Enrico
D’ANGELO
Enrico D’Angelo è nato a Luzzi (Cs) nel 1954, vive a San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Ha pubblicato le raccolte di versi: Le giornate (Periferia, 1984), Quasi una serra (Plural, 1991, note di Gabriele Frasca e Alessandro Giammei), L’Attenzione (Periferia, 1994), Andata e ritorno (Fenun, 1997, col poeta arabo Malik), Night (Abramo, 2003), Merci madame de la nuit (Abramo, 2005), Il fiore della serpe (Cattedrale, 2009), Versi Esitasti (Di Felice, 2013, prefazione di Bruno Pinchard). È stato redattore della rivista “Periferia”, per la quale ha ideato e curato la sezione ‘Africana’; ha fondato e diretto il semestrale di letteratura internazionale “Plural” e ha ideato e dirige “Smerilliana”. Suoi testi poetici sono apparsi su varie riviste, fra le quali “Ritmica”, “Oriente & Occidente”, “il rosso e il nero”, “Novilunio”, “Istmi”, “l’immaginazione”, “Versodove”. È presente in Amore traduttore (traduzioni da Henri Michaux, Periferia, 1995) e ne L’avventura amorosa. Antologia della poesia italiana contemporanea (Abramo, 2000). È stato tradotto in tedesco (da Riccardo Held) e in slovacco (da Stanislav Vallo). Ha curato la raccolta di novelle orientali La vita e la sanguisuga (Abramo, 1997); la raccolta di novelle slovacche Il sorriso verso il buio (Abramo, 2001).
https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_D%27Angelo
POESIE
La soglia
SONETTI DEL VOI
*
Di moto è l’immagine che io ho
nel mentre risalite conturbata
eppur puntuale e svelta sul metrò
d’ognuno dei sottosuoli Voi inviata:
nel ventre entrate d’una galleria
vestigia di caverna a nulla alterna
di luogo in cui patiste ruberia
di cosmica sabbia a Voi già interna.
1.
L’allegro conversare della sera
è un paziente cercarsi che poco aiuta
del vivere i bagliori e la sua mera,
anzi odore di polvere ne fiuta.
Eppure, mentre spengesi la luce,
annuncia un’altra luce la presenza
che, inedita e discreta, in Voi traduce
i moti luminosi di coscienza.
Se poi l’ombra dell’ombra mi seduce
dopo ogni appuntamento con l’amore,
allora appare tutto in piena luce
dal Vostro corpo reso anima ancora.
——E allegra chiedete, pur nel peccato,
——se forse un Dio abbiate o un uomo Voi amato.
2.
A fior di labbra quest’ombra Vi dona
se incerta tremola d’un bel sorriso
che chissà quali ricordi ripone
entro le pieghe d’una gonna lisa.
Il tranquillo cuore che mai minaccia,
o mente che ragiona eppur inclina
verso un sentire dentro che s’affaccia,
mano con mano adesso ci avvicina
proprio lassú dov’Amore immutato
resta, e non cambia colpo dopo colpo
questa mia e Vostra intimità innata
quando pian piano quando in una volta.
——E, accanto a Voi, triste prende tristezza
——nuova chi rinunci ad altra carezza.
3. Scespiriana CVI
Da cronache d’un tempo, quanto perso,
vedo descritte creature mirabili,
la cui beltà irradia in antichi versi
e dame morte e cavalieri amabili;
allora, tanta bellezza ammirando,
di mano o piede o labbro od occhio o ciglio,
quell’antica penna Voi da tanto
annuncia, qual sublime meraviglia.
Cosí i detti pregi restan profezie
di questo tempo, Voi prefigurando;
ma il passato, sapendoVi per via
di visione, non seppe piú alto il canto.
——Mentre qui, noi che vediamo il presente,
——occhi abbiamo colmi, lingua tacente.
4.
Questa fertile in Voi terra di casa
a colpi di rima alfine toccare
tanto che vita non sembri di stasi
ma ardita piú della parola rara.
