Aldo
Gerbino (Milano,1947), ordinario di Istologia ed Embriologia nella
Università
di Palermo, città dove vive e lavora, di poesia ha pubblicato: “Sei poesie d’occasione” (Sintesi, 1977);
“Stazione di servizio” (Quaderni di
Estuario, 1978); “Maraldo” (I poeti del Gufo
Trombettiere, 1980); “Appunti per una donna” (Il
Vertice, 1981); “Campo
di vista” (Il Vertice, 1983); “Cartigli” (Bastogi, 1987). Dopo queste prove di
formazione ha dato alle stampe, per l’editore Sciascia: “Nubi
a Palermo” (1994); “Le
ferite del vetro” (1997); “Gessi”
(coedizione con Scheiwiller,
1999); “Wasf” (2000); “Il nuotatore incerto”
(2002); “Legami” (2003). Per EuroEditor
(Lussemburgo) ed Ediprint-Lombardi:”Le
ore delle nubi” (1989); “Les rites
des ténèbres” (1990) e “L’arciere” (1994);
con le Edizioni Novecento: “Il coleottero di Jünger” (1995, Premio Marsa-Siklah) e “Ingannando
l’attesa” (1997, Premio Latina
‘il Tascabile’); con Spirali: “Non farà
rumore”; “Sull’asina, non sui
cherubini” e “Attraversare il Gobi”
(1998; 1999; 2006); per Libroitaliano World: “Il collettore
di acari” (2008). Ancora di poesia: “Alla lettera erre”
in Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2011);
“Comete mercuriali, piume” (Algra
Editore, 2016). Manipoli poetici: “Appunti
ucriesi” («Galleria», Sciascia, 1995); “Un
pomeriggio gentile, Acque” («Nuovi Argomenti», Mondadori, 2003); “Trittico per pittori, Fuliggine”
(«Gradiva», 2006); “Undici poesie
recenti” («Poeti e Poesia», 2006); Autoantologia
in “I Poeti” a cura di Elio Pecora, (Pagine, 2013). Saggi e antologie: “Il tempo della terra” (RAI, 1985); “La corruzione e l’ombra” (Sciascia, 1990); “Del sole della luna dello
sguardo” (Novecento, 1994); “Giacomo
Giardina, La corona di latta”
(Nuova Ipsa, 1995); “Terra impareggiabile”
(ARS, 1997); “Presepi di Sicilia” (Scheiwiller,
1998); “Sicilia, poesia dei mille anni”
(Sciascia, 2001); “Parola sacra, parola devota” (CIE,
2004); “Benvenuto Cellini e Michail
K. Anikushin” (Spirali, 2006); “Orto
di rose e fiori” (Plumelia, 2007); “Nel
suo lenzuolo di scaglie” (Plumelia, 2011); “Steri,
dov’era l’ingresso del mare” (Plumelia, 2013); “Col
vento che illumina le vigne”
(Plumelia, 2014); “Fiori gettati al fuoco”
(Plumelia, 2014); “Quei dolori ideali”
(Sciascia, 2014); “Cammei” (Pungitopo
2015); “Di fronte
alla vita” (Plumelia, 2016) Dalla
serie di cataloghi e curatele: L’Isola
dipinta (Palombi, 1998, Premio Fregene); Etiam Coelo
(Sciascia, 2000); Per
Sensi umani. Omaggio a Mariano Rossi 1731-1807 (Plumelia, 2006) e
la
riedizione di Tutti dicono Germania
Germania di Stefano Vilardo (Sellerio, 2007); Tommaso
Campailla, Trattato sulla fermentazione (Armillaria, 2016).
Mail
aldogerbino@tiscali.it
Mail
aldo.gerbino@unipa.it
Wikipedia
Aldo Gerbino
Web
Bollettario
POESIE
Piccola
malinconia
italiana
per Sergio Ceccotti
Ai
confini del crepuscolo poniamo questi giorni
di
penose gioie collettive, tra oscuri ribechisti e
rocce
tremanti di anime. Sono collosi giorni
d’albume
per
sanguinamenti di luce, per torpidi pensieri,
per
flebili ciocche di fiori gialli e corde di
ghironde.
Avvolti
nel tintinnio lacrimevole d’un tram, i
cruciverba
al
tavolo spargono pasticcini, flûte, dadi
enigmatici.
