to filter in. A disco of Battisti for our May singing.
3.
In the afternoons of rain and homework after living
the first day. Through what desire are you in that photo
in the world’s newspapers? Inside are you still the teacher
you wanted to become? Without borders. Without family
exploring through History. Believing defenceless
it’s possible to remember. For the red involuntary
evil we have without thinking. If we silence
our feelings. Spread out eternity thinking of infinite
time. Unready we find ourselves one step away
from death. Heroes without having time to choose
what was necessary. Playing ball supporting each other
Dribbling around love as you dribble around another.
(Translated by Theodore Ell)