
Federica
TADDEI
Federica Taddei è nata a Scandiano in provincia di Reggio Emilia nel 1947 e vive a Roma dove ha lavorato presso la Rai come giornalista e produttore di programmi e sceneggiati. Le sue pubblicazioni di poesia: Distanze (Manni, 2004), La stanza dei fiori (Lietocolle, 2008), Quaderno della danza (Manni, 2008), Mistral (Pendragon, 2014), Ritratto a carbone (Pendragon, 2018, prefazione di Matteo Marchesini), I forti e i deboli (Pendragon, 2020, prefazione di Renato Minore), Il cuore di Porzia (Pendragon, 2021), Eravamo purissimi (Manni, 2023, finalista al Premio Camaiore e secondo classificato al Premio Laudomia Bonanni). In passato ha pubblicato sillogi di poesie sul mensile “Incontri” a cura di Roberto Roversi (1981), sulla rivista letteraria “L’ immaginazione” e sulla rivista letteraria online “Fili d’Aquilone” a cura di Alessio Aldobrandini. Dalla raccolta “Favole e tavole” sono state tratte due storie musicate per la radio da Giovanna Marini (1981). Sulla poetica di Roberto Roversi ha organizzato diversi incontri, tra i quali “Un’idea di poesia” tenutosi nel 2012 a Roma presso la Biblioteca della Vallicella, con interventi di B.M. Frabotta, F. Moliterni, M. Raffaeli, F. Buffoni, D. Nota, C.Di Carlo. È del 2013, dello stesso autore, la presentazione del libro “Caccia all’uomo”, con la partecipazione di Giovanni De Luna e Angelo Guglielmi, presso la Biblioteca Nazionale Centrale. Ha partecipato alla pubblicazione collettiva “Lezioni di teatro” (Einaudi Gli struzzi, 1986), tenute da Eduardo De Filippo presso l’Università la Sapienza di Roma, a cura del Teatro Ateneo sotto l’egida del professor F. Marotti.
POESIE
da ERAVAMO PURISSIMI
La sua aspra compagna
Stava lì a rimirarla
in quella solitudine testarda come fosse
una timida persona che porgeva ostinata la sua mano.
Ah sei qui le diceva
nessuna approvazione né consenso
giungeva
da quella ineguagliabile presenza.
Come avesse indossato vesti umane
la sua aspra compagna la sua guida.
Economia
Meglio buttare via questi quaderni, uscire
Indossando un vestito
Per coprire una magra figura, disegni a fiori,
un giardino, va bene anche autunnale.
Ocra, marrone sul giallo dei limoni,
nero vivo dentro il blu copiativo.
Vorrei essere un quadro di van Gogh
qualche metro di terra coltivata
sole arancio, mani contadine esperte nel raccolto.
Oppure, uscando dalla mitomania,
sembrare carta gialla da fornaio
compatta, adatta a far di conto,
di utile economia.
Caruso
Non ha prezzo il silenzio di stasera
da molto tempo vale un patrimonio.
Prima era amico
abitato da fiaccole e da veli, da essenze trasudate,
canti lontani
da risa immotivate: sceglievamo insieme le parole.
Mi accompagnava verso il mio riposo
curando la fatica che ruba il tempo al sonno…
Ultimamente il tono è cambiato, ha un suono sordo
quasi tappezzato
non c’è il respiro né della purezza della meraviglia
il suo sguardo non buca la parete.
“Sei diverso” gli dico” ti curerò se hai perso la memoria.
Se preferisci ti darò del lei del voi del loro;
ti stenderò come un lenzuolo al sole, ma parla
parla mutino, oppure canta
fai come Caruso”
da IL CUORE DI PORZIA
La veglia
Non dormiva: temeva che nel sonno
qualcuno l’avrebbe derubata del suo cuore
glielo avrebbe levato dal costato come un pesce di fiume.
Piantato in una terra
lontana, poco nutrita, né torba né carbone,
né resti umani, (cibo pregiato quello…)
sarebbe diventato un albero sottile
dalla scorza rugosa, dai frutti minuti, sanguinanti
come gocciole che fa l’ago sul dito.
