Giacomo
LERONNI

Giacomo Leronni è nato nel 1963 a Gioia del Colle (Bari), dove vive. Ha pubblicato: Polvere del bene (Manni, 2008, Premio Contini Bonacossi 2009 opera prima), Le dimore dello spirito assente (puntoacapo, 2012), L’ufficio del vuoto (puntoacapo, 2015), Scrittura come ciglio (puntoacapo, 2019, Premio Nabokov, finalista Premio Internazionale Gradiva New York). È insegnante di lingua francese nella scuola secondaria. Svolge un’intensa attività di operatore culturale e collabora con la rivista di poesia “Avamposto”. Ha vinto fra gli altri, per l’inedito, il Premio LericiPea. Nel 1999 ha partecipato per la poesia al convegno/laboratorio “RicercarE” di Reggio Emilia. Scrive anche in francese.

gialero@libero.it

Français

POESIE

da POLVERE DEL BENE

*
Un amore, un margine
della mente: un vento assopito
un’alga nera che lima gli anni
e li riconsegna alla pioggia.
Un lembo per bruciare, per farsi
acuti, nudi, deliranti.

Un amore: carico, mostruoso
una noce macerata dal sogno
rimorso che scongiura l’indolenza.
Accogliere lo scherno delle ombre
fiorire come l’acqua che invade
le gore, come la morte che rende
saggia l’ultima ruga dell’amore.

*
Una vita: un rigo vergato
nella notte, acque
intrappolate dal silenzio.
Nebbia che accoglie in sé luci
decise a perdersi, uno spago
teso a logorarsi da un capo
all’altro della strada. Una vita
guada città lese nello spasimo
non arriva
a contenere la sua grazia
è già spenta prima del tradimento.

Ne rimane poco:
i suoi umori, lo spazio
una volta reclamato dal fuoco
e ora disabitato, deforme.
Una vita, pochi anni
schermaglie fasciate di assurdità
un figlio che non sa o non ricorda
perché suo padre puntava tanto
sulla stabilità del vento.

*
Osservi la campagna fitta
chiudere il confine con il mare
ti smarrisci nel bagliore
della primavera che accosta.
I campi solcati
dalla diligenza, il guizzo
delle foglie, i papaveri
la loro sfrontatezza

il cielo come una morsa
la presa febbrile dell’acqua.
La mente esplora la distesa
che l’occhio ha conquistato.
La luce vi s’incaglia come un coccio
recide l’orizzonte:
emergono dal sogno tutti i nomi
del dolore che ti sta di fronte.

da LE DIMORE DELLO SPIRITO ASSENTE

*
Quanto cercare dopo il primo colpo

ci sono altre strade
il pruno le impara

i sassi apprendono
un codice sapiente

invece si insiste
s’insegue il privilegio
inguainato nel buio

si bussa a porte di geranio
con frasi di terra pavida

ci sono altre fronde
le percorre la luce

dritto davanti a noi
o appena indietro

un coro di spasmi
da cui semplicemente attingere.

Sine die
Mente, che si scompone
in altra mente

resina incisa dalla luce

o piega di creatura assorta
nella notte indulgente

mente china sul segreto
in ascolto
per agganciare il mistero

e formularne il nome

l’essere
in spirito e assenza

e intorno menzogne
esitazioni

esecuzioni.

*
Vaneggiamento
nel suo omaggio pomeridiano

sproloquio
oltre l’esitazione
percosso il fiato
umiliata la voce:

dico di quella vista che talvolta
s’addensa e fa chinare
il calice al fiore

talaltra
col suo nitore uccide

*
Non ho mai salvato nulla
nulla che non fosse già fisso
nella cupola dell’ardore

e mi sono poi subito perso
nello spazio lancinante.

È difficile digerire
l’abrasione del tempo

sanare la pergola della mente

dopo il contatto
e le forbici

*
Il lupo si rigira nel costato
è reattivo
inarca cute e siero

ordina con cura
i suoi bocconi

ha zampe di buio, artigli
denti di tenace orrore

la belva, l’altro terribile
mio nome

da L’UFFICIO DEL VUOTO

*
Impoetico è il tuo nome
non serve a castigare
quando il genio del luogo lo richiede
e adesso che t’affacci alla notte
con quell’arguzia imbronciata
vedrai che il tempo
ci rigetterà divinamente
come fa con i mentori del fuoco
se la verità si appanna
se si allontana
la corrente ingenua delle parole
no, non è poetico il tuo nome
il tuo nome in crescendo
di sillabe esposte all’acido
rovesciate sulla battigia
erose dall’onda
e anche se lo fosse
non sarebbe comunque servito
a predire l’inguardabile morte

*
Mi hai lasciato come una foglia
alienata nel deserto
come un tappeto ingombro
sul limitare della luce. Un tronco
su cui nessuna parola
si incide, un nembo
di mano in mano inascoltato.
Mi hai lasciato
terribilmente vivo, colmo
di fiori folgorati dalla pioggia
e nell’impossibile distanza
sei andato oltre me
come quando il vortice
ti ammette al suo cospetto
ma qualcuno gli sfugge
e poi si pente per i giorni
che verranno, per l’umiliazione
di ciò che si perpetua
lontano dal suo centro, lontano
da ogni inattingibile splendore