Sull’orlo
dell’abisso, pencolanti e incantati,
attendiamo,
col finis,
l’immagine che ci verrà
restituita quando
potremo
unire i punti sospesi nello spazio: un
viso,
una
scodella colma di italiche domenicali
malinconie.
Perso il
favore del dio, esaurita ogni pietà, ecco
l’astragalo
siculo (lo spino) attraversare le reti
del cuore.
Così,
transverberati, essiccati come l’orologio
paterno
che
portiamo al polso, toccati dalla sua
vita, tracimiamo
con
lentezza nel tempo del padre: noi
concimi, noi staffette.
Palermo,
primaverile domenica del 2014-Natale del 2015
Natura
morta con anatra,
arancia, limone e pere
La
morta coda piumosa dell’anatra
s’è
adagiata sui nostri corpi, quasi a coprire
la
polvere che da anni ci oscurava. Così
abbiamo
dimenticato i dolori sopiti,
intravisto
squarci di luce. Poi eccoci nel buio
intestino
d’una bottiglia, ammucchiati
come
sterpi, ali polverizzate di farfalle,
gusci
di bivalvi, rametti secchi, coralli,
bacche:
catalogo di oggetti disperati.
Di
cere
Di
cere, di antichi tessuti, fiori di carta
e
spinule e occhi in vetro, di pupille date
al
fuoco, al trionfo, alle gesta del tempo
al
mito, al grande racconto per fedeli
e
infedeli, siamo tutti còlti nell’anima,
nel
guado aperto di un pensiero, per vite
quotidiane,
per volti sperduti, lungo passi,
dossi,
aperti al vento freddo, al grido
enfiato
di chi ci abbandona, alle luci
intermittenti
di un albero appeso ad ore
trascorse,
a decenni, all’infinito tempo
sognato
per materie oscure, per occhi.
[da
Comete mercuriali, piume]
***
Del
lamento
Al
crepuscolo
sussurrano i boschi rossi,
E cupo
come la morte
risuona il martellare del picchio
Simile a
un’eco da
cupi da cupi sepolcri.
Georg
Trakl, da Dei giorni quieti
Pienezza
di sfera offerta al mondo:
spicole
e raggi infissi al nucleo centrale
al
gorgoglio della vita
alla
contrada aspra dell’acqua
al
liquore primo, al battito sordo.
Poi
le umane lamentazioni,
disperse
in quieti sonnolenti vapori,
arano
per straziate onde di “boschi rossi”.
Guscio
E
d’altre impercettibili lame
s’accendono
luci, fuochi intimi
nel
guscio acido della vita.
Nel
suo pellegrinaggio
sarà
l’urto del picchio a forare
il
verde groviglio della morte.
Sì,
da questa essenza, così raccolta
in
micelle, in sussulti, ecco i fossili;
dopo,
i vacuoli.
Nel
loro diffuso pulsare:
una
dolente emissione di fiati,
spazi,
cristalli.
Ramosissimum
Nel
sogno di Ernesto (disadorno mendicante)
tremano
rami e ramuscoli intricati,
nastri
perversi di luce, un avorio
cosparso
d’una sorta di miele secco, pungente.
Sembra
popolato da unicellulari arborescenti;
tra
questi, il Coelopendum ramosissimum
che
pare unire, senza un perché,
cielo
e mare, terre, rime di labbra, foglie.
Meline
dei morti
Nel
cesto minuscolo stanno impressi
gialli
cuori di polpa (semi nerissimi)
venati
d’un bagliore verdastro,
del
cromo affannato di un singhiozzo,
dell’ombra
d’una bambola zuccherina.
Infine,
l’alito del ricordo, vago azulejo
d’una
tazza di caffè con cartiglio
e,
in un solco, ancora un’impronta viva:
pece,
macchia, residuo di unto.
Novembre palermitano,
2007
[da,
Alla lettera Erre, in “Almanacco dello Specchio”]
***
Attraversare
il Gobi
Non
è molta la strada che serve da riscatto
a
noi imputati di Dio. Il serpente, d’altronde,
è
già sulle nostre tracce: dal Pamir alla Manciuria
come
dire, dall’inizio alla fine.