Li avrebbero mangiati popoli sconosciuti
sarebbero cresciuti gli uni vicino agli altri,
abitando quella terra mai sazia..
Non voleva non era preparata per la gloria
la sua specie cresciuta
nelle pieghe accoglienti del silenzio.
Dunque avrebbe vegliato
come per una guardia di frontiera
come per un’eclisse straordinaria, nessuno in giro,
i volti dietro i vetri alle finestre….
Adesso tace
E se mi abbandonasse la consueta eloquenza
la mia arma? pensava
Se, mentre l’arco è teso
tremasse la mia mano e la mia lingua
fosse infedele a quanto ecogitato
l’onere della prova che ho illustrato non fosse chiaro
al Grande Inquisitore?
Adesso tace, incrementa la veglia di ossessioni:
se non fossi capace?
Se fosse stato un tiro del destino
quel crudele mandato?
Il capo reclinato, lacrime chiare
raggiungono le tempie fino ai lobi delle piccole orecchie.
Come cristalli
suo unico ornamento.
Porzia ad Antonio
Ora il cammino è tra sterpi e arbusti
piccoli tronchi avvolti su sé stessi ,treccia armena
braccia sottili di alberi dissetati
dalla rugiada e dai muschi pregiati. Quel groviglio
quasi di creatura ti somigliava, così ti struggevi
per l’amico ignaro e per il pegno cui ti costringevi.
Non c’era colpa ma la parola data
ti conduce tra gli occhi di una lama
Il mio inganno sarà la tua difesa
l’ambiguo sentimento dell’astuzia sarà il denaro
perché il vecchio Caronte ti lasci sulla riva.
Nella foresta ogni suono è una traccia
Il tumulto di zampe, strisci d’ala, di piante che attraversano la terra
lo scalpiccìo croccante sopra foglie vogliose
pronte ad offrire asilo a gufi e barbagianni
dal muso monacale.
Andiamo, noi che: abbiamo uguale intento,
sotto il consiglio di un amore provato,
ha diversa radice e tuttavia lascia sul corpo
ferite così simili fra loro…..
da I FORTI E I DEBOLI
Tango
Si fa notare aumentando la dose.
Stringe la chiave inglese, comprata a Buenos Aires
elica doppia modello ultrasottile
intorno al còrdolo, del dolore, s’intende.
Né abbandona il sorriso marinaio, il bagliore degli occhi
da cui emerge il profilo di antiche cattedrali,
il dorso giallo arancio dei menhir il percorso sensuale
di uomini blu che muovono il deserto.
Il dolore è stanziale: devo farmi una fama da nomade
di me avrà rispetto.
Al più diventerebbe un dolore invidioso da portare al guinzaglio
nei luna park, croccantini di mandorle ombrellini di carta colorata,
giostre smaltate, i pipistrelli sopra la testa
di bambine urlanti nelle sere d’estate……
Quanto tempo è passato? Quanto ci è costato
vincere il sogno? superare il confine. Siamo più soli
pervasi da una pena quasi materna,
che vuole averci a casa, poiché là ogni spazio
è conteggiato dalla memoria che lo custodiva.
Il tempo ha tenuto la sua briglia su ogni metro
di ogni stagione, ha versato l’essenza liquorosa
la bocca sulla bocca come amanti
muovendo un tango lento
dimenticando di contarne i passi…..
Ci dichiariamo
Si tratta di abitare questo tempo
per quanto siano ignoti confini e dimensioni .
E’ mutevole
non riusciamo a coglierne lo sguardo ben sapendo
che ci spia come noi ne scrutiamo le fattezze.
Accade a volte
che non ne distinguiamo il cambiamento,
orfani di noi stessi.
Altre volte padroni
come in un campo a scuotere il germoglio
perché diventi pianta frutto ricchezza, con impazienza
priva di ragione, e di colpa.
