Maria Teresa Giani è nata nel 1943 e vive in provincia di Varese. Ha esordito in poesia nel 1993 con la raccolta Percorso di somiglianze, presentata da Giancarlo Majorino (Campanotto Editore). È seguito, nel 2007, il poemetto Sogno del mondo, pubblicato dalle Edizioni del Leone. Del 2009 è la plaquette A onore della vita (Associazione culturale La Luna), integrata, con alcune modifiche, nella raccolta successiva dal titolo Nel profondo alto (Ladolfi Editore). L’ultimo libro di poesie è Questa forza di pace (Biblioteca dei Leoni, 2014).
Email gianimariateresa@alice.it
POESIE
da PERCORSO DI SOMIGLIANZE
schizzato dal cuore di un pozzo
ascolta il rospo fruscii di vesti
sul selciato strusciare slabbrate
palandrane nella palude dello sguardo
riflette la chiatta della piazza
dentro il suo occhio si formano
le fondamenta attorno alla pupilla sente
convergere la forza delle travi le fitte
i tonfi delle pietre l’occhio è l’erede
di schiere di architetti nel lento
ruotare del bulbo energici profili
di artisti dal tocco indelebile
quasi acqua contamina con piccoli
denti di melma registri millenari
come lobi labbra bronchi disattivati
non c’è gioia a Venezia i ponti
sono rassegnati ad altri ponti senza
il sollievo di una soglia il rospo cerca
di ricordare se il sole avesse mai smesso
un momento di ammucchiare lapidi
vanno sfiorendo bifore riflessi
nelle spire d’acqua e quando maschere
sbucano dal cielo lune soli
compatti ovali e tulle capisce il rospo
che le sue zampe affondano nell’incantesimo
di un annientamento che simula
vie di vita e tira di fioretto
alle perfidie dell’acqua
inizio d’anno come filo a piombo
sul petto questo inverno da cupola
di vetro che scuote neve finta
mi lascia indietro orma che brucia
odore di me contro me
tu sei oltre l’acqua tra lenzuoli
di carta che ti sussurrano e origliano
tonfi di pensieri che si misurano
e cascatelle irridono aguzze
lenze braccano siglano il ghiaccio
perché questo silenzio che i crinali
dell’anima investe questa soppressione
dall’alto dal basso non esserci
l’incontro neppure di due esse in
volo casuale strapiombo dell’ultimo
suono tranne un tam tam
spalancato in un alveolo…
e poi il giorno come un innesto
arboreo là dove il taglio
è notte questo essere taglio allo sbocco
e gemito all’imbocco del nuovo
spunto senza che ci sia differenza
di prospettiva o grado cigolante
crescita da cartilagini che il tempo
frutta dalle sue stesse pieghe
a lungo ruminando…
quando nel letto è l’ora che il lenzuolo
sbianca un poco tra la palpebra
e l’occhio e tu non vivi nella stanza
ma in quell’orlo vivo come una risacca
che crea la propria corta sabbia e un
sovrapporsi di bianco a bianco nella volta-
allora il sonno si risveglia lambendo
sfinito l’onda della notte in quel limite
un intrigo di forme trapela
controluce e dentro è brivido crescente
del non fatto ancora
da SOGNO DEL MONDO
Si diramò, la Notte, adamantina e astrale,
ferina ed abissale, secondo rampe
d’inconscietà, ardentemente elaborò sostanze
in misura tale da poterle, dissolte, revocare
a sé, e nel discrimine tra concretezza e morte
oscuramente espirò figure, e ne improntò
le trame a barbarie informe…Attivamente
sprofondò nel sogno. Una sua densa intimità
si consentì violare: disseminando ordigni
profilò incubi, e districò avventure
incalzando dolorosi affondi; imperniò
metamorfosi lente, estorcendo icone e,
propulsione interna di creature, ne fu
la forza immaginante…
Notte mescola immagini e materia, fa
coincidere spinte, flussi e volumi, persegue
e compatta consonanti corpi nell’amalgama
informe dell’universo. Così, per inclinazione
necessaria compenetra, intridendo, ventre
umano in un prensile artiglio di lava impura;
