Gabriele
GALLONI
Gabriele Galloni è nato nel 1995 a Roma, dove viveva e dove è scomparso nel 2020. Le sue raccolte di versi sono: Slittamenti (Alter Ego-Augh! Edizioni, 2017, nota introduttiva di Antonio Veneziani), In che luce cadranno (Rplibri, 2018), Creatura breve (Edizioni Ensemble, 2018), L’estate del mondo (Marco Saya, 2019). Autore e ideatore, per la rivista “Pangea”, della rubrica Cronache dalla Fine – dodici conversazioni con altrettanti malati terminali. Sue poesie, oltre a essere tradotte in spagnolo e in romeno, sono apparse sulle maggiori riviste italiane.
POESIE
da SLITTAMENTI
I ragazzi alla spiaggia di Focene
insieme incontro all’onda sonnolenta
che ritornando bagna loro il fianco
adolescente. È questa vita, lenta,
la sua illusione qui della durata
eterna. Quando ciò che resta è il bianco
della parete a fine di giornata.
Il mese placido, tempo che viene,
i ragazzi alla spiaggia di Focene.
*
Ritorna il padre
a casa, morto. Il muro
è così bianco che
illumina da sé.
*
Sappiamo per esempio
senza dirlo che adesso Villa Sciarra
è di nuovo uno scatto
sovraesposto, un abbassare lo sguardo
per troppa luce. Il conto
di questa estate e di quelle trascorse.
*
Le case bianche a perdita
d’occhio, le cancellate
arrugginite. A sfondo
di cartone, sfrondate
chiome di nubi simulano
l’estate del mondo.
*
L’accumulo è far numero;
far numero è memoria.
Tra queste cose – tante –
il filo della storia
si srotola in un sibilo
via via più distante.
da IN CHE LUCE CADRANNO
I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile.
Sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci
con una mano – e l’altra all’Invisibile.
*
Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni. Tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro
le coordinate per un’altra vita.
*
Giorno di Venere; i morti si sposano.
La loro casa è colma di fiori;
sui pavimenti, sui muri, sui letti.
La stoffa si sfilaccia. Gli invitati
passano il pomeriggio nella luce
abbagliante del mare, su un tappeto.
*
Ecco perché le maschere mortuarie.
I morti recitano spesso i classici
nei pozzi pieni d’acqua o nelle vasche
da bagno. Li stravolgono con varie
amenità: li narrano al contrario
o li chiudono dopo tre battute.
*
Si parlava dei morti. Sulla tavola
i resti sparsi della cena – quelle
bistecche appena cotte. Il frigorifero
in dialogo amoroso con le stelle.
*
Se la madre dei morti è sempre polvere,
i morti cercano la loro madre
ogni sabato sera sulle spiagge
libere; sotto le sedie o nei gelati
caduti di mano ai ragazzini
in chissà quante estati, in chissà quanti
alberghi, marciapiedi, lungomari.
da L’ESTATE DEL MONDO
*
Ritroveremo per sempre i rugbisti,
noi sugli spalti e loro laggiù a correre
in campo l’ultima partita prima
dell’estate – con l’erba che è già mare.
Sempre dirai, improvvisamente seria,
di non essere mai riuscita a credere
quanto sia strano esistere nel mondo,
dirsi nel mondo – il mondo che è già mare
e tu che puoi saperlo, il mondo, se
c’è un po’ di vento a fare
i giochi suoi tra polvere e altalena.
*
La corriera si fermò in mezzo ai campi
di Maccarese; l’autista smarrito
chiedeva indicazioni ai passeggeri
sul tragitto rimasto. Era perduto,
il pomeriggio; perso che scendemmo
dalla corriera e facendoci largo
tra il grano arrivammo alla spiaggia
libera. Sparsi e rari gli ombrelloni;
nascondemmo i vestiti in una buca.
In acqua realizzammo con il sale
una per una tutte le ferite.
Alcune piccole, molte invisibili
ma dolorose al tocco e all’unghia; come
ogni verginità di questo mondo.
Sparì l’amica in un tuffo e riemerse
distante. Mi chiamò per poi sparire
ancora e prendermi le gambe e farmi
scivolare sul fondo. La inseguii
fino a una secca, dove centinaia
di pesci agonizzavano spiaggiati;
diversi già in putrefazione, tanto
che al piede si attaccavano gli umori
argentei e i luccichii madreperlacei
delle squame distrutte.
——————————Quanto cielo
da perdere non visto, il nostro; e quanti
giorni da quell’estate? Li hai contati?
La secca è ancora lì che la ritrovi
per quanto i sogni possano saperne.
*
Scappi via e ridi; lasci che la schiuma
ti evapori nel tuffo – e piena l’onda
già ti fa ruzzolare sul fondale.
Questi anni nostri non avranno male;
saranno sempre gli anni del Miracolo
per ogni luce che mi indicherai
spegnersi a basso volo sopra i campi
di Torvaianica.