Giovanni
GENTILI
Giovanni Gentili è nato nel 1972 a Subiaco (Roma), ma da sempre vive ad Affile (Roma). Ha un fratello gemello e una sorella. Da bambino ha scoperto il fascino della lettura, da ragazzo il gusto per la scrittura. Durante il liceo ha vinto un premio ad un concorso indetto dal quotidiano “Il Messaggero” per studenti di scuole superiori, con un tema sulla solidarietà. Dopo la maturità classica, si è laureato in Lettere presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con un tesi dantesca intitolata “Paradiso XXV: il canto della Speranza”. È inserito nelle collane della casa editrice “Pagine”: I Poeti contemporanei (2013); Viaggi di versi – nuovi poeti contemporanei (2013); Il Parnaso (2014); Riflessi (2015) e con la stessa ha pubblicato la raccolta di poesie dal titolo Senza tempo (2014). Ha ricevuto due riconoscimenti speciali (nel 2022 e nel 2023) dalla giuria al “Premio letterario Rudy de Cadaval”, nella cui Antologia (Joker, 2024) è presente. Ama la poesia, la letteratura, il cinema e la musica.
POESIE
Aldilà
La mia anima avrà occhi
che ora il corpo non possiede,
il mio spirito visioni
che la mente non contiene,
saprò un giorno per certo
di cosa sia foriero il vento
e avrò il dono di scrutare
l’avvenire di un momento,
oltre l’ultimo conoscere
della condizione umana.
Sarò parte per il tutto
e tutto in una parte,
mi confonderò col tempo
trasformato nell’eterno;
vedrò fatti secretati
negli archivi di coscienze
estenuate dai rimorsi,
ne distinguerò i percorsi
in cui nessuno ha camminato,
soffrirò di quei dolori
che la morte ha cancellato.
Avrò pietà e, solo allora, pace.
I giorni di ottobre
Le mattine fredde giusto all’alba,
dopo è caldo il sole e il vento smette;
suoni rochi di corvi e cornacchie.
Primo autunno col suo clima mite,
i pomeriggi silenti, gli alberi gialli,
i viali semi-invasi dal fogliame
che cade come le castagne
e la sera al momento opportuno.
Quando è sereno, è pulito il cielo,
se piove, è sudicio
e la terra s’impoltiglia,
ma dura poco, solo il tempo di capire
che ogni cosa cambia e poi ritorna:
la natura fa il suo corso.
Ottobre viene una volta l’anno,
scivola come un gatto
fra i vicoli di paese.
Si può guardarlo passare
fino a perderlo di vista,
senza scordare le sue malinconie.
È triste che ci sia chi non lo nota,
perché ha il pensiero troppo altrove.
Idea di leggerezza
Vorrei intorno a me solo spazi azzurri
e non occorrano ali per volarvi dentro,
distese immense incalcolabili
per i più evoluti strumenti di misura,
territori sterminati da esplorare
con la mente e senza sosta,
finché il viaggio abbia il suo fine.
Vorrei poter così stare e guardare,
presente e perso nell’aria,
ogni cosa scorrere e non tangere
i contorni della mia fisicità.
E stanco e nel riposo vivere
gli attimi che muoiono felici
di essere solamente esistiti.
Per una tale fortuna, però,
mi serve aver capito il peso
di ciò che a quell’idillio
ben poco o niente somiglia.
La dignità dello spaventapasseri
Un uomo fatto di paglia,
con stracci e cappellaccio,
posto a guardia del campo
per scacciare gli uccellacci,
specie quelli del malaugurio;
un uomo (ma può essere una donna),
che un padrone ha messo lì
senza stipendio, pure sotto la pioggia.
Piantato tra il grano o in una vigna,
non si rimpinza, né si ubriaca;
il sonno può solo sognarlo,
mentre fissa in solitudine le stelle.
Se il raccolto sarà buono non lo sa,
o se una grandine gelata lo stronca;
con zelo, tuttavia, custodisce il terreno.
Il sole del giorno lo cuoce
e la notte lo ricopre di brina,
ma non si muove dal mestiere
che il destino gli diede in sorte:
tanto non ha alternative.