fonde vene a tiepide sorgenti di confusi
disciolti animali che, per rapide e affluenti
correndo ai propri regni, replicano in sé
fluviali micro-sistemi…Realizza un’idea
di scheletro comune contemperando ossa
e giogaie: dal fuoco interno estrae rocce
basaltiche, porfido, silice, e stratificando
eleva dal piede al dorso e alla testa accerchiata
da nuvole, agl’indici puntati, solidi istinti
di fondatezza e ascesa…
Silenzio- è il fuoco che sale pulito dal
rogo del corpo emotivo, dopo aver sollevato
dal cuore un telo, un lenzuolo dal viso; che
scuotendo con sbattere d’ala residui di
feccia notturna bruciata, nocche, cappi e
legacci, balsamico imbocca un risucchio
a spirale, emulando
una rampa rostrata di
pinnacolo; risale un corridoio panoramico
verticale, sorpassando le facce di biacca
di fantocci in corsie impregnate di acido
di nuvole; e sbiancato dall’alta vertigine
tende membra affettive immaginarie a un
Bene- sommesso…
È in noi eternità, ma un sipario cala
di mortale, florida materia. Dietro le
pieghe abbattendo l’infilata fiera dei
bianchi crani di giorni e ore il tempo
gravita al profondo, collassa e un ordine
dal valore statico affiora, né rapido
né lento…Luce e ombra sovrappongono
il fianco, confondono il volto soffiando
sul fuoco esiguo di comunanze e il cuore
più addentro sospende il battito all’affondo
in un candido sole-lago di grazia…
da NEL PROFONDO ALTO
LA NATURA DELL’ANIMA
I
L’Anima esige chiarezza, aspira al riscatto;
così provoca-invoca il pensiero astratto,
lo sfida in vischiose voragini a puntare
il fioretto, rescindervi embrioni d’immagini.
Lo adesca all’urto dell’origine, al nocciolo
di fosforo che brucia e, dissetandone il bulbo
incandescente al fulcro del fulmine
di un sapere accecante, che intacca la cornea
del profeta e del santo, enuclea grembi
a strapiombo in coloro che ardono, n’evidenzia
arditissimi ponti, e figure di viandanti
dagli sguardi vergini e folti, e minatori
dalle spalle pazienti di scavatori di
valichi.
II
Eppure, c’è un luogo non visibile
ma amato, cui l’Anima tende
oltre la nebbia delle sue vallate,
cui tenta ascendere per ombre
oblique con candore e coraggio,
un familiare luogo d’origine
e approdo, di riposo e canto.
III
È un sommovimento emozionale l’Anima,
ombra rigogliosa che infoltendo accoglie
il confine estremo, la faglia vertiginosa
e con un fiuto saggio inspirato dalla terra
e un turbato coraggio dal cielo accede,
abbocca al mistero che la rende turgida
e feconda, vorace e ardimentosa. Si scontra
talvolta sgomenta con l’astiosa barriera
di una bonaccia afosa e si sfa in una sorta
di torpido fondale, un appiattimento da
difesa.
QUADRI D’INVERNO
III
Come ingaggiata, la neve, in alto, a mascherare
la spudorata nudità del mondo, l’imbraca
nella propria fascia gessosa con pruderia
meticolosa telo su telo. Tutto si uniforma
all’irruenza repressiva, che cinge i lombi
di cipressi e abeti, ricurvi come in vergogna
di quell’ignobile camuffamento, l’orgoglio
umilia dei giovani cespugli e conculca l’erba
priva di nerbo. Statuine imperturbabili,
spegnendo anche il canto nelle sue sorgenti
tra spirali e lamelle sottilissime e vibratili,
contrastano gli uccelli l’arruffio vorticoso
con l’inerme bellezza dei loro petti.
PASQUA
II
Il fiore è il seme che ha guadato la morte,
il guano del disfacimento ed è risorto
alla pasqua di una sostanza quasi immateriale
e tanto purificata da emulare la leggiadria
e il profumo spirituali dell’essere assoluto.
La materia, piagata, macinata e crocefissa,
che dagli umidi inferi risorge al fulgore
dei grappoli floreali del ciliegio soffiati
in un mitissimo candore, soggiace pure
al mistero dell’insondabile spirito d’amore.