Carmelo
Consoli
è
nato
nel 1946 a
Catania,
vive
a
lavora
a
Firenze
sua
città
di
adozione.
Le sue raccolte di poesia: Il
Canto
dell'eremita
(Ibiskos
Ulivieri,
2005), Percorsi
quotidiani
(Bastogi,
2006),
Eppure
mi
sfiorano
le
stelle
(Bastogi,
2008), Strade
con
vista
paradiso
(Edizioni
del
Leone,
2009), Cortometraggi
(Edizioni
del
Leone,
2011), L'Ape
e
il
calabrone
(Edizioni
del
Leone
2012), La
solitudine
dei
metrò
(Biblioteca
dei
leoni,
2014). Altre pubblicazioni: Un
amore
chiamato
Firenze
(2009),
Meraviglia
dolceamara
(2011),
Ballo
da
solo
(2012),
Sensi
e
controsensi
(2104).
Tradotto in francese, è presente
in
varie
antologie
poetiche
tra
cui
“Evoluzione
delle
forme
poetiche,
la migliore
produzione
letteraria
dell'ultimo
ventennio
1990-2012”
(Kairos). Ha
tradotto
Jacques
Prevert
e
Jean
Genet
e ha curato
la
presentazione
in
Italia
della
poesia
rumena
del
novecento.
È
presidente
della
“Camerata
dei
poeti
di
Firenze”.
Web
www.consolicarmelo.weebly.com
Web
www.lacameratadeipoeti.weebly.com
Mail consoli.carmelo@libero.it
POESIE
Lampedusa
Potessi
addolcirla
questa
terra
amara,
restituirla
al
profumo
antico delle
zagare,
allo
stupore
dorato delle
maree
lontane,
fanciullo
perso
tra
calanchi
neri
di
schiume,
tra
capperi
e
ginestre
sgomente d'infinito tra le rocce.
Potessi
ritornare
alla
dolcezza
degli
approdi
di
quattro
vele
all'orizzonte,
nel
canto
sereno
della
risacca,
all'isola
cara
che mi fu madre
di
odorosi silenzi e
speranze d'amore
tra
albe dorate
e
rosati
tramonti.
Tra
bianchi
sentieri
e
fumide
campagne
adesso
ho perso
la
mia
ombra
solitaria
tra
polvere e mare nelle
controre assolate,
per
unirmi
a
vite
sconosciute
in
un
grido
di
fame
e
libertà.
Ho
lasciato
nel legno
marcio
dei
barconi,
nelle
misere
spoglie
alla
deriva
il
canto di
marine
luccicanti,
gli
orizzonti
colmi
di
stelle
e
l'illusione
che oltre il filo azzurro
dei
confini ci fossero mondi
favolosi,
uomini
uniti
da un
sogno
di
pace
e
dignità.
E
ora
potessi
addolcirla questa
terra
amara,
con
la
fragranza
antica
delle
piane,
l'odore
buono
del
pane,
del
fumo
dei
camini.
Renderla
l'Itaca
preziosa
che
spunta
dalle
acque
della
morte
e
sorride
di
vigne,
ulivi,
piane
colme
di
grano
e
di
pietà.
Potessi
tornare
al
tempo
dei
cieli
immensi
senza
guerre,
mescolare
la
meraviglia
che
sorgeva
dalle
onde
con
il
coro
di
dolore
di
infinite
processioni
a
un
passo
ormai
dall'isola
felice,
la
prua
in
vista
del
candore
dei
gelsomini.
Dalle
torri
fumarie
Quassù
dalle
torri
fumarie
adesso
è
la
voce
dei
megafoni
a
squarciare
la
valle;
i
fumi
sciolti nelle
inutili
attese,
il
cielo
che quasi si tocca,
il
vento una furia sui
volti, tra le bandiere.
È
così
da
mesi.
Da
quassù
mai
avremmo pensato
che
fosse
tanto dolce
il
pendio
dei
colli,
tanto
amaro
il
silenzio
delle
sirene;
stupiscono
le
trine
rosa
dei
tramonti,
nelle
notti
le
tende
preparate
sono
lucciole tremule
gonfie di speranze.
