Franco
FORTINI

Franco Fortini, pseudonimo di Franco Lattes, era nato a Firenze nel 1917 e viveva a Milano, dove è morto nel 1994. Rifugiatosi durante la guerra, per ragioni razziali, in Svizzera, partecipò alla Resistenza in Val d’Ossola. La sua produzione poetica comprende: Foglio di via e altri versi (Einaudi, 1946), Una facile allegoria (La Meridiana, 1954), Poesia ed errore, 1937-1957 (Feltrinelli, 1959), Una volta per sempre (Mondadori 1963), Questo muro (Mondadori 1973), Una volta per sempre. Poesie 1938-1973 (Mondadori 1978), Paesaggio con serpente. Versi 1973-1983 (Einaudi 1984), Versi scelti: 1939-1989 (Einaudi 1990), Composita solvantur (Einaudi 1994), Poesie inedite (Einaudi 1995). I suoi libri di narrativa: Agonia di Natale (1948, riedito come Giovanni e le mani, 1972), Sere in Valdossola (1963), La cena delle ceneri (1988), La cena delle ceneri & Racconto fiorentino (1988). Collaborò al Politecnico di Vittorini, del quale fu redattore, e ai Quaderni piacentini. I libri di saggistica: Dieci inverni: 1947-1957 (1959), Verifica dei poteri (1965), I cani del Sinai (1967), Ventiquattro voci (1969), Saggi italiani (1974), Questioni di frontiera (1977), Insistenze (1985), Nuovi saggi italiani (1987), Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine (1990), Attraverso Pasolini (1993). Ha tradotto Proust, Flaubert, Éluard, Gide, Weil, Brecht, Goethe.

http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Fortini

http://www.treccani.it/enciclopedia/franco-fortini/

POESIE

da FOGLIO DI VIA

E QUESTO È IL SONNO
E questo è il sonno, edera nera, nostra
Corona: presto saremo beati
In una madre inesistente, schiuse
Nel buio le labbra sfinite, sepolti.

E quel che odi poi, non sai se ascolti
Da vie di neve in fuga un canto o un vento,

O è in te e dilaga e parla la sorgente
Cupa tua, l’onda vaga tua del niente.

QUANDO
Quando dalla vergogna e dall’orgoglio
Avremo lavate queste nostre parole.

Quando ci fiorirà nella luce del sole
Quel passo che in sonno si sogna.

VICE VERIS
Mai una primavera come questa
È venuta nel mondo. Certo è un giorno
Da molto tempo a me promesso questo
Dove tutto il mio sguardo si fa eguale
Ai miei confini, riposando; e quanta
Calma giustizia nel pensiero è in fiore
Quanta limpida luce orna il colore
Delle ombre del mondo. Ora conosco
Perché mai degli inverni ove a fatica
Si levò questo esistere mio vivo
M’è rimasto quel nome, che mi scrivo
Su quest’aria d’aprile, o sola antica
E perduta oltre il pianto sempre cara
Immagine d’amore mia compagna.

FOGLIO DI VIA
Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.

Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.

Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.

Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

LA ROSA SEPOLTA
Dove ricercheremo noi le corone di fiori
le musiche dei violini e le fiaccole delle sere

Dove saranno gli ori delle pupille
Le tenebre, le voci – quando traverso il pianto

Discenderanno i cavalieri di grigi mantelli
Sui prati senza colore, accennando. E di noi

Dietro quel trotto senza suono per le valli
D’esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.

Ma il più distrutto destino è libertà.
Odora eterna la rosa sepolta.

Dove splendeva la nostra fedele letizia
Altri ritroverà le corone di fiori.

da UN’ALTRA ATTESA

L’ORA DELLE BASSE OPERE
È tutto chiaro ormai,
le parole dei libri diventate
tutte vere. Tutti gli altri lo sanno.
T’hanno detto di fare due passi avanti
in mezzo al cortile d’acqua e vento,
di lumi gialli prima dell’alba.
Vedi cani maestri con grembiali di cuoio
scaricare quarti umani per le celle
refrigerate e crusca
sotto i ganci cromati. Gli scontrini
li timbrano alla porta
dove a battenti aperti aspetta un camion.
Era giorno, i postini
sgrondavano gli incerati nelle guardiole.

UNA FREQUENZA
E a mezzo della pagina che leggi,
a mezzo della lettera che scrivi, il no per sempre
e il mai più.

Quasi calda è la fronte ancora ma irradia
soltanto il suo segnale ormai. Così
lo sterno della bestia disgregata
nel carbonio e la scoria nel cemento
viva murata morderanno sempre.

da LA POSIZIONE

L’APPARIZIONE
Continua a sparire e apparire un uomo innominabile. È come
nel video. Non lo senti urlare.
Ha le mani nel mucchio del tenue che cola sulle cosce, le
sclere sgusciate.
Ma non lo devi rappresentare.
Non devi forzare nessuna parola.
Tutto è da contemplare.
Tutto è da fare.

da VERSI A UN DESTINATARIO

GLI OSPITI
I presupposti da cui moviamo non sono arbitrari.
La sola cosa che importa è
il movimento reale che abolisce
lo stato di cose presente.

Tutto è diventato gravemente oscuro.
Nulla che prima non sia perduto ci serve.
La verità cade fuori dalla coscienza.
Non sapremo se avremo avuto ragione.
Ma guarda come già stendono le loro stuoie
attraverso la tua stanza.

Come distribuiscono le loro masserizie,
come spartiscono il loro bene, come
fra poco mangeranno la nostra verità!
Di noi spiriti curiosi in ascolto
prima del sonno parleranno.

da IL FALSO VECCHIO

IV.
Il verbo al presente porta tutto il mondo.
Mi chiedo dove sono i popoli scomparsi.
Il fattorino vestito di grigio in cortile mi dice
che alcuni stanno nascosti sotto il primo sottoscala.

Ho portato con me sotto il primo sottoscala
le ceneri di Alessandro, il pianto di Rachele.
Il verbo al presente mi permette di scomparire.
Il fattorino non vede più dove sono scomparso.
Versi scelti 1939-1989 (Einaudi, 1990)

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