Giovanni
CORONA
Giovanni Corona è nato a Santu Lussurgiu nel 1914 ed è morto a Cagliari nel 1987. In gioventù, durante gli studi universitari a Cagliari, conobbe Marinetti e aderì per un breve periodo al Gruppo futurista sant’Elia di Gaetano Pattarozzi. Uomo di vaste letture, profondamente radicato nella sua terra, produsse centinaia di poesie, ma pubblicò in vita una sola plaquette, incoraggiato dall’apprezzamento di Mario Luzi. Le sue raccolte di poese uscite postume: Ho sentito la voce del vento (profilo e nota critica di Antonio Cossu e Mario Ciusa Romagna, Il Convegno, 1966, 2° edizione UNI Service, 2010), Richiamo d’amore (introduzione di Renzo Cau, Gasperini Editore, 1988, 2° edizione, nota introduttiva di Francesco Porcu, UNI Service, 2012), Sassi della mia terra (introduzione di Renzo Cau, DP di Katia Pellegrino, 1992, 2° edizione, nota introduttiva di Francesco Porcu, UNI Service, 2011), Mi fioriva un’isola nel cuore (prefazione di Paolo Fresu, Nemapress, 2008), Incontro al vento (prefazione di Paola Lucarini, Edizioni del Faro, 2014). È autore di un romanzo, Questo nostro fratello (introduzione di Emanuele Pettener e di Ilaria Serra, Uni Service, 2012), e di un Epistolario (prefazioni di Angela Cacciarru e di Silvia Boero Edizioni del Faro, 2014).
https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Corona
POESIE
Ore 23,10
———————————Agli amici delle ore 19
Avere in faccia una luna: ti sogghigna
tra un nicchiare di nuvole e d’azzurro,
benigna ed allettante e tu ti sporgi
guardi dalla finestra e vedi lumi.
Non comprendi il silenzio e cerchi i volti
degli amici scomparsi. – Dove sono? –
ti chiedi (e non lo sai). Chiedi alla luna
che candida risplende: -Dove sono?-
Non ti risponde e triste ti ritiri
in te stesso, come chiocciola offesa
e ti domandi. E’ triste essere triste
se in cielo una luna resta muta
e l’orologio segna l’ora zero.
Nulla s’è detto
Nulla s’è detto all’ombra della quercia
che non sapesse pianta sull’altura.
Scendeva il fiume verso la radura
con un suo canto e rifletteva i monti:
i monti fermi e tremolanti all’acqua
dicevan delle nubi vagabonde
e del cielo che è azzurro e delle stelle
alte che aprono gli occhi all’infinito.
Scendeva il fiume ed a letti erbosi
riportava il soldato, quando stanco
una puttana gli era accanto, ed era
l’unico anello che lo unisse ancora
al mondo vivo, alla carne soda,
all’universo: che lontano stava
l’ideale sporco per cui moriva.
Efisio
Io sono stanco, Efisio, molto stanco
e dentro ho una tristezza senza fuoco.
Sono stanco di me e di te, Efisio,
e delle fotografie, delle troppe
fotografie tue apparse sui giornali.
Sorridi sempre sia che tagli un nastro
sia che inauguri un corso di cultura
sul piano di rinascita. E qui si muore.
Hanno ucciso ancora al mio paese.
Uccidono sempre e da sempre al mio paese.
Efisio, sono stanco, ma che vale
dire la paura che attorno ci rinserra
quando è in atto il piano di rinascita?
Io sono vissuto tra morti.
Ecco mia madre
vecchia: ha ottantanove anni, Efisio,
e negli occhi il panico di sempre
——————————– e mi parla
parla di un suo fratello giovane.
Vent’anni e doveva andar soldato
e venne ucciso da un colpo di bastone.
Testamento
Più di una volta la rete m’ha preso
dell’acqua fonda e portato alla riva
di sabbia e di fanciulle e di rincorse
e di risate. Ogni anno è avvenuto il miracolo.
———–Verrà pure, purtroppo, il giorno senza spiaggia
———–senza allodole in alto: io sarò allora
sommerso in un oceano e questa valle
avrà il termine chiuso d’ una tomba.
Amici, vanamente chiamerete
dalla spiaggia il mio nome. Il mio segreto
sarà per voi nell’ultimo ricordo:
un uomo che fissava oltre quel mare
alla ricerca di un richiamo nuovo
d’amore, nello spazio inalterato
dove la voce non fa più barriera
insieme a Dio, col respiro dei morti.
