Lucia Gaddo è nata nel 1951 a Padova, dove vive. Per la poesia ha pubblicato: Porto Antico (Edigam 1978), Bramiti (La Ginestra, 1980), Da serpe amica (Padova Press, 1987), Semiminime (Padova Press, 1988), Per erbe piú chiare (Edizioni Dei Dioscuri, 1988), la raccolta retrospettiva relativa agli anni ’88 -’98, in cinque volumi: Nóstoi (che include Fiordocuore), Fatalgía, In lúmine, La trilogia del volo e La partitura (Cleup, 1998) Il sonno delle viole (Cleup, 1999), Un parlare d’acqua (Cleup, 2000), Solargento (Cleup, 2000), Memodía (Marsilio, 2003), Silentissime (Imprimenda, 2006), Ad lucem per undas (Joker, 2007), Amare serve (Cleup, 2010), Illuminillime (Cleup, 2011), Rodografie (Cleup 2012), Buona parte del giorno, (Incontri, 2013, Premio Angelo Musco), Disforia del nome (Biblioteca dei Leoni, 2014), Consapevolvenze (Joker, 2015), Asincrono scacchiere Poesie scelte 1962-2015 (a cura di Giorgio Linguaglossa, Edizioni Progetto Cultura, 2016) ed Eventi primi (Macabor, 2017).
Sito Web Ufficiale http://luciagaddo.altervista.org
Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Lucia_Gaddo_Zanovello
Literary.it http://www.literary.it/ali/dati/autori/gaddo_zanovello_lucia.html
E-mail luciagaddo@gmail.com
POESIE
da Bramiti
Scolpire
La tua pigra erosione
sulla gronda
voglio ascoltare
pioggia
ad occhi chiusi
nella notte
perché gonfio
il cuore
dilavi
l’angoscia.
da Un parlare d’acqua
Chiaríe
Tondo il foglio
della luna
scrive in cielo
alla città
è frammento
di oro puro
chiaro incanto
sopra il muro.
Le sussurrano i palazzi
come astri illuminati,
luci voci
di parole figurate
già serene
come stelle.
Sotto il ponte
allarga il cuore
nelle rapide preghiere.
Rema un cigno silenzioso
siede bianco
controvento
nudo il collo di domanda.
Dolce pace
sembra il tempo
che a corolla
chiude lento.
da Memodia
Tiene cosí alto il tono
questa verità
che assorda
vibrando
tutte le stelle dei sentimenti
che trapungono
di malinconica meraviglia
il cobalto della notte.
Erma salí
profetica e perfetta
èmato enfiando nelle vene
igneo sguardo
a contemplare
l’errante errare
di quest’isola nel mare
che ha radice qui nel centro
dell’abisso che non vedi.
Canta ora con un’eco di risacca
a squarcia fiordo dentro il cuore
della musica interiore
la ridico come posso,
ma è una rana dentro il fosso
che una luna ha tinto in rosso.
da Silentissime
In un cielo d’acqua di mare
galleggia una cialda di luna.
Scialba quest’oggi rapito
richiude un giorno piú mite.
La corsía lunga degli amori in preghiera
ritorna alle ninnole attese piú aduse,
alle pieghe solerti dei nomi,
numi che danzano lumi
piú chiari, piú bruni
e rispondono fidi e silenti.
Una cena di baci è nei cuori
sopiranno i languori
in sonni diversi e leggeri
e quest’ora divina è già ieri.
da Rodografie
La colma fiamma del suo collo
s’allungò vigile e stesa
dal ciglio sbrecciato del vaso
verso l’apice dell’attesa
e piú nulla poté
ogni resistenza alla bellezza.
Non era che qualche grammo di pettirosso
proteso al limite del suo essere
in gabbia io, nell’immobilità dell’istante fragile.
Nel bianco buiore che s’agita nel vento di una pioggia
distende la sera precoce un’avvezza malinconia.
Restano le folgori in corolla dei morti
a presidiare il viale nel pallore del tramonto,
finché non leva la luna
che cullerà la notte abbandonata sopra i tetti
ed il respiro encausto di un sordo amore
che non ama.
Notte pura, immota e senza vento
a perfetti passi la luna scende il suo quadrante
fra le quinte di cobalto
tra gli euganei poggi neri addormentati
e vibrano in gorgheggi le luci iridescenti di platea.
Dall’ombra del loggione
arde la lingua di fiamma della pieve
e quella dei cipressi arroventata;
svela nudo un tocco di campana.
Il negro pilastro del gran cedro
è buio fiore
fra i diamanti incastonati delle stelle
garze spiegate d’organza
i cirri nel cielo lattescente.