È
così
da
mesi
col
coltello
tra
i
denti
e
la
nostalgia
dei
figli
annidati
sul
cuore
spento
delle
fonderie,
nelle
malinconie
dei
torni,
delle
presse
a
un
passo
dalla
luna,
nel
volo
dei
merli.
Non
avremmo
mai
creduto
di
arrampicarci
un
giorno
nella
vertigine
dei
venti
metri
in
un ceruleo vuoto di
orizzonti,
scalare
metro dopo metro
il cilindro dei mattoni
fino
in
cima
nell'aria sospesa dei giorni di lavoro
a
sventolare
la
dignità
finita
nel
macero
dei
sogni.
È
così
da
mesi
tra
funi
e carrucole, il
saliscendi delle
ceste
per
la magra colazione
nello
stupore
delle
albe,
delle
stelle,
nel
coro
delle
mogli
giù
nei
cementi
del
piazzale.
Quassù
a
un
passo
dalla
luna
avvolti
in
un
giro
di
striscioni
con
la
voce
finita,
la
barba
lunga
resistiamo
come
aquile
tenaci sopra i capannoni
decisi
a non mollare il
nido
sottile
della
vita.
Ritorno
a
Lachea
Da
qua
salpammo argonauti
di
assolate giovinezze ed
era
la
sfida,
l'azzardo
oltre
i
confini
dell'isola
felice.
Lasciammo
ambrate
sponde
e
la
promessa
fu
rivedere bianche dimore, amori
cari,
l'oro
dei campi.
Oggi
ritorno
a
te
Lachea.
Porto
la mia
odissea,
il
peso
degli
anni
sulle
spalle,
freddi
inverni
nelle
tasche,
anonime
città
nel
cuore.
Vengo
da
fabbriche
lontane,
da
terre
di
odi
e
indifferenze.
Giungo
dalla
solitudine
degli
uomini
nel
disincanto
d'una
vita
di
palazzi.
Io
non
sono
l'Ulisse
che
aspettavi
intrecciando
nell'attesa
filanti
comete,
non
ho
arco né frecce da scoccare
e
porto
il
sogno
svanito
di
me
stesso,
sconfitto
guerriero
tra
capannoni
e
metrò.
Tu
non
sei
l'Itaca
promessa
che
lasciai
quando
i
cieli
erano a un palmo dalla testa,
gli
amici
due
e
infiniti
i
giardini di limoni,
gelsomini,
tre le case
sulla piana.
Nessuno
più
mi
riconosce
e
altri
cementi
coprono
campagne;
infinite
processioni
di
migranti
toccano
la riva, gridano
fame
e
libertà.
Finisce
qui
la
nostra
storia.
Noi
tramontiamo,
dimenticate
stelle
in
un
aroma
antico
di
zagare,
nella
meraviglia
dei
giorni
che ci videro
luminosi
approdi e
avventurosi eroi.
Il
tempo
che
verrà
Il
tempo
che
verrà
sarà
una
corolla
rosa
sempre al
centro
della
tavola
triste,
la
foto
dei
vent’anni
all’ingresso,
il
primo
bacio
nella
rugiada
mattutina,
quello
della
buonanotte
stellata.
Per
te
ancora
l’amore
nelle
stanze,
le
favole,
i
segreti
che
sapevamo
quel
sorriso
che
voleva
dire
t’amo,
e
un'altra
vita
di
dolci
anni
ancora
leggeri,
ancora
tanti.
Tutto
come
prima
come
se
la
morte
fosse
stato
uno
scherzo,
l’incubo
di
un
sogno,
uno
sgradevole
inganno.
Con
te
la
colazione,
il
pranzo,
le
passeggiate
nell’
Oltrarno,
la
folla
dei
supermercati, le
autostrade.
Tutto
uguale
per
te,
con
te
come
se
la
morte
fosse
stata
uno
scherzo,
l’incubo
di
un
sogno,
uno
sgradevole
inganno.
Quadrato
otto,
fila
settantaquattro
Ciao
Franca,
amata
sposa
ti
lascio
tra
Martina
e
Salvatore
altre
vite,
altre
storie,
altri
anni
di
sogni
negli
occhi.
