Alberto
Di Raco è nato a Roma nel 1940 e vive a Torino,
dove ha lavorato in ambito industriale e dove è stato docente di
comunicazione
in Master post-universitari e nel corso di Scienze della comunicazione.
Ha
pubblicato le raccolte: “Il silenzio intorno” (Rebellato, 1968); “Le
Urbaniche”
(Cappelli, 1971); “Rurbaniche” (Lacaita, 1975, prefazione di P.
Volponi); “Metàmeri”
(Mondadori, 1978); “Poema – Reparto Anime” (Edizioni del Leone, 1994).
Nel 2005
ha pubblicato il poemetto “La stagione delle piccole piogge” in “Il
cerchio – omaggio a Paolo Volponi” (Grafiche Fioroni). Dal 1970 è
apparso
in numerose antologie e riviste di poesia, fra le quali “Nuovi
Argomenti”; “Almanacco
dello Specchio Mondadori”; “Il pubblico della poesia” (Lerici, a cura
di A.
Berardinelli e F. Cordelli); “Poesia italiana oggi” (Newton Compton, a
cura di
M. Lunetta); “Poesia erotica italiana del novecento” (Newton Compton, a
cura di
C. Villa); “Poeti del Piemonte” (Forum Quinta Generazione, a cura di G.
Luzzi);
“Verso Roma, Roma in versi” (Lucarini) a cura di M. Lunetta; “Almanacco
Odradek”
(2004, a cura di M.Lunetta, F.Muzzioli, S.Sproccati). Nel 2013 è
apparso con
una sua poesia inedita nella rivista “Gradiva” (n.42-43). Ha pubblicato
“La
battaglia delle ombre” (Manni, 2001), il primo di una serie di racconti
brevi,
di impronta favolistica e visionaria, a cui ha fatto seguito un
secondo, “La
sedia del diavolo” (Manni, 2006, con postfazione di G.B.Squarotti). Nel
2010 i
due racconti sono stati messi insieme e rielaborati in “Le strade della
collina”
(Manni). Nel 2016 è uscito “Del bosco e del tempo”, un labirinto
narrativo dall’impronta
surreale ed onirica. Suoi saggi sono apparsi tra il 1973 e il 1974 su
“Nuova
Antologia”: “Le origini della ricerca sociologica in Italia”, “Le
lettere
meridionali di Pasquale Villari”, “La ricerca sociologica di Stefano
Jacini”.
Ha pubblicato “Sindaci e podestà nel Canavese” in “La classe politica
municipale” di C.Barberis, F.Angeli (1978). È coautore de “Il dibattito
sulla
comunicazione organizzativa”, a cura di G.Gabrielli (Invernizzi, SIPI
1994),
con il saggio “Modelli e strategie di comunicazione interna”. Insieme a
G.M.Santoro ha pubblicato “Il manuale della comunicazione interna”
(Guerini e
Associati, 1996) e nel 1997 presso Sperling & Kupfer “L’impresa
simbolica”,
libro che esamina i diversi aspetti del linguaggio simbolico aziendale
e presso
Itaca “Organizzare una Convention”, testo dedicato agli aspetti
metodologici e
pratici per progettare e gestire questo tipo di manifestazioni. Nel
2001: “La
comunicazione interna tra organizzazione e interazione simbolica”, in
Quaderni
di Sociologia; e nel 2010: “Guida al Piano di comunicazione” (Celid). È
presente
negli Atti del Convegno 1999 “La cultura del Novecento in Piemonte: un
bilancio
di fine secolo”, con un saggio di Giorgio Luzzi.
POESIE
A
CLAUDINE CHE
SCRIVE DA PARIGI
Il tocco
del suono claustrale, che a fatica
Smuove
l’aria ad ondate, semina
Disordine
nella lenta agonia notturna,
interrompe
il nostro discorso lanciando
cunei di
luce al neon fra i nostri
sguardi,
strade oscillanti, occhi verdi e canti
di
sirenight. E noi nuotiamo, in un mare
abbandonato
dal sole, cerchiamo di
ritrovarci
con le parole, Claudine, di
tagliare
l’aria senza turbarla,
come si
fa con la vita.
DA UN
CANTO
NAVAHO
La voce
del tuono;
la voce
dei grilli;
sul
cielo, ed in basso.
Tornato
dalla guerra, o cari,
-la voce
del tuono-
Fra voi
sperduto ormai non rimasi:
tornato
dalla guerra, o cari,
-voce di
grilli fra i campi-
Ripresi
uno zaino
E mi
staccai come unghia da carne.
Quando tu,
fratello, udrai la voce del tuono
Quando tu,
fratello, udrai
Fra le
messi la voce dei grilli,
pensa al
tuo fratello più vecchio
che non
seppe condurre la vostra vita
pensa al
tuo fratello
il cui
passo non ha mai pace.
DALLE
TORRI
MERLATE
Dalle
torri merlate s’alzano nubi e portali,
nella
valle ingoiata dal buio scorrono
città
antiche e strade sempre le stesse
dai
mille volti rifatti scorrono luci
e
automobili ai piedi di ignote montagne,
ed il
forte, rinchiuso nelle sue spalle,
ancora
guarda il nordovest sbarrando
la Dora
irta e gelida, scrutando orde
nemiche
ormai scomparse nel vento
e nella
terra; ancora le torri guardano
attente
il fondo della valle, ma nessuno
risponde
sotto la torre ventosa; né i passi
sotto le
volte e gli arazzi mostrano l’ansia
dell’attesa,
ma solo il ricordo cerca la vita,
disperato
sospiro dalle ferite dei muri.