Fascio di luce l’auto che scollina
discorde, come il chiurlo dell’assiolo
nel getto bruno delle fronde.
Tra i persi fanali dei casali
il cane geloso abbaia alle sue ansie
sui tetti bruni rischiarati
il cielo denso poggia
l’immenso strato di vetro viola.
da Buona parte del giorno
Non si trovò nulla al ritorno che fosse nel ricordo.
Un passato imperfetto si sgolava
dal cigno delle meraviglie
che solcava l’anima
remigando solo nel buio delle luci notturne
da poco regolate sull’acceso.
stravolte da chi non sa.
Poco resiste dell’ordine
che fu quotidiano corso,
evento noto, gesto abituale.
I morti parlano, ho saputo poi,
dalle righe vergate a mano
sugli oggetti consumati;
il tempo li ridona a chi recede
al tepore e alla carezza
del fanciullo che ignorava
il vólto esatto dei sarà.
Un solo istante e tutto muta il quadro
diverge e scosta
lo strappo al cuore della vita
che risale il cinghio della meta ormai raggiunta.
E fra gli astanti muti s’annoverano in tanti
che giú guardano
nel mare freddo e alto
dell’azione temeraria di esser sé,
nell’azzardo fiero di volere ancora
tener fede alla promessa
sorrisa dentro l’infinito abbraccio dell’amore.
Avrei voluto
che questo sole ci scaldasse il cuore insieme
invece picchia, secco sasso, nel ricordo
e l’incantato albore dei giorni trascorre lontano
dalle nostre pallide mense
abitate dalla tua ombra chiusa in una foto,
oracolo velato di baci mai posati.
Ci furono compagni arbitrio oscuro e il male
e il destino nostro reciso rovina
nella miseria amara dell’arroganza
nell’empia indifferenza di chi vede
i nostri passi stenti di passero nero
affondare offesi nel fango
gravi di ingiurie.
Non ai confini ora, ma tra i fratelli
perdurano protervi giorni
e consumano gelidi la fiamma che è data
fra la candida neve della vana speranza.
Ma tu abbi luce anche per noi, amore,
e guardaci da questa nuvola bianca
che sfila alta nel cielo
guardami, nel luogo che volesti per noi,
libero e puro
e inventami, che tra i vivi vive
l’anima mia
che ti appartiene.
È una voce che chiama che s’ode sul ramo
di sole che nudo s’affaccia alla traccia
che lascia l’amore innocente di passi lontani,
interrotti dall’ira di Dio.
S’adira sui tanti malvagi dinieghi, si danna
all’affanno dei figli. S’adira se prostra
l’usura, s’adira a smisura se palpiti
veri contati qualcuno li ha poi soffocati.
Si perde la vita quaggiú, si perde e si dà.
Chi viene alla luce e poi tace la vera
sapienza del cuore, s’ammala di
nero presagio. Chi viene alla Terra e
non vede la piega al sorriso del viso
che è in fasce e poi pallida cresce d’amaro timore,
non nasce, ma lascia un’inutile vita di pietra
al sasso crudele del passo
che ferma nel sordo fragore
scomposto che acre risuona
dal chiasso di schianto del mondo che cade
all’abisso del Dio crocifisso.
da Disforía del nome (testo eponimo)
Appendono inciampi le ore a questa stanza
e tutta recita il soggetto la sabbia dell’inceppo.
S’è ritorto il filo che era teso, è annodata la vena
che portava il sangue al cuore dell’idea.
Boccheggia l’anima
tra lo schiaffo e l’inganno
e transita, a luce verde continua,
il convoglio malato dell’inimicizia.
Chi scacciò dal nido l’ala acerba
volle un giorno che tornasse,
ma fu il diverso odore
preso dal pullus sull’altra riva
a tener fuori gli accosti
divenuti stranieri.
Non torna il tempo perduto
e i trascorsi giorni cancellano memorie,
alzano distanze fra le case
che crescono muri invalicati.
Custodiscono creature fragili le stanze
aperte a un vento che allontana
e nascite nuove chiamano di sconosciuti vagiti.
Disonomía procede, fra abbandono e lutto,
il pianto in gola che fu latte all’infante,
è cibo traverso al tenero pullus viola.
Tout gris
Un instant de quiètude dans la poursuite
incessante des évènements, dans l’épanchement
débordant des ruisseaux du début
qui trament à travers les rues
de la vie. Un volètement orange
du rouge-gorge sur le fruit
une fauvette frivole
dans le manège des branches
du jujubier épineux.
On s’imagine ainsi l’hiver,
entre le blanc et le brun
de la neige sur la terre,
au chaleur d’un feu allumé
a peine éveillé
pour survivre au gel de l’absence
au vide d’un amour
pas encore, mais jamais,
posé dans le souvenir.
