Gabriella
PACI
Gabriella Paci è nata a Cortona nel 1953 e vive ad Arezzo. Di poesia ha pubblicato: Lo sguardo oltre… (prefazione di Adua Bidi Piccardi, Aletti, 2015, premio Tagete 2016, segnalato al premio internazionale Cumani-Quasimodo 2018), Onde mosse (prefazione di Nicola Caldarone, Effigi, 2017, premio Tagete 2019), Le parole dell’inquietudine (prefazione di Nicola Caldarone, Edizioni Luoghinteriori, 2019, premio Persephone 2020), Sfogliando il tempo (prefazione di Fernanda Caprilli, Edizioni Helicon, 2021). Sue poesie sono comparse in antologie come Orme (a cura di Elio Pecora, Edizioni Pagine, 2014) e sulle riviste “Buonasera Taranto”, “Euterpe” e “Luogos”. Laureatasi in storia e filosofia, si è dedicata all’insegnamento.
POESIE
da LO SGUARDO OLTRE…
Amami più forte
Non amarmi per….
le risate sfrenate, irriverenti esplosioni
di fuochi d’artificio per la mia vetrina
di accattivante allegria a prezzo scontato;
o per le mie sicurezze caparbie,
pezzi forti della collezione classica delle stagioni;
per i miei effimeri successi,
abiti alla moda con cui giocare alla parte di attrice…
nè perché son stata una volta fotografia
di una bella pubblicità alla moda….
Amami per tutto quello che resta invenduto:
per le mie inquietudini
sgualcite e fuori dal tempo,
per le mie ansie e le paure
di taglie e misure sbagliate,
per le collane di perle di lacrime,
per la sottoveste di malinconia color cenere…
Amami più forte
e compra compra tutto
quello che resta invenduto
e che nessun saldo d’acquisto
potrà mai farmi vendere.
Giorni tediosi
Giorni tediosi
intrisi di pioggia
sotto un cielo
specchiato nel fango
tra smarriti richiami
di neri stecchi protesi:
braccia aperte a chiedere
una corolla di azzurro
dove mettere gli occhi
a cercare le stelle.
Giorni tediosi,
portati da un tempo
stizzito che non sconta,
non ammette riprova
dei conti in sospeso:
solo avare promesse
di resti di sogni
addormentati
tra coltri di malinconia
in quest’inverno di pioggia
nell’attesa della stagione nuova
da ONDE MOSSE
Farfalle della notte
Mi spinge a percorrere
le buie stanze dell’inquietudine
un nugolo molesto di pensieri
farfalle della notte che cozzano
disordinate nel nero che avanza…
Ma come le falene anch’io cerco
la luce di un lampione dove
posare le mie ali stanche
ed illudermi che sia un sole
ed il soffitto un cielo stellato.
La casa
Occhiaie vuote nel buio della notte.
Di passi e voci vuoto il ventre ;
armadi muti custodi
della polvere, intrisa di ricordi
appesi alle grucce dell’anima ferita.
Casa lasciata, abbandonata, svuotata:
nido sospeso tra passato e presente
risillabi ogni volta emozioni
da cucire sulla tela del tempo
e da intrecciare con il rimpianto
dell’amore grande che t’ha abitato.
Nessuna solitudine potrà mai cancellare
le tracce antiche del tuo cammino sul mio cuore
né nessun tarlo potrà mai sbriciolare
il legno forte del tuo esser stata nave
in paventate tempeste d’inquietudini.
L’ultimo dono
——————–(A mia madre)
Raggio pallido d’inverno
fiore reciso
tagliato
dallo sguardo vòlto
ai passati passi
il tuo sorriso:
nido di ombre e sassi
il futuro impietoso che
avanza con la cocciuta
prepotenza del tempo
e scardina speranze.
Ma resta di te tenace
l’ultimo dono di un sorriso.
Pensieri
La grande ala nera dei pensieri
sfiora leggera con il suo gelido tocco
le chiome della ridente gioventù:
acquattata nell’ombra aspetta
che passi il tempo dell’incantesimo
per ancorarsi rapace nei cuori.
Nulla allora ha più il sapore lieve
del pane fragrante della verde età,
nulla più la forza genuina
dei suoi tuffi nell’azzurro:
gli anni smorzano il passo
rendono tetro il pensiero
nel conto dei giorni tagliati
da un sarto che sbaglia misura.
È il momento questo di restare
nelle trincee della ragione
evocando la soave storia della gioventù
per evitare la guerra dei pensieri
nella consunzione del tempo.
Ruga invisibile
Dentro una piega dell’anima
c’è una risorgiva di tristezza;
riaffiora tenace con
il sapore salato del pianto
come un fondale mosso che
toglie trasparenza all’acqua,
un lampo inquietante che
squarcia l’azzurro,
una ruggine vecchia che
incrosta la balaustra dei sogni.
È una ruga invisibile dell’anima
che scandisce i miei passi
con la salsedine amara
di un’acqua che segna
ma non disseta.
Dolore
Il dolore non chiede permesso:
entra dentro.
Il dolore non chiede spazio:
lo occupa
Il dolore non chiede tempo:
lo prende.
Il dolore non ha una voce:
è tutte le voci.
Il dolore non ha una forma:
ne ha mille.
