La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Aldo Ferraris


 

Aldo Ferraris è nato nel 1951 a Novara, risiede sulla Costa Flegrea. Ha pubblicato le raccolte di versi:”La cattedrale sommersa” (Rebellato, 1978);  “Ventidue mutamenti dell'I KING” (TAM TAM, 1987); “Mantiche” (Anterem, 1990); “Codici” (Anterem, 1993); “Horus, parola improvvisa” (7 poeti del Premio Montale, Scheiwiller, 1993); “Grande corpo” (Anterem, 1997);  “Antichissima figlia” (La luna, 2000, con una incisione di Antonio Battistini); “Acini di pioggia” (Gazebo, 2002); “Nulla sarà perduto” (Archivi del '900, 2004, Premio Antonia Pozzi); “Danza di nascite” (Azimut, 2006); “L’ospite sulla soglia” (Raffaelli, 2009); “Moltitudine” (Sigismundus, 2013). Ha curato e tradotto il poeta palestinese Kamal Jarbawi (“Luce d’epifania”, Ladolfi, 2011). È presente nelle antologie: “Poeti italiani nati dopo il 1950”, a cura di A. Spatola  (Cervo volante n. 15/16, 1983); “Ante Rem - Scritture di fine novecento” (Anterem, 1998); “Così pregano i poeti” (San Paolo, 2001); “Vent'anni di poesia. 1982-2002” (Passigli, 2000); “Pollockiana” (Torino Poesia, 2009); “Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta” (puntoacapo, 2012). Suoi testi sono apparsi, tra altre, sulle riviste: Anterem, Atelier, Capoverso, Galleria, Gradiva, Hortus, La clessidra, La mosca di Milano, Le voci della luna, Niebo.

 

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POESIE

 

da: L’ospite sulla soglia

 

 

Camminanti

 

On avance peu à peu

                                                                                    comme un colporteur

d'un aube à l'autre  1

 

Philippe Jaccottet

 

 

I

È sempre così presto quando bisogna partire, nessuno sulla soglia a salutare e tu alle spalle che aspetti, la tua ombra a toccarmi la nuca come ci tocca il primo dolore.

Guida dal passo di creta sollevi appena il respiro del viaggio, guida dal fiato leggero frughi nell'abbaino del mio silenzio:

- Arrivare non è una scelta, scegliere è fermarsi nel mezzo della via, essere il pretesto. -

 

 

 

II

- Da dove iniziare ad attraversare il mare, da quale sponda, e verso dove? -

Non rispondi, ti chini, raccogli dal fondo del mattino la conchiglia rotta di un sogno, sul guscio un continente.

 

Di fronte a me, nel sortilegio di un cortile di campagna, un fiume ti attraversa, come una pianura.

 

 

 

III

Il cielo ci segue con la mitezza di un cane, ha sete delle nostre ombre che piano asciugano al sole.

Il cielo che si è perso nella nostra radura.

 

Ai bordi del cammino, dove bisbiglia la lentezza, disegni un labirinto di polvere ai miei piedi, poi soffi:

- Sono dentro di te, nel punto esatto che non ricordi. -

 

Il tuo capo ondeggia, si consuma, come una foresta che brucia.

 

 

 

IV

Una certezza minore, onesta come firma d'analfabeta, chiama da anni non vissuti con l'umiltà di un insetto.

Una certezza che versi sulle braci del nostro ultimo bivacco prima di ripartire, che avvolgi tra le mani con il tabacco, inumidisci la cartina, lento:

- Questo so, che è di tutti l'unico mio sapere. -

 

 

 

V

Quel qualcosa di me che si ostina a cercare, posato sempre in disparte per non farsi riconoscere, possiede la tua pazienza, la tua falsa stanchezza.

L'ho capito da come ti rimbocchi le maniche per esplorare la realtà e non bagnarti alla sua luce. Da come spieghi la velocità che ci sorprende, immobili:

- Percorrere è tornare ogni volta innocenti. -

 

 

 

VI

- Incidi le tue iniziali sulla corteccia dell’acqua, il tempo esita a entrare nei nostri alfabeti. -

Lungo il fianco del torrente, come crepa sulla crosta del pane, insegna la sua meraviglia il sentiero tracciato dai morti.

La terra, calpestata una volta, ancora non ha smesso di germinare la loro processione. Tu li chiami per nome, goccia e seme, alluvione e farina, ti volti a cercare la mia perdizione.

 

 

 

VII

Come camminare attraverso l'immagine di un altro uomo e ritrovarsi nello stesso punto, con un corpo diverso, così è il nostro viaggio, la tua sotterranea direzione.

Mi mostri il cielo in una pozza grande come la mia orma, ti immergi nel suo abisso:

- Ci protegge, come grembo nell'uragano, la fatica di scavare. -

 

 

 

VIII

La città che aggiriamo, ripiegata nella crepa della pianura, è giardino roccioso, le sue dure radici spaccano il fragore di questo crepuscolo.

Trattengo la corsa che mi spinge un passo davanti a te e chiamo a me la pazienza, che mi veda nella sua bellezza.

- Fermati prima, - dici - prima che sia tutto condiviso, lascia da dipingere un'ombra. -

 

Silenziosi come affreschi aspettiamo, immobili, sotto la volta delle rondini, il coraggio di migrare.

 

 

 

IX

- Nulla va perduto, il più lontano possibile è già dentro di te. -

Raccogli fiori selvatici dalla sonnolenza di un prato, li stringi nel pugno per millenni, in attesa di una vita d'acqua, dell'inesausto che li schiuda.