Eppure
queste plaghe sabbiose, fangose
quest’incontro
di rettili, ci attirano nell’enorme lastra
di
pietra, posta sulle ossa dei grandi sauri.
Ma
anche delle piccole scaglie di foraminiferi,
appena
dissepolte nel loro riposo planospirale
per
quell’essere aguzza lancia, anulare pensiero,
incavate
in orbite dolenti, mostrano
quanto
di noi c’è nel loro respiro, materia, letto.
Canidi
I
cani, a Pompei, dormono sempre:
pit-bool,
meticci, lupi; aria sonnolente,
desertici
suoni, in posizioni impensabili
arruffati
così come quel tossico biondo,
che,
con volto di pena, mi chiede una moneta
per
mani morbide in un autunno incipiente.
[da,
Attraversare il Gobi]
***
Ordire
Quali
mire su noi
quale
altro dolore
di
cui non dici
e
del quale hai già
ordito
l’inganno?
[da,
Legami, poesie tessili]
***
Gesso
Eccolo,
Vanni,
il
presepe bianco, madido
cavato
dal mare delle absidi panormite.
Una
scia di chiocciole sul tuo vòlto,
un
filo di euforica fanciullesca tristezza:
polvere
biancastra dispersa nell’anima,
tra
fruscìo impervio di pagine.
[da,
Gessi]
***
Cravatte
È
il nodo della mano, il precipitare
lento
degli occhi, quel loro indagare
di
padre a sorprendermi, oggi,
a
tanti anni di assenza.
Sì,
le bande marrone,
il
grigio incedere del tessuto
il
giallo travaso dei ricami, degli ornamenti.
Certo,
il nodo fragile, come l’esistenza, d’altronde.
Il
disperdersi di vite e incoerenze.
Il
bottone che non lega: padre, figlio.
Ancor
oggi l’àsola è dura. Impervia.
Dolente.
Pur si ammanta di una luce nuova,
inaspettata,
trafitta da luminosi cheloidi.
Bari-Palermo 1996-’98
Ctenofori
Plana
il gel dell’occhio, il tentacolo,
la
formella sospesa nel vuoto del buio.
Oltre
le soglie liquide dell’olfatto
ogni
cosa si mostra sospesa per sé,
nel
giudizio, nella consistenza. Sembra
vivere
con ctenofori luminescenti, fatui,
improvvisi:
incantevoli e straziati resti
di
un tempo fragile, feroce, immateriale.
[da,
Non farà rumore]
***
Le
fiamme
Sono
le luci a misurare questo silenzio:
quasi
tempo e spazio dell’anima
mentre
avanzano le fiamme tra i noccioleti.
Dormono
gli amanti fuori dalla casa del fuoco;
accovacciati
nell’imbuto precipitare
della
loro assenza. Sono molti corpi
con
qualche bagliore di carbone.
[da,
Il coleottero di Jünger]
***
Lo
scarto
Il
modello di quest’ora
sembra
appartenere
ad
uno strato senza tempo
perché
vi è riflesso
il
mio disgusto
e
le osservazioni microscopiche
spinte
fino alle maglie
delle
notti tentacolari.
Sono
le ali di un tarlo
che
intessono
l’aria
profonda
delle
spirali assorte
dei
bisbigli, dei mormorii
inesistenti,
dei
fugaci desiderî.
Tutto
poi sembra riversarsi
negli
effimeri diagrammi
di
uno scarto.
[da, Les rites
des ténèbres]
Traduzioni
Ramosissimum
In Ernesto’s dream
(a shabby beggar)
branches, intricate
twigs and lightning ribbons swing
and an ivory is
sprinkled with desiccated hurting honey.
It seems populated with arborescent one-celled organisms;
among these, the Coelopendum ramosissimum
that seems to join,
without reason,
the sky to the sea,
lands, lips’ rhymes, leaves.
Stings
Infinitesimal
stings appear
as arranged
in severe order: they are tenuous, oblong,
cross-shaped,
dentate, flimsy and cruel in cusp form.
Turned to the wound
they survive, they crumble into fine dust.
By falling on
hands, on pupils among innocently immortal ropes,
they infect the
shadow of the living with feeble hatred.
