Giuliano Gramigna è nato a Bologna nel 1920, è vissuto a Milano dove è scomparso nel 2006. Ha pubblicato le raccolte di poesie: “Taccuino” (La Felsina, 1948); “La pazienza” (Rebellato, 1959); “Robinson in Lombardia” (Rebellato, 1967); “Esercizi di decomposizione” (Magenta, 1971); “Il terzo incluso” (Ipl, 1980); “Es-o-Es” (Società di poesia, 1980); “Quello che resta” (Mondadori, 2003). Suoi anche i romanzi: “Un destino inutile” (1958); “L’eterna moglie” (1963); “Marcel ritrovato” (1969); “L’empio Enea” (1972); “Il gran trucco” (1978); “La festa del Centenario” (1989); e i saggi: “La menzogna del romanzo” (1980) e “Le forme del desiderio” (1989).
Giornalista, ha collaborato a periodici (“Il Verri“, “Paragone“, “Aut-Aut“, “Botteghe oscure“, “Settimo giorno“, “La Fiera letteraria“) e a quotidiani (fra cui “Il Giorno”, “Corriere della Sera” e “Corriere d’Informazione“).
https://it.wikipedia.org/wiki/Giuliano_Gramigna
POESIE
da QUELLO CHE RESTA
I seminari e altro
Leggendo i seminari
come due interlocutori testardi
a sopraffarsi a non lasciarsi sopraffare
io decrepitando degrignolando verso l’anno
della tua morte come per raggiungerti
finalmente – ma tu folgori intangibile di genio
nella pagina ti burli dell’età
vegliardi doppi litigiosi macché
se la scintilla del leggere del capire del non capire
beatitudine estrema di ciò che prendi e non sai
intercambia la giovinezza con i capelli ritti
gli occhiali spiritati il gesto promulgatorio
lui asceso alle strade del St Anne
propaga corpuscoli vertiginosi
polline dorato letturioso
via per i cunicoli dei nostri lobi
e sprizza un elettrico per ogni dove
Proclàmati e subito ritìrati Gran
Variago come un dio antico della nube
Buon secolo dottor Lacan
Visitatore di poesie
Sono
disceso io morto fra tante poesie
come un visitatore fra le ombre dell’ade
ma a chi può interessare ciò che ho visto
sfogliando il libro di fogli come foglie
che portano scritte la sentenza di Sibilla;
supponendo un senso che sopravviva
a ogni sgorbio di penna o battito di computer.
Che senso puoi dare G. o chiunque tu sia?
Ogni pagina foglio si spoglia di essere soggetto,
sibila dolcemente scivolando nel sottomondo.
MA: tants
que mes amis ne mourront pas, je ne
parlerai pas de la
mort.
*
Si accenda nel fosforide
gloriosa qualità della mente
che promuove monstra et poèmas
– te lo scrivo nella lingua meticcia
in cui spiccicare finalmente
“quel che ho da dire”
(cara immagine fraterna
di un tal scrivente
nomato Antonio Porta) –
ma che si accenda?
Piccolo poema per i tram
(e i bus) di
Milano
In un abbaglio di meteora,
come il carro di Elia,
si sferra un tram dal niente –
fulgido (mai ci saliremo).
Una mano gentile e dura torce
dentro: ” Ma non volevi
vivere su questa terra?”
Non ce n’è più di vita
Incrociando via Paolo Sarpi
Stamattina una striscia
di Paolo Sarpi brilla nel sole.
Dalle devanture di un’ombra
danzerina fa sponda
a qualche pensiero epocale
da appuntare sul quaderno.
Ho sempre saputo che Milano
conteneva fette di felicità
per ciascuno. Ma invano, si capisce.
Forse l’incrociammo a caso
i mostacci barbouillés d’confiture
troppi bambini per l’appuntamento.
E’ rimasta lì
cibo infando beato intatto.
Questa poesia fu composta a mente
la sera del 4 gennaio ’99
camminando con piè un po’ incerto
(ma dignitoso) verso la morte.
La fulgurante I
in fondo
trafugata
in granai-smemorie disgregatisi
per liquefazione de cerèbro
(così squisito dicono e poetico!);
già un crebro pulsare
di microidee affluendo vive
correnti di colpi vitali – frantumi o ciarpame
trovarobato; in che ambulacro
i lapilli del cervello “che fu sì vivo”
(un pulsare emetteva
radiazioni messaggi millenari);
dove si sarà depositata quell’ombra nulla
mobilia scranna bibelot di famiglia
mentale: ciò che non fui e non scrissi;
epperò eredità dell’Altro
motto siderante enunciato olim
e per sempre
la fulgurante console
La fulgurante II
la fulgida console che naturalmente
non gli appartiene
(non mai imitabile Stéphane)
ripescarla dalla cisterna
di forsevita Ricominciare una poesia
(quella!) da capo anzi dal rovescio
con minime catastrofiche varianti
come se non fosse più lui ma l’assente
a correggere reinterpretare far nuovo
C’è del nuovo? Un fantasma pantofola
nel corridoio e anche questo fu già scritto
chissà meglio con onore
not so sweet now as it was before
*
rompete schiume schiene ai ponti
acqua dove non ci si bagna mai due volte
meravigliosa limpida ardente
io accompagnavo le Senne
non una le tante
venute giù dalle pagine dai sogni dalle camminate
lungo i parapetti
acquasenna macché di memoria d’acqua
perturbante di sperma schizzato
che allarga lo spacco del discorso
ormai balbettio d’infacundus
nel blocco cerebrale
e camminò intatto
nella pienità del dire
Del libro futuro
Si tratta del libro futuro
Che fosse
un punto più in là una pagina
più avanti un livre futur
che attraverso sgorbi abbagli
la griglia delle cancellature
spuntasse non il mai-detto
ma l’ombra di un errore nuovo
arrabbattandosi come insettino
nella merda scrittoria fifiltrando noia stupefatta
ebefatta delle mirabil
cose
mai venute – così ricacciato in fondo
al ventre di troia che non l’isbrottò
La visita a Ezra
Non the
Old Maestro
enobarba enorme egoista e sublime
intorno a cui si affollavano a rispettosa distanza
gli stupidi ragazzini intimiditi
– che fu amato da Olga-
ojos claros in un arruffo di pel rosso
e scrivo come in un testamento
temendo che non
passerò la notte
Ho inciampato due volte per le strade di Milano
e una voce mi dice
Nun me fa’ la terza
Ezra appuntò i nostri nomi
rispettosamente su cartoncini colorati
che ci innalzavano (non lo sapevamo)
al suo paradiso
e non osavamo articolare
il nostro inglese di scolari
Lui venuto in pigiama e pantofole heroico
a passi sbiechi per il corridoio
a farci fare il sogno
d’incontrare la poesia. Come camusi! come sciocchi!
ignari di ciò che saremmo stati anzi non saremmo
mai stati quantités négligeables
che mancavano al conto
(ora so che quel pomeriggio
è un cardine della mia vita)
*
Sono felice mi manda a dire
(o almeno io leggo così in quel suo verso).
Ma non mi rallegro
lo invidio lo detesto
perché non è ottenebrato
come me.
Mi vergogno di queste righe
non perché siano belle o brutte
ma perché cade anche l’acre
resistenza alla emozione.
non è una storia tragica e asciutta
ma l’insopportabile guaito
della bestia domestica.