Cosí a volte, rincasando con lena,
sia lieve la sera e d’ampio ventaglio
se pur l’ombre diverse in strade piene
durante il passeggio il lampione eguaglia.
Le voluttuose labbra al pan di spagna
ora gusto baciando e, quando l’edera
il balcone invade quasi a campagna,
il desiderio permane nel credere
——a lavica rosa o ad altra odorosa
——quanto di fiamme dà storia amorosa.
5.
Meraviglia che accenda luce immensa
d’una donna la mano fra i tendaggi;
o che rosa nel vaso renda intenso
olezzo il vivo gesto d’un omaggio.
Intanto spira raso terra agli orti
il vento – e sbanda il panno in cima all’asta
e al rogo manda fra aeree fiamme il torto
che sempre salva il nulla che non basta.
Di Voi lo sfavillìo agisce or felice
ché cose assai di cuore l’occhio mira:
come quando in cielo d’un lampo la radice
sull’intima casa di luce attira
——fulminea l’energia che l’aria ingombra
——e scarica del lampo al suolo l’ombra.
6. Scespiriana LX
Come onde verso la petrosa spiaggia,
cosí gli istanti fan flutto finendo,
ognuno in noi mutando l’altrui viaggio,
in quanto affanno se avanti spingendo.
Nasce la vita in un mar di lucori,
striscia a maturità, quasi raggiante,
ma eclissi ne stregano gli splendori,
e il tempo, che tutto dona, pur ammanta.
Il tempo affligge le età fiorite,
e linee affonda rugose di bellezza,
a dolci essenze di natura invita,
ma leva colla sua falce ogni ebrezza.
——Eppur nei tempi il mio verso riluce
——in Voi, spregiando la sua mano truce.
7.
Nel clima autunnale del pomeriggio
celano il Danubio nebbie sospese
e, nel luogo d’appuntamento, grigia
si fa intorno, fra i palazzi, l’attesa.
Fradici d’acqua, prima queste foglie
eran dei rami la malinconia,
forse d’ogni passo umano la soglia
conosciuta, quasi una prateria
umida di brina. Ma or che di corsa
tu arrivi, dalla città nel rumore,
qui s’avvera che, intime risorse,
han fine i viaggi in incontri d’amore.
——E parlerai cogli occhi, i tuoi di Marta,
——chiederai ch’io resti, che giá io non parta.
*
Poi che illibata permane la storia
Vostra, per quanto mia sia, e specie induce
d’ogni vicissitudine la scoria
in un’acqua che disseta di luce,
certa la parola ci grava da dire
salvo confidare in quella che scarsa
nel conversare sia, ma abbia sue le mire
di un’intimità innata a Voi già parsa.
LA SOGLIA
In limine
Questo giorno come questa pagina
svolta che non sa se terminare a ieri
o essere per l’indomani, che estrema
ritenta la luce proprio ove intimo
tremore è l’ultimo pensoso sguardo;
e, tenera in sé di segni e di sogni,
in noi cosí resta incontro del tempo
con il tempo, quando ci leggeremo.
Cose e nebulose
Pure se lasciati in un estremo
crescere in cui, cinti di polvere
e gas, nudi negli occhi fidiamo
in semplici cose e nebulose
oppure da esse ci lontaniamo,
ancora di noi si cura il mare
quando pesca un incidente raggio
e nel rifratto raggio ci misura
la nostra direzione di libertà.
O malinconico cuore
O malinconico cuore, io non conto
di lasciarti da solo per il mondo
quando a me il rinunciarti duole
perché per te solo nacque l’amore
.per questa morte sopravvivente
per questa vita soprammorente
credo nelle stille dei colori
sento negli echi le parole;
e per ciascuna sono in parte quale
l’aria stregata da foglie nel vento
e in quell’altra rimasta uguale
la zolla galleggiante del sentimento
o la luna che riluce avendo
oltrepassato il limite mortale
o il sole che riduce avendo
oltrepassato il limite vitale.
Parlando e tacendo
Pare subentri del silenzio il nero
e il cuore riceva e al tacere induca;
anche per questo diviene il pensiero
un mentale andare che non va in buca.