Palermo,
January 2008
Hoarfrost
to my son,
Filippo Maria
Our soul: multiple
eyes
of an insect kidnapped by fire;
it’s the crow’s beak
that stings skin and ganglions.
Today, the grey step of a turtle
throws open those notes in the evening
for a bit ours, almost
tightened,
a shelter from the frost, from our hoar frost.
The Dead’s Small Apples
In a tiny pannier
still stay
yellow pulp hearts
(black, black seeds)
tinged with a greenish glow,
with the chromium of a breathless sob,
with a sugar doll’s shadow.
Finally, the breath of memory, of vague ceramics,
of a cup of coffee with a cartouche,
and, in a rut, still a living sign:
pitch, blotch, residue of oil blot.
Palermo, November 2007
[translated
by Anna Sica]
***
The Wolf in Milan
(drowsiness)
The wolf’s scarlet
pupil laps my fright;
it wanders in
coffee cups, trough the cruel cafés round the Cathedral.
In the silence,
filled with sour yeast, it torments the city
in a dullness
soaked in autumn leaves, in barks.
Now, the beast
bleeds along leaden spires, Gothic blades;
though hidden, he
smells my wounds, my shirt, my soul.
His eye seems to
have become my own; from his mortal fire
the uncertain
glance of my father, not in his thirties yet:
both of us in a
thick rain of ash, voices, flashes, stones,
birds’
feathers.
[translated
by Eleonora
Chiavetta]
***
Le
Lezard
(a)
Ayant
beaucoup à dire
je
ne parlerai guère
de mon fils.
Absolument
rien
sauf qu’il
dort
à côté de
moi
dans la nuit
fluide.
A peine
perceptible son soufflé
dans la cage
aux lions.
L’arc doux
de son corps
est comme le
geste du lézard
à
peine esquissé sur le mur.
L’Ecart
L’aspect de ce
moment
semble appartenir
à une strate hors
du temps
parce qu’elle
reflète
mon dégoût
et les observations
microscopiques
poussées jusqu’aux
mailles
des nuits
tentaculaires.
Ce sont les alles
d’une mite
qui trament
l’air profound
des spirales
pensives
des chuchotements,
des murmures
inexistants,
des désirs fugaces.
Puis tout semble se
déverser
dans les diagrammes
éphémères
d’un écart.
[traduction française de Pierre Roller]
***
Nuages
dans la voliere
Et
pourtant, pleine de nuages, elle repose dans ce train qui m’emporte à
Pavia, son rêve léger est-il-peut-être ma
réalité?
Inconnue aux cheveux
châtains dans la géographie des pensées
tricot bleu clair
(double-face), chaussures
blanches laquées
jeans et fourrure
lumineuse de renard. De ses paupières glissent de
délicates ailes de géranium
par des cordes
vaporeuses au vitriol.
Que
boira-t-elle à la fontaine des ténèbres? Le jet soudain du mépris
ou le flair timide et
rapide du castor?
Boira-t-elle à
plein gosier la joie d’exister ou l’amertume d’ouvrir
les yeux au matin?
Parfois le matin
est une volìere de goudron et des gemmes musculaires
éclairent avec des spasmes
douloureux
le simple geste
d’exister, de se lever, de demander un verre
d’eau ou d’absinthe
ou un regard qui
semble être perdu dans des modèles paléographiques.
Le
matin! quelle volière de goudron et gluante
médiocrité.
Aura de nausée, aura de mort.
Ce n’est pas par hasard (ou peut-être que
oui) que la mort frétille
tranquillement
dans cette plaine d’os et de semences, qu’elle se
présente
avec les yeux de cet enfant au sourire cytostatique
ou entre les pattes
domestiques déchiquetées dans la fosse livide.
Un
triomphe souterrain, là-bas, dans le
cratère profond
de
la volupté indique (et non seulement à moi) quell raccourci peut être
pris pour
conclure cette vie absurde.
Entretemps le groupe des colombophiles
parmesan s’est
dissout dans
le
brouillard d’où emerge le clocher
phallomorphique de Fidenza
presque un sursaut
et elle (inconnue) qui remplit son orgasme
de bradipnée. Puis se
plonge sans attendre
dans les verts prés
lunaires informatisés pour saluer mon
dégoût
serein.
Parme, le 26 mars 1984
[traduction française de Evelyne Denuit]