Gli uomini ne avrebbero…
La fontana del parco
L’acqua non può che sgorgare
dalla coppa di marmo,
scurita dal muschio umido,
in tre getti che si buttano
in cerchi sul cerchio del fondo:
io sono un bambino
che gioca con palette azzurre.
Lo scroscio costante scandisce
gli attimi ritmicamente:
sono un ragazzino
che gioca in terra con le biglie.
Il gorgoglìo smuove l’aria
e la prossima stagione:
io sono un ragazzo
che gioca a pallone l’ennesima sfida.
Il vento scompone lo strato
di patina liquida sopra la roccia:
sono un giovane
che gioca perfino con l’amore.
Il rumore zampillante scherza
col suono del pianoforte:
sono un uomo
che gioca col tempo.
La quarta dimensione
Seguire un flusso di coscienza
alterna prima di dormire, pensare
a come non guastare la felicità.
Un’esperienza magnifica e ricordi
tali a capelli si annodano in mente:
non trovo il filo per sbrogliare.
“Non ci saremmo mai incontrati…
non saremmo mai stati qui…”
solo con lo spazio razionale.
Quell’anima geniale si mise
a sfidare il mistero del cosmo
e voleva scoprire i segreti di Dio,
poi sciolse l’enigma del tempo…
e del perché invecchiamo
e non sappiamo come la luce andare
tra le buie distanze dell’universo.
Forse, al pari di me, implorò,
quando subiva il morso del vivere:
“Tempo, dammi il tempo di capire,
mentre mi trascini nell’essere,
se sei duro castigo o immensa libertà”.
Musica dalle rovine
I ruderi antichi della villa romana
il sole invade solo in parte,
bucando i vuoti lignei della volta
che copre l’area del ninfeo.
Negli anni duemila e oltre dopo Cristo
vi suonano concerti;
classici autori grandi in composizioni
e liriche arie di “bel canto” italiano.
Strumenti vibrano “ensemble”
con le voci dei solisti mondiali
e il pubblico assiste in corale silenzio.
Io penso, intanto, a carovane imperiali,
ai viaggi colossali, all’iter laborioso
per giungere in loco, ove Traiano
passava i suoi ozi estivi, lontano
dai rumori insidiosi dell’Urbe;
a tutte le vite di un’epoca morta,
ombre che aleggiano forse ancora qui
per ascoltare musica dalle rovine,
mentre il maestro dirige l’orchestra
e le lucertole scalano le mura.
Sabbia
Il tuo corpo è sabbia,
quella liscia dorata,
che al sole si scalda,
quella che ti sdrai
e prende forma;
quella che non punge
e non scotta i piedi,
quella che la vedi
sfiorare il mare;
la sabbia che le guardi
curve e lineamenti,
la sabbia dei silenzi
e dei ripensamenti;
quella che ti accoglie
stanco sulla riva,
esausto di onde,
gli scogli lontani;
quella tra le mani,
che accarezzi come oro,
come un sarto al lavoro,
che dalla seta inventa
un abito sontuoso.
Silenzio
Con un sortilegio
ti sei preso il mondo,
facendone un regno,
imponendo il dominio
su terre e nazioni,
ridotte in tuo potere.
Tutto hai invaso
dall’alba al tramonto.
Avevi il turno di notte
in remoti avamposti,
spadroneggi ora
alla luce del sole
e dorme ogni rumore,
tranne il vento che soffia
e il cadere della pioggia.
Serpeggi tra noi ammutoliti
da un’incognita irrisolta.
Vuoi darci risposta
prima del tuo esilio
e di te avrò nostalgia,
ma, oggi, i morti accompagni
e le rondini in volo.
Stanotte
Stanotte io vedo
le cose storte,
le stelle morte
emettere luce
troppo lontana.
Stanotte io sento
il vento calmato
dall’aria d’estate
e una luna discreta
non si fa guardare.
Chissà quale sogno
ha in mente la notte
per me così stanco
di attendere il sole?
E resto a fissare
l’oscuro soffitto,
le ombre in affitto
e i rimbalzi sfocati
di strani fantasmi…
Che pena stanotte,
aspettando domani
che passi la vita!