Mia gioia
La mia gioia sarebbe questa terra
se perdurasse il verde dell’olivo
e il muoversi dei greggi e l’energia
dei tori che corrono ai rumori
e l’umido sgusciare delle fonti
e il tremore di pietre e di cavalli
del filo delle ondate delle strade
strette, ove il sole non respira
che in chiazze segregate dalla muffa;
la mia gioia sarebbe questa terra
se non dovessi udire più campane
per un sangue rovinato a goccia a goccia
come pioggia squamata nella melma
e non riempisse le orecchie, ancora, il grido
d’oscurato sgomento per i colpi
di fucili mordenti all’improvviso,
nascosti nelle grotte dei sentieri,
elastici all’agguato e all’ignominia;
la mia gioia sarebbe questa terra
se non fosse legata al basalto
(implacabile al mare e alla speranza)
al peso di un silenzio, dispersivo
nell’omertà dei monti o della morte.
Vita
È venuta l’estate senza ombra.
Non guardarmi così con l’occhio aperto
per rivelarmi che sei carne tutta.
C’è tanta acqua dove voltolare
il mio corpo che vuoi nudo e trionfante.
Ti potessi afferrare agile bestia
e innestarmi con te come fa il cane
e rigarti di sangue a strisce a strisce
come il gatto infoiato: essere ancora
estate, corpo, carne e sangue. Vita.
Han preso
Han preso una gallina per le zampe
e con un colpo fermo di coltello
le hanno mozzato il capo.
Ogni giorno da Roma e da Milano
e dalle altre città
sempre le stesse notizie.
Hanno preso un agnello per le zampe.
Gioia del vino rosso a garganella.
Gioia delle messi a fine luglio.
Le castagne che tonfano a novembre
le veglie calde al fuoco di dicembre.
L’errore
Il dono d’esser vivi non è nostro.
Niente è mai nostro, nemmeno il ricordo
che ci distingue dal filo dell’erba.
Un pretesto la vita a stare insieme,
accanto, per questa tanta solitudine
pazza, nella ricerca delle labbra,
morti in una panchina, ad occhi vuoti
e proclivi all’errore d’esser vivi.
Non è chiusa ancora
Non è chiusa ancora
la nostra dannata adolescenza:
illusa e pesta
risorge
se nel mare
si rispecchia una stella.
Ecco riappare
insonne
nelle veglie
l’inganno
della carne.
Onda di mare
densa di seme,
demente sesso
ancora e sempre.
Se ti ricordo
Se ti ricordo corpo umano: corpo
tutto brividi, carne schiusa, vivo
il senso si riprende nel riandare
a nuotate conchiuse. L’orizzonte
si chinava allora tutto intorno
alla carne slanciata, ad ascoltare
il ritmo delle membra affaticate.
Era il mare il tuo campo e t’ immergevi
nell’acqua di cristallo, ove la roccia
ha le crespe di sangue e si scioglie
in cangiante colore, ombra di schiuma.
Ora, corpo, sei stanco e ti rimiri
nell’afa di una stanza, ove ronzanti
stanno le mosche, simili a pensieri
di remoti ricordi, fatti pietra.
I cammini di fiaba son rimasti
ad antica dimora, dove il mare
nei riflessi dell’acqua ha quel mio corpo:
gelida forma, eterna allegoria
nell’ombra dell’abisso e del silenzio .
Modolo
Dondolo la mia umana passione
nel cuore gonfio di silenzio.
Vivo nell’ora che batte
sento il fruscio esalar di pianti remoti.
Non essere in questo paese che è mondo
ma tendere mani e bocca verso l’onda sonora
stellata dall’aurora
e concepire altra vita
per non dover morire.
San Giovanni
Ho contemplato il fuoco divampare,
che dai giochi d’infanzia si ripete
all’orizzonte d’ogni San Giovanni.
————Inalterato il cielo più non svela
————la speranza d’aurore
————e il giallo dell’estate
————si specchia ora in un mucchio
————di cenere sfatta.
Si è spento il fuoco
come il riso dei bimbi
e niente più ci illude
per la trama dei sogni.
————Nel silenzio è rimasto
————l’abbaiare d’un cane solitario,
————che fa grande la notte.
Anniversario
———————————————-Ad Arnaldo Beccarla
Meglio dimenticare che sei morta:
l’incubo che mi peserà lungo la via,
l’atroce solitudine che avvolge
cervello e cuore.
——————–Parlarne a che giova?
Non mi potrai più udire.
——————–Come ciottoli
delle mie strade, emergono al dolore
ad uno ad uno i tuoi ricordi.
——————–O mamma,
che gran distanza il tempo:
——————–un giorno, un anno
e al vento frantumare le frescure:
un fondo amaro, un groviglio di tentacoli,
un naufragio e sempre … Sempre la tua assenza
con me, un rudere in terra straniera.