Di colpo la luce migra in sangue, come se il nostro passo avesse fatto male alla terra.

 

 

 

X

Mi indichi un albero lontano. Liberato dai recinti del bosco da solo protegge la collina. I suoi invisibili frutti nutrono la piena del paesaggio, il suo corpo aspetta le nostre mani.

Mi indichi un albero segreto e raggiungerlo è una palude di suoni:

- Li senti? sono come radici i sentieri, il loro negare ti precede.

 

Ci attraversa la pioggia, come un respiro, senza curarci.

 

 

 

XI

Il freddo dell'alba ci scivola vicino come una serpe, odora di veleno e pioggia, di tutto ciò in cui dobbiamo tornare.

Sollevi il bavero della tua oscurità e mi fai un cenno con il capo:

- Scegli la direzione, quella che non sai interpretare, si va verso casa. -

 

La nebbia sui campi, paziente come una coperta, aspetta di essere sollevata da un mio desiderio.

 

 

 

XII

Ormai la sera si annida come un piccolo topo nelle fondamenta del giorno.

La meta si è fatta invisibile, un aquilone dietro le nuvole, e avverto lo stipite della nascita premere contro le scapole.

- Il viaggio riprende, concediti l'ignoranza.-

Me lo dici cedendomi alla soglia poi ti spolveri l'abito, ripieghi l'orizzonte in una scatola per scarpe, la stringi al petto, piano svapori:

- Non aspettarmi, forse farò così tardi che non sarò più io. -

 

 

 

 

da: Moltitudine

 

*

Quando il vento con la sua mano

sale lungo il fianco dell'estate

e denti di pioggia assaggiano

la consistenza del mondo, allora

 

ricordiamo l'attesa che ci ha generati

e qualunque cosa ci è così vicina

come una seconda pelle, da accarezzare,

da respirare senza farle male.

 

 

*

Stanno dentro di noi, come devono,

le cose, come serpi nell'erba alta,

senza la certezza di esistere.

Stanno dentro di noi, come sassi

 

nelle tasche prima di nuotare.

Si fanno dense le cose che scordiamo

nascoste da qualche parte a soffrire

a diventare nuove senza sapere perché.

 

 

*

E' l'accettare questo continuo

vedere prima che la vita accada

prima che qualcuno bussi

e le cose si compiano definitivamente.

 

E' questo tirare la fune del destino

sperando che il cielo ci segua

come un aquilone, è il non sapere

che ci salva, irrimediabilmente.

 

 

*

Versano per noi negli alveari della notte

la dolcezza del mattino le ronzanti

cose che ci vogliono lasciare,

le pietose forme che abbiamo amato.

 

Quando si alzano per fuggire lo fanno

per difenderci, per attraversarci

con un ago, un filo di luce, da parte

a parte, cucendoci alla memoria.

 

 

*

Quando urla il rimorso nei nostri petti

impaurite si nascondono le cose

negli angoli più bui per non sapere

come anziani durante un temporale.

 

Aspettano che nuvole sempre diverse,

nuvole di roccia infisse nella pianura

immobile dei nostri volti, si frantumino

nella sabbia inconcepibile del pianto.

 

 

*

Il fruscio come di carta sgualcita dove

la penombra ha deposto le sue foglie,

il rodere d'insetto del sole che fruga

senza sosta nel vegliare dei pomeriggi,

 

il rumore del mondo che si ritira come

risacca dopo la semina dei nostri destini;

queste le parole delle cose, il sillabare

perpetuo della loro scoperta invisibilità.

 

 

*

Questo rotolare senza ritorno

delle cose che non vogliamo vedere

questa loro insensata bellezza

che ci chiama, disperata, e il nulla,

 

il nulla della nostra indifferenza

il frangersi contro i nostri fianchi

di maree di suppliche, e l'isola,

la madre del silenzio, smarrita.

 

 

*

Ci accetta l'alba ancora una volta

slacciandosi la veste, mostrando

il seno coperto di brina, le braci

racchiuse nell'anima delle cose,

 

ci porge il brusio del risveglio

con la bellezza lacerata del sole.

Pare di essere lì, in ascolto,

di qualunque cosa ci voglia cercare.

 

 

 

 

Sillabario (inediti)

 

 

G

come giorno

 

Ancora il giorno con i suoi inganni

entra dai battenti accostati male

entra nelle stanze dove non saremo mai

fruga tra le macerie dei nostri panni

e un passo, impercettibilmente, sale.

 

 

L

come luce

 

Esiste una parola, una sola parola,

per indicare quasi il bene, qualcosa

di ancora acerbo, come il sole all’alba,

la luce che intinge il suo becco, sola,

nel ventre partoriente di una rosa.

 

 

O

come ora

 

E' l'ora in cui nessuno ci chiama

quella ricevuta per caso in dono

l'ora in cui il vento percuote le ringhiere

e della gioia è così liscia la trama

che senti il bisogno di chiedere perdono.

 

 

P

come pioggia

 

La pioggia batte i suoi cucchiai

sul bordo smaltato del mattino

le foglie danzano sino allo stremo

del fango, tutto ciò che già sai

si fa mistero, ombra, cammino.

 

 

T

come tempo

 

Ci stringe tra le mani

come gomitolo di lana

questo non fare più in tempo

questa misura del domani

che faticando si dipana.