Queste
sono le pietre, le stesse, e queste
sono le
cime e le ferite del ghiaccio
queste
sono le nubi ed il vento.
Rinchiuso
fra le mie squamepiume nascosto
dal sole
smorente tra i fumi e la nebbia
ancora
attendo su questa torre il volto
che mi
ha generato il passo della madre
dietro
la porta sull’autostrada immota
lampeggiante
scendendo da un tempo mai
nato.
Ormai le mie squame rilucono
al
tramonto nebbioso le mie piume s’arruffano
al
vento, e tu, madre, sei più forte del mio
ricordo,
più forte del vento e del tempo pulsante
nel
ghiaccio, spinto contro la valle sgomenta
sotto il
cielo vuoto di mondi e del tempo.
EPITELIOMA
Nella
stanza al secondo piano
L’exeresi
chirurgica conosce
L’epitelioma
sotto l’acciaio
Papillomi,
adenomi, cistomi,
invadendo
i tessuti vicini:
nel
sangue, è lui, carcinomo.
Aperta la
porta,
fra il
secondo piano ed il primo
l’ascensore
portò progetti e speranze
ancora
luce sugli occhi
e un
volto bendato;
i mobili
di una stanza, l’ascensore portò
l’avere
e il non avere.
Al primo
piano egli ricordò
L’accoppiamento,
guerre e
ponti di ferro,
l’emigrazione
e il ritorno.
Dal primo al
pianoterra
Egli non
conobbe
Né
commercio né donna
Ma solo
l’acqua,
e la
campana sommersa
e il
grido del parto.
Al piano
terra,
quando
fu riaperta la porta,
insieme
ai due infermieri,
uscì
inaspettata, la morte.
LA
CITTA’ DEI
MORTI
La città
dei morti sinuosa si eleva inavvertita
con le
sue onde fiorite di pietra simulacri
di
ombrosi pini e ulivi contorti da un vento
inudito.
La città dei morti acquieta la pioggia
mentre
saliamo lungo i suoi fianchi quante volte
faremo
gli stessi passi e gli stessi gesti quante
volte
saliremo le scale in cerca di voci sperando
che ad
una improvvisa svolta o ad uno sguardo
obliquo
ci appaia la morte e sveli ciò che
non può
essere svelato dalle pieghe del nostro viso.
Solo
fiori e passi affrettati offre la città dei morti
al
nostro occhio trapassato dall’attesa di altre
presenze.
Le cappelle mute offrono ondate di volti
immensamente
lontani e il tuo così vero, fratello
dai
molti viaggi, ti colse l’ultimo sguardo
e
appartenesti al vuoto immenso della nostra storia
e del
cosmo. Così ora le maree ignoti di volti
ti
afferrano in un odore di fiori avvizziti per noi
che fra
le tombe estraniati incerti torniamo
sui
nostri passi mentre gonfi nembi di cielo
si
sfaldano con livide spade di pioggialuce
impregnando
la terra di questi resti umani
ancora
alla ricerca vana della città dei vivi.
Ma è da
questo oltreterra, fratello, che ora
cerco il
sangue delle bocche serrate cerco
il
battito nuovo della mia lingua che scioglie
la cera
dagli occhi apre di nuovo la parola
la prima
che genera i nuovi suoni inascoltati
fin
quando nella città dei morti nel buio
delle
caverne ah! risuonato il verbo lo sguardo
nuovo
nelle antiche case nuove macerie
la mia
parola le sanguina con il suo battito
e la
pietra la prima crepa ed il sospetto dell’erba.
PAESAGGIO DI
LANGA
Lo
specchio infranto della valle
alle
appuntite melodie dei cieli
si
ricompone con le voci sommesse
della
sera, e i latrati dei cani
scemano
lamentosi verso il buio.
La
cenere che ardeva silenziosa
Ora
brilla improvvisa e segnala
L’arrivo
inaspettato, la presenza
Dell’Altro.
Al suono del campanile
Disperso
tra i fuochi della notte
Fra i
castelli dei picchi boscosi
Il
temporale sfugge verso l’Est
La
grandine del Diavolo s’infrange
Al
clangore spezzato della catena
Nel
cortile, e un’Ombra scavalca
A grandi
passi i colli delle Langhe.
TRENO DI
BANLIEUE
Il treno
che dalla banlieue porta a Parigi
trasporta
il tuo viso dolce ed altero
attraversa
stazioni affogate vetri rotti
e
cartacce, sputi, masticate gomme
schiacciate
sull’asfalto delle pensiline;
e ad
ogni stazione siamo sempre più vecchi
le rughe
si aggiungono sotto i tuoi occhi
e sul
tenero collo, e noi viaggiamo ancora
verso
Parigi chissà se un giorno arriveremo
alle
rutilanti luci di boulevard Haussmann
la gioia
cieca sempre uguale delle vetrine
dei
banchi profumati e le commesse irreali
ah!
Parigi non la raggiungeremo mai
invecchieremo
su questo vagone
a prova
di vandali trasporta sogni falliti
squallore
di vite alla ricerca del nulla
ed il
tuo viso è ormai un ricordo
le tue
amiche sono già scese alla prima
stazione,
e noi continuiamo a guardarci
senza
vederci, a sorridenti telefonare
nel
vagone sempre più vuoto.