A
destro
un
fiore
di
campo
a
sinistra
di
rose
e
lilium
un
mazzo.
Vi
lascio.
Quante
cose
avrete
da
raccontarvi
nel
vento
lieve
di
maggio!
E
di
noi
vivi
cosa
direte?
Per
noi
che
siamo
spenti
nel
dolore,
persi
nei
ricordi
solo
foto
sorrisi,
colori
sbiaditi,
fragranze di
stagione.
Vi
lascio
al
quadrato
otto,
alla
fila
settantaquattro
all’istante
radioso
del
volto
terreno,
a
Dio
segreto,
al
cielo
lontano,
al
vostro
parlottare
di
anime
serene.
Vi
lascio
a
domani,
a
chissà
quando;
un
saluto
a
voi
angeli di
cimiteri,
tombe,
ai
vostri
soliti
occhi
luminosi
nell’attesa
di
vederci
sbucare
dai
quadrati,
dalle
file,
dalle
pene
della
terra.
Borgo
marino
Una
sull’altra
si
guardano
dai
balconi
casucce
rosse e marroni,
innamorate
dei gerani.
L’una contro l'altra
si
ammassano
azzurre
barche
e
chiglie scure
di
burrasche
contro
muretti
di
sole.
Uno dopo l’altro
si
stirano pigri
gatti
salmastri
tra
un giro
di
reti e di nasse.
Ad
uno ad uno
i
vecchi dalle pipe fumanti
scendono
alle
soglie del mare,
a
scaldarsi il cuore
in
un’ orizzonte di vele
che
lento s’apre.
Bourgade
marine
L’une
sur l’autre
se regardent par les balcons
maisonnettes rouges et brunes,
amoureuses des géraniums.
L'un contre l'autre
s’entassent bateaux bleu
et quilles sombres
de tempêtes
contre murettes
de soleil.
L'un après l'autre
s’étirent paresseux
chats saumâtre
entre un
tour
de filets et de nasses.
Un par un
les vieux aux pipes
fumantes
dessendent
jusqu’au seuil de
la mer,
pour réchauffer leurs cœurs
dans un horizon de voiles
qui s’ouvre lentement.
Le
temps
qui
viendra
Le
temps
qui
viendra
sera
une
corolle
rose
toujours
au
centre
de
la
table
triste,
la
photo
de
nos
vingt
ans
à
l’entrée,
le
premier
baiser
dans
la
rosée
du
matin,
celui
de
la
bonne
nuit
étoilée.
Avec toi l’amour encore dans la chambre,
les fables, les secrets que nous connaissions
ce sourire qui voulait dire je t'aime,
et ancore une vie de douces années
encore légers, encore nombreux.
Tout comme avant
comme si la mort
n’avait été qu’une blague,
le cauchemar d'un rêve,
un mauvais tour.
Avec toi le petit déjeuner,
le déjeuner, les promenades sur l’Arno,
la foule des supermarchés, les autoroutes.
Tout
serait
pareil
pour
toi,
avec
toi,
comme
si
la
mort
n’avait
été
qu’une
blague,
le
cauchemar
d'un
rêve,
un
mauvais
tour...
Carré
huit,
rangée
soixante
quatorze
Bonjour
Franca,
épouse
bien-aimée!
Je
te
laisse
entre
Martina
et
Salvatore
d'autres
vies,
d'autres
histoires,
d’autres
années
de
rêves
pleins
les
yeux.
À droite, un champ de fleurs
à gauche, de roses et de lys un bouquet.
Je vous laisse.
Combien de choses aurez-vous à vous dire
dans la brise légère du mois de mai!
Et de nous vivants que direz-vous?
Pour nous qui sommes plongés dans la douleur,
perdus dans les souvenirs, seulement photos sourires,
couleurs délavées, parfums de saison.
Je vous laisse
au carré huit, rangée soixante quatorze
à l’instant radieux du visage terrien,
au Dieu secret, au ciel lointain,
au bavardage de vos âmes sereines.
Je vous laisse
à demain, qui sait quand;
mes salutations à vous anges de cimetières, tombes,
à vos yeux brillants habituels
dans l’attente de nous voir sortir
des carrés, des rangées,
des peines de la terre.
(trad. Maria Salamone)