*
Chi ha letto più a fondo in me
se non quel Dio disteso
sulla stuoia della vanità
distratto come tutti gli dèi
un’ombra di metallo puro
una voce d’infinito ghiaccio
chi ha letto tutto questo di me
eppure abbiamo parlato
così poco, sommessamente
tra il dire e il non dire, monete
senza tempo, monili indegni
appesi al collo della bellezza
mon ami, mon vieux, m’inginocchio
davanti al tuo passato
di cenere ingloriosa
piango della straripante verità
che nessuno conosce, che nessuno
sa ridire
con lo stesso incedere tagliente
della tua voce muta

*
In quella sera di sgomento
conducevi le mani al petto
un vento denso
cresceva sulla verità.
Avevi una vita porosa:
giorni che s’infittivano, crepe
senza luna e quel muto cercare
quel rovello inoppugnabile
che ti ha sfinito nel buio.
Le mani al petto, la bocca su tutte
le indicibili scuse
per l’arrocco: nessuna certezza
se non si è chiuso il conto
con il sangue.
Ecco, siamo già trascorsi: peccato
accorgersene così presto
invitare compagni già spenti
morti più adulte di noi
covate lentamente
sin da bambini

da SCRITTURA COME CIGLIO

Interno con luce soffusa
Il figlio nell’involto del giorno
archivia memorie
ne distilla una letizia
a suo tempo incompresa

lo si direbbe perso
a fissare le pareti

– miracoli di cenere
tutt’intorno, sbiaditi perdoni –

si allunga l’ombra
plenilunio domato dalla fretta
dagli assilli

la madre è un trepido
volo nelle fitte della deriva

poco più in là
dove si beve insieme
una polvere sanguigna

la carezza involontaria degli occhi
radica la pianta
dell’amore cosciente.

Litania per l’ascendente
Salire sull’albero, non scendere
nessuno si ritrae
tutto è concluso e si riapre
continuamente

l’opzione difesa con le unghie
porge una sua lingua
le sue fronde agitano
un vento proprio

ecco in alto gli occhi dell’albero
il contagio appare impossibile

transitiamo di là
come giorni scossi nel loro cielo
insospettato

salire, discendere, lampeggiare
provare ad incantare
qualcosa che tenga e rifletta il favo

poi si giunge
sempre alla luce
e non c’è pietà, non c’è bisogno
di alcuna pietà.

Innocenti, perduti
Di quanto hai consegnato
l’alba farà giustizia
un filo indolore, una bava

e senza coscienza alcuna cambierai
nome e fibre
incontro dopo incontro

colori e abisso. Oltre
il sedimento
le foglie

si staccano una dopo l’altra
poggiano la loro fede
sulle labbra di qualcuno
poi vi dormono. Capire

non capire, il peso
di dare ragioni, d’impilare
fogli nella mente
ricordare il giudizio, il valore
di ciò che si è condotto per la notte

innocenti, perduti.

TRADUZIONI

*
Il s’agit
de trembler

pendant
que l’on vole

maintenant
autour de la place

parmi la foule
qui paraît un lys

les écrivains des tuiles
sont lointains

rien ne bouge
sur les autels

le sacrifice parfume
la souris en rit

le siège confirme
la dureté des astres

*
Ceux qui profitent
de leur essence

pour remettre
une oreille plus docile
au silence

ceux qui forment
le barrage muet
de la poussière

encore plus lucides
que leur tourment
fleuri

ce sont eux
qui boivent l’or

et débitent
leur fade constance

ils prêtent volontiers
leur mince âpreté

ils progressent

la tête pleine
de neige

*
L’aventure de la taupe
recommence

il manque
peu de temps

elle fouille bien
sa tanière

le ciel est gris
ou peut-être lumineux

d’ailleurs
elle n’a rien
à regarder

rien à déclarer
elle avance

vers son soleil de terre

les hommes la contemplent
quand elle embrasse
des racines

ils soupçonnent
que par sa mort continuelle
elle va de quelque manière
survivre

*
Elle prépare son corps
pour la bataille

son corps souple
qui tend des pièges
au coin de la rue

un essaim d’ambre
estompé dans la grâce
précoce du ciel

je suis désolé
madame
tourbillon caramélisé

je n’ai pas de corps
pour vous

ma chair est éparpillée

on la dissèque
maintenant

le feu qui me brûle
n’est pas le vôtre

il dévore tout de même
comme seul les fauves
savent faire

*
L’aimant du jour
raconte sa fenêtre
de passion solidale

il a caché la sueur
dans une boîte d’oignons

secouez-vous
sorciers et saltimbanques

l’univers est prêt
on a completé le siège

tourner en rond
ne sert plus

coûte que coûte
nous sommes un cercle

une bouteille isolée
au cœur du malheur

sauvez notre vin de lucioles

je vous en prie
sauvez notre vin

*
Le chêne attend
patiemment

nous n’en doutons pas

son attente est la nôtre
mais elle possède
plus de fraîcheur

nous le touchons
le chêne, il redoute
le froid de nos mains

il manque l’ardeur
juste, c’est vrai

mais avant que la neige
tombe nous réussirons
à ramasser quelque chose

une violette, le vin incertain
qui s’annonce déjà

il faut labourer
pendant que l’on vit

et avoir confiance
la mort viendra

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