Intanto si dice che il suo affinamento
il tempo lo abbia parlando e tacendo.
Poi in noi si traduce, e un po’ di talento
è un abbraccio e una conversazione;
poi in noi si traduce, e un po’ di talento
è una preghiera e una conversione.
Se acqua o cielo
Dove ognuno muove o segna il passo,
e dove la vita pare incerta sul dafarsi,
l’angolo non è piú quel preciso punto
del pensiero che cela o a volte svela.
Ma come si riflette l’acqua nel cielo
e il cielo appunto nell’acqua… ne sai
tu forse il principio del riflesso?
in quale dei due – se acqua o cielo –
ha origine l’imitazione o in quale
nasce, a se stessi ignota, la comunione?
Linfa vegetale
——Pallide linee
——di linfa vitale
tra la fine e il principio
un ritornello appena accennato
è il vicolo disordinato della bellezza
——pallide linee
——di linfa vegetale
appena alle abituali note
fumide degli auguri, di risa
e cristalli un tintinnìo commuove
nell’aria fra le risa un pianto
intanto che il compleanno cade
dell’inganno alle nostre vite
——pallide linee
——di linfa vitale
——pallide linee
——di linfa vegetale
volge il salice all’acqua
e nelle foglie le radici
ogni mattina vogliono bere
infilando la testa nelle proprie ginocchia;
intanto nella stanza cadono i miei occhiali
sul pavimento, i libri ridendo si riassorbono
nel muro e (si lamenta) il tempo
si lamenta se mi arrendo
mi tolgo gli abiti e li appendo.
La fonte e l’ombra
Da questo a quello, da ciò che era
a ciò che sarà: cosí si ricava la forma
equilatera del triangolo dove esista
un rapporto corrisposto fra lato
e lato, mutevole e fisso ad ogni istante,
anche per quel nulla fra lato e lato
chiamato angolo, che un nulla separa
da un nulla. Ma un intervallo vi sia
che nel tempo fra me e la presenza
di Dio rimuova la fonte e l’ombra.
Lasciato al dunque
Lasciato al dunque. Né per esso ti sia
concesso di dire e non dire. Soltanto
un dunque doc, senza mania quindi
in tutta inerzia, a bocca stanca.
Ma al dunque, ti prego, dunque sorridi.
Sotto vuoto spinto
Sotto vuoto spinto, le lancette
nella propria rallentata rotazione
non eludono dell’attesa la fretta.
Erompe con le lancette dalla cassa
numeraria l’orologio: essendo disertore
del finito, viene ordinato di far fuoco
gli sparano: manifesto mortuario il suo
diario, affisso al muro in calendario.
Icona
Al chiar di luna perdura l’icona
di sé fa mostra intanto che dispare
felina dietro i vetri del balcone
nel soffio d’ombra d’una stanza cara.
Pur se fiamma arde nella stanza amica,
e lieve schiara l’angolo in penombra,
l’icona cela la sua forma antica
e chi suole svelare ora s’adombra
per l’acre dubbio se forse non sia
immagine sacra o volta a magia.
Della mano
Della mano sia sorte la carezza
sí da dirsi mano che piú non scorda
questo di noi intenso e privato ardore
che infinito se stesso invera il cielo;
dunque tace il pensiero e lo si apprezza
quassú nel firmamento dei ricordi
se gradino a gradino nel pudore
qual risposta d’Amore ascende e vela
col dentro il fuori, cedendo al divino
il nostro e suo fra nobili destino.
Misterica
Qual eterea luna a stella vicina
la varia nube ti vuole sua spuma
o patina d’un’acqua cilestrina
ch’evaporando di tinta si sfuma;
nel moto ondulatorio dei marosi
ogni cosa ha la natura di faro
che scruta prossime le nebulose
ma estremo tutto difetta se schiara;
allora nel nottario lo stupore
riponga sguardo e battito di ciglia
e Amore che conquista il suo dolore
lo atterri il mistero di cui sei figlia.