Tout gris est l’ air de la fête
qui ne s’ allume pas
dans la cuve de la joie
au calice de ce jour.
Le greffon n’amorce pas
dans l’ enlacement
du sarment sec de l’indifférence
l’attente qui n’a pas de bouche
n’ a pas de fin.
Depuis le temps
Ils se reconnaissent
depuis le temps
le jeu est de se cacher
derrière les signes des coups soufferts.
Il n’est jamais facile
de deviner
le cours que prend le ruisseau
détourné dans les déluges.
Parfois il est dans un visage changé
sous un bonnet drôle
qui cache les dents fendues de douleur.
Parfois il navigue aux marges
d’ un café du centre
dégarni
comme un vol interrompu
en attente d’un vent qui le remporte ailleurs
ailleurs du monde, de la terre ensoleillée
de silence et de soies.
Totalement
à la recherche de l’épaule de Dieu.
Dans le vase de l’être
Je t’aime totalement
mais le temps ne revient jamais
celui du soleil et de la lune
qui se couchent en les demêlant
dans les branches hautes du bois
les taillis de l’irrésolu.
Et il se demande combien
sans baisers
tient l’attente
parfaite, qui tombe toujours dans le sommeil
de la fatigue. Et roule
dans la trappe des années
chaque désir allumé
que tu passes
le vol de l’ange
qui atterit le pied léger
dans la barque
sur la vague
du bouclier gris
de mes bras
ouverts à contenir immense
le souffle
aimé de ta bouche.
Je n’aurais pas su te dire cela
si tu n’avais pas rompu
la promesse dans le vin
du voeu
devenu ailleurs la vraie vie
dans le vent vase de l’être.
Vingt et un
Les pensées se poursuivent
comme les hirondelles dans le ciel
tressent les souvenirs
indices de présages
dans le stridule clair
des voix du midi.
Le Vingt et un d’été commencement
des mondes différents
au delà de la haie des évènements
qui avancent
sur le blanc soleil de juin.
Ils harmonisent
les choeurs lointains des gens
venus pour en faire,
un rapide parler
et une écume de fracas.
Le discours de la vie facettée
jaillit
de chaque étincelle où
elle joue les polyphonies de lumière
dans toutes ses parties.
Les vives espèces d’animaux
sillonnent le regard
comme le vol magique de la huppe
qui remonte dans le soleil
le vent plein
du paradis sur terre.
Je suis dans le battement de coeur
Je suis dans le battement de coeur de chaque vie,
je stationne dans l’abeille du jardin de paix
qui coud maternelle
un miel de soie.
Je procède entre Ave et Eva
parce qu’en vous j’ai serré
avec un fil à coudre d’amour
mon toujours et mon ici.
Je marche dans les endroits de votre chemin
et je suis la brise
qui plie d’une caresse
les odorantes roses.
Cherchez moi entre les fleurs de mon jardin,
mon domicile est dans le cercle des saisons.
Je repose dans l’humus qui mue
le jardin violet de l’enfance
en blanche aurore céleste.
Je pense à un nid en cohue de rossignols,
je le tresserai immergé dans l’arbre de la vérité.
La lumière ne se tait pas entre les collines et la plaine nocturne,
c’ est votre regard posé desssus qui seul se repaît,
donc vous demandez , que je ne vous aime plus
maintenant que le soleil dans le soleil
joie pure aussi à moi se mêle.
(Trad. Michèle Merisi Viotte)
So long as the where and the why exist
the always and the nevermore
the incoherence of human destiny
will be exemplitude of the world.
Ipatia wanted to stretch the fingers to spasm
bound to the transparence of the arc of breath
pointing to the zenith
for the nobility of being the regal flesh of ideas,
arduous impromptitude
that lifts and studies high and profound
the cosmic ocean of the unknown.
It might be that every gaze on the open face
conducts by means of arrows shot by fate
the happy beginnings of the unhappy lives past,
be it for the fragrance of life
that feels itself adorned with spring
when born from human seed,
it might be for yoy, for me, for her
for the many who wished to be mothers
of another self,
that the totally perfect heaven
always whole returns to the horizon
with the honesty of a kiss,
and that the vault of a room always flowers,
when it opens to the voluptuousness of the woods
imaginific that grow
upon the winged back of the earth,
flaming ground of wonder.
Brief flank, the feminine disclosed by creation
about rib filled with grace
awaiting so that all suffering done to truth
by the wickedness of the world
transform the essence for humanity’s good.
(Translated by Adeodato Piazza Nicolai)