Numeriamo le tessere del gioco, a mente, come a distrarci
non vogliamo pensare che sia pericoloso
quell’andare in cerca di rifugio
nella sera piovosa, nell’alba dall’alito spinoso.
Come quando fuggiaschi, esperti in sortilegi,
cavalcavamo controvento
il mare.
Ma è nuovo il sole
Illumina il telaio della terra.
Ci dichiariamo dunque vittoriosi,
ma tremanti nel passo che ci guida, obbedienti
al suo intento strepitoso.
da RITRATTO A CARBONE
Sembravano caprioli
Sembravano caprioli
Li vedevo saltare ai bordi della strada
Sui recinti malmessi del parco, cresciuto senza cura
e bere alla fontana cittadina voltando
la piccola testa oblunga verso di me
di tanto in tanto, come ad aspettarmi.
Era un patto di sangue immeritato
tuttavia esistente.
Da tempo li inseguivo cadendo nella trappola
tesa dalle festose apparizioni, così inusuali
tra auto scheletrite, plastiche rovistate
una plaga di incuria e di sgomento
dove storni e cornacchie
strigiformi
si contendono il cibo.
Da quelle parti anche dio teme gli uomini,
loro invece morbidi e leggeri, davvero erano lì?
le orme, smentite dal frusciare delle foglie
pronte a negare quanto era avvenuto,
recavano le tracce del rapporto carnale con i corpi rotondi,
l’impazienza selvatica uguale
a una vertigine amorosa.
E non sapevo se li stavo seguendo
guardandoli attraverso
la rete di metallo nelle aiuole
se stavano scortando la mia fuga
o la mia prigionìa.
Se nell’ansia di onorarne la grazia
non mi avesse ingannato
l’arrossato riverbero dei tronchi nel pomeriggio
diventato immenso….
Ora ci guardavamo,
l’attimo prima di ogni decisione, gli occhi negli occhi
quasi vicini, quasi fossimo certi
che fosse quella l’ultima occasione
per me, che tramontavo insieme al giorno.
da QUADERNO DELLA DANZA
L’incidente
Gli occhiali sopra il legno
Il tuo abito smesso, sulla sedia,
per essere indossato al tuo ritorno, le scarpe risuolate, nell’attesa.
Ma il mercato insolente della vita
aveva alzato i prezzi: ora gli oggetti
i ninnoli, i vestiti, come reliquie insolite
emanano sottili musichette ipnotizzanti,
nel sortilegio che sempre accompagna l’assenza fulminante.
E stiamo qui, tenuti per il collo, senza parola;
uscito dalla gola
il nostro cuore sta sul pavimento, abbandonato
come un gioco di bimbi
messi in fuga dai tuoni,
e d’improvviso diventati adulti.
da LA STANZA DEI FIORI
……era appoggiato come un violoncello sulla porta del fiume.
Lei tornava a vederlo quando era giorno
E di notte
accendeva la luce presa dal panico per non averlo incontrato.
Lui aveva dedicato la sua musica all’acqua, che presto
scompariva sopra i sassi disposti sul suo corpo che bruciava
“per aver perso la grazia siamo vivi
su questo manto di terra colore del castagno” così
lui le diceva. Un tagliatore di teste era passato, le sue impronte febbrili
sulle soglie del bosco “che abitavo muto, allarmato, vinto da tristezza
un colpo sopra il tronco, mi nascondevo mentre di lontano l’abbaiare dei cani annunciava lo
sbranamento….”
da DISTANZE
Finestra
Notte di luglio, argento su cobalto
rotto da una canzone americana, il silenzio diventa sanguinoso.
La donna alla finestra, le braccia larghe spingono
le imposte, il corpo un arco verso il covo prezioso
delle stelle, luciferine. Non le sanno spiegare a che costellazione
sia appartenuta la distanza dall’uomo ormai
perduto al gioco. Forse una quadratura di pianeti
che nella sera splendono funerei. Quell’aria profumata
di balsami speziati, di musica in sordina,
cosa possono dire a quell’urlo notturno? Al muto gesto
di belva che si arrende?