Oh questo fare…
In che misura scrivere ora il certo
se poi un sorriso vieta di truccare
il volto che la vita serba incerta
pur forse non volendo, ma che fare?
oh questo fare… come di matassa
che s’aggroviglia al moto di qualcosa;
che qui, nel doppiofondo d’una cassa,
di trottola ha sembianze e senza posa
attorno a sé girando stanca ed anzi,
in bilico per poco, va giú in danza.
Solamente un canto per questa terra
che a mente tiene l’ordine del moto,
forse un antico sentiero di guerra
vittoriosa ed all’uomo ancora ignoto.
La soglia
Se appena una mano scosta lo scuro
ecco in agguato un’ombra nel sole
e quasi una luce getta sul muro
di noi la preghiera che brucia in gola.
D’ognuno giunge il tempo dell’offesa
quando essere indecisi sulla soglia
è la piú vergognosa delle attese.
Non basta pregare di sana voglia
in qualche moschea, sinagoga o duomo
se poi il dolersi e lo straniarsi insieme
sono d’un uomo che già sappia l’uomo
di carne non fatto ma d’altro seme,
sono d’un uomo che già sappia l’uomo
d’anima non fatto ma d’altro seme.
Finis
I
Ma sinceramente
quale fede
coagulare mentalmente
se oramai
sapere di morire
non è
che un pensiero?
II
Cominciano a mancare
uno alla volta
tutti insieme
poi, dopo la pioggia,
si nasconde una lacrima
nell’aria ch’evapora
sapere di vivere
non è che un pensiero.
Spiriti domestici
1.
Nel sole che smorza i colori
per me tu ti pettini, sensibile
ad un nuovo romantico invito
o dolce innamorata indulgente.
A tratti delicati, carezziamo
nei volti la voglia di fragilità.
Allunghi nella luna l’amore
e i capelli spettini, sensuale
ad un nuovo impudico invito
o bella innamorata indulgente.
A tratti estenuati, carezziamo
nei volti la voglia di continuità.
2.
A me sembrava un peccato disumano
non desiderarti, per niente lasciarti,
esistere di cuore in cuore arreso;
oh verdonna, che dalle tue labbra
adolescente sarò nuovamente reso,
quale vervita è mai l’attesa che sé
d’intesa sempre e qui se stessa attende.
3.
E non dire quanto vi fu di sciocco
prima di quel piatto in cui offristi a uno a uno
quali fili d’erba nel vento gli occhi
nella visione d’attenderti via
da smorfie, l’uscircene di due in una
sola lontanantesi compagnia.
4.
Tanta ne soffonde,
da una goccia
piovuta a sera,
di luce fra le ciocche
dei tuoi capelli,
ora che ripari per via
sotto i rami fioriti
del roseto, in attesa
di rinnovate compagnie.
Timoroso nel cuore
un piccolo Puskin
ti stringe, e la carne tenti
di tacitarne, o Maria;
—————ma l’anima,
l’anima soltanto
alla soglia s’avvicina
(pur se giovane
già arida di vita)
della tua vagina
– in questa serata
piovosa, te ne torni
nuova arrivata
sul marciapiede comunale,
sotto il manto del roseto
ove il meno regale
fra i virili s’accommiata,
o regina. O Maria
d’Ucraìna.
5.
Lesbia è tornata, giovane
e tanto piú bella di prima;
e per me soltanto
se non Catullo ma io
son qui a baciarla.
Quieta ora sorride, vana
sapendomi ogni parola
ché nulla di meglio posso io
di quel che neppure Catullo
allora seppe con parole dirle.
Lesbia è tornata, o Marta
anzi sei tu, viva
in questo vivo foglio di carta.
6.
Io qui ti ringrazio
perché in ogni momento hai cercato fra le parole
quelle giuste per parlarmi;
e grazie anche
d’aver ogni giorno lasciata libera sempre l’ora
piú intima per incontrarmi
d’aver spento la luce artificiale con soltanto i raggi
della luna per amarmi
d’aver accettato tre rose come d’un mese di maggio
cosí odorose da inebriarmi;
ma sopra tutto grazie
perché della vita il senso che va e viene
oramai è un vuoto tutto pieno.