Il dolore non è infedele:
per quanto lo scacci,
ti accompagnerà tutta la vita.
da LE PAROLE DELL’INQUIETUDINE
Funamboli
Siamo funamboli sul filo della vita
sospeso su un campo minato
dove mine inesplose rendono
arduo e precario ogni passo.
Ovunque c’è una guerra nascosta
che erompe in attentati mortali
e la vita diventa scommessa
senza più alcuna certezza..
Ci aggrappiamo smarriti agli affetti
come a una fragile rete di sicurezza
sul baratro di un gorgo temuto
che ci vuole rubare vite e futuro.
Ci dipingiamo sul volto sicurezza,
brindiamo alle feste del vivere
e fingiamo di non aver paura
mentre le mani stingono nel pugno
la scintilla ostinata della speranza.
Vivere dentro una boccia
Ho pena per l’urlo senza voce
del pesce rosso
dentro una boccia di vetro.
Di sicuro non conosce
gli spigoli della vita
ma prezzo che paga
è vivere dentro
la rotondità deformata
della prigionia;
dello spazio non vero
della parola non detta
dell’inerzia del cammino
senza un approdo, senza un ricordo, un perché.
Ho pena per una vita
vissuta senza la memoria del dolore
subìta senza la lotta per una gioia
urlata senza la voce per il dissenso
dentro una qualunque boccia di vetro.
Il tuo sguardo cerca già un altrove…
Sono i tuoi occhi, dove
si è sbiadito il colore del mare
a parlarmi del tuo stare sotto
un invalicabile muro d’ombra
che toglie luce al giorno oramai
diventato per te agonia d’attesa.
Nelle ciglia si è posata
la stanchezza di tanti, troppi
naufragi che hanno distrutto
la bussola del cuore e reso
vetro infranto il silenzio che
detta parole allo sguardo
obliquo e spento verso un approdo,
forse d’eternità. Anche il guizzo
delle mani, diafane farfalle,
rivela il tuo desiderio di volare
verso altre sconosciute primavere
nell’oblìo dei giorni e del cuore.
Forse è solo la pioggia
Nel camino dei sogni oramai
non arde più la fiamma:
———-resta solo qualche pugno di cenere
a ricordo dei giorni bruciati
———-alla ricerca di un senso al cammino.
È cippo caldo di occasioni perdute,
———-risposte mancate, sogni non spesi
quello che resta nella scintilla
———-che balugina ma che non scalda
il buio della notte che avanza.
Resta il grigio che scende nel cuore
———-e negli occhi dove hanno posto
aghi di pianto e di rimpianto…
———-o forse è solo la pioggia triste
in questo giorno d’inverno senza colore
a spegnere anche una sillaba di luce.
Il profumo dei tigli
Trattiene il cuore ciò che la mente lascia:
è ritmo d’onda che dentro dice
di un profumo, uno sguardo, un colore che
il silenzio appunta sulla nuca come
un fermaglio nascosto tra i capelli.
Colma il cuore il profumo dei tigli
che ondeggia tra le rughe scomposte
del selciato con gli occhi puntati lassù
tra le nuvole sparse di questo cielo
che pare ma non è più lo stesso.
Ma resta il profumo dei tigli di maggio
sentito allora, con il grembiule nero,
sui banchi del liceo che annunciava
la primavera nell’abbraccio dello
stupore degli anni scomposti.
da SFOGLIANDO IL TEMPO
Anche i papaveri sanno
Ho le mani piene del tempo immobile
dell’assenza mentre si allarga l’orlo umido
di una sera senza stelle e non si placa
il frinio impazzito sui pini svettanti
sotto un sole che infuoca dietro
un grigio lenzuolo di nuvole dense.
Anche i papaveri sanno del bruciare
rosso sulla pelle senza il balsamo
delle carezze e dei baci che sono
tramontati all’orizzonte, nel brusìo della
notte che cavalca le ombre lunghe della
disillusione là, dove si perde il giorno.
Le rose di maggio
Piove in questa domenica di maggio
in periferia. Piove da un cielo strano
sul colore indefinito e stanco delle case.
Le rose sfatte sotto aghi di pioggia sono
solo parvenze di profumo annegato
nel languore delle pozze dove
il cuore è conca della premura
di un inverno che indugia sulle ciglia.
I colombi beccano con l’ostinazione
di chi ha la rassegnazione del contingente
perché sa di avere ali inadatte al volo.
Penso che anche loro sanno
dell’ombra della pioggia dove
si chiude il cerchio della luce
indifferente alla consolazione
umida delle rose di maggio.
Stasera non è tempo…
I denti stretti della pioggia mordono
i fianchi dei monti e schiaffeggiano
le facciate smorte delle case in città.
Nera anguilla la strada bagnata stasera
dove stanca si riflette la luce fredda
dei lampioni al neon in quest’autunno avaro
di sole e di carezze tiepide d’aria.
Piove anche sul ricordo ed è uno
smarrirsi mesto sulla scia del lucore
che segna sul selciato tracce di
lumaca di passi lenti…
Stasera non è tempo di sedersi sulla panchina
delle attese ma di memorie di foglie morte
nel rimpianto di speranze disattese chiuse
dentro un guscio fragile di conchiglia.