La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Anna Maria Carpi


 

Anna Maria Carpi, nata a Milano nel 1939, ha insegnato letteratura tedesca all’Università di Venezia, attualmente insegna traduzione letteraria dal tedesco alla Statale di Milano. È autrice delle raccolte di poesia: A morte Talleyrand (Campanotto, 1993, Premio Pisa 1993, Premio Valeri 1994), Compagni corpi. Tutte le poesie 1992-2002 (2004, 22005), E tu fra i due chi sei (Scheiwiller, 2007), L’asso nella neve. Poesie 1990-2010 (Transeuropa, 2011), Quando avrò tempo. Poesie 2010-2012 (Transeuropa, 2013), E io che intanto parlo. Poesie 1990-2015 (Marcos y Marcos, 2016): dei romanzi Racconto di gioia e di nebbia (Saggiatore, 1995), E sarai per sempre giovane (Bollati, 1996; Forever young, Rowohlt, Amburgo 1997), Il principe scarlatto (Baldini Tartaruga, 2002), Un inquieto batter d’ali. Vita di H.v.Kleist (Mondadori, 2005, Kleist. Ein Leben, Insel, Berlino 2011) e Il mio nome era un altro (racconti, Giulio Perrone 2013). È traduttrice della lirica di Nietzsche, di Gottfried Benn, di Durs Grünbein, di Heiner Müller e di Michael Krüger. Nel 2011 ha curato il Meridiano delle Opere di Kleist. Sue poesie tradotte su "Akzente" (Monaco), 2001 e 2011.

 

Sito ufficiale    www.annamariacarpi.org


1

una madre io l’ho avuta,

viva ardente

sempre via con la mente

inetta a vivere.

Sarà stata poi lei? Mai le ho dormito in grembo.

Era un uccello

che migrava

con le ali tarpate.

 

Così io non ho misericordia di me stessa,

e non ho niente che mi abbracci dentro.

2010



2

io cialtrona che ho tempo e qualche soldo,

io che scrivo

ed è pura superbia, lo so bene.

 

Viene sera e mi siedo, tavola apparecchiata,

il tovagliolo bianco, il piatto caldo.

Chi immagina a quest’ora

che non ho dove,

che non so chi sono

che non so cosa voglio –

tutto così infantile e sciagurato?

 

Basterebbe uno solo

che mi parlasse o parlasse di me.

Ma il mio compagno è assorto

o tace o parla d’altro

e tutto tace fuori sul cortile,

qualche finestra accesa,

gente a cena.

Lo so, nelle parole che scambiamo,

poche, casuali, è l’asciutto il sicuro

la salvezza.

Io-sciagura, io mio unico male,

basta, basta con me.

2011



3

era l’ultima cena, lo sapevo,

pallida luce fuori, qualche pioppo,

dentro nude pareti

di un locale da poveri in provincia.

Anche loro, i miei dodici, si sono messi a tavola

e io fra loro, io uomo dell’occhio.

Ma la più parte è ignota,

brava gente, famiglie,

tutti affamati.

Io non li ho radunati, è una casuale

compagnia di viaggianti.

Sorridono le bocche – chi è cattivo?! –

ma sulle facce hanno

un innocente bruto “io sono io”.

Dio! e non lo sanno.

E nemmeno i miei dodici io li ho scelti,

strada facendo

mi si sono accodati.

Che avevano da fare?

Come tutti gli umani, la fatica

del pane quotidiano e niente altro,

niente domande di perché o di senso.

O forse io li ho chiamati

per la paura di restare solo,

se nessuno ti ascolta non ci sei.

Esserci, star con gli altri,

far le cose di sempre come loro,

o cara

o cara abitudine alla vita.

 

Fuori i pioppi stormiscono,

si sfogano gli uccelli,

e qui dentro le bocche, tutti parlano.

Io quel che ho dentro non lo posso dire.

Se io a Pietro dicessi cosa penso

quando apre bocca dalla sua rozzezza,

e a Giovanni quale debolezza

è preferirlo agli altri solo perché mi adora

e a Matteo che mi urta

quel vacuo volto di ex cambiavaluta

e a Tommaso quanto mi delude

quel suo toccar con mano altrimenti non crede.

Io non li amo.

Ama il prossimo tuo come te stesso:

non ero in me quando l’ho inventato.

Forse avevo bevuto, ero esaltato

da un bel tramonto, i raggi d’oro,

l’ultimo sole che riempiva la stanza.

Ma chi ci ha fatto caso? Non riflettono.

Era una cosa nuova e l’hanno presa

come oro colato.

Soltanto Giuda c’è che fa sul serio,

laggiù nell’angolo, ora alza il bicchiere,

leva un brindisi a che? Alla verità:

che il prossimo non c’è e nessuno ha nessuno

di cui fidarsi.

Solo Giuda è vero.

Amici, amici quali,

se quel che sento mi varcasse le labbra,

ah sarebbe finita col dio in terra.

Non posso che mentire

a questa brava gente che rattrista il mio occhio,

il mio crudele amore per la bellezza.

Non ho che benedire il pane e il vino

e dire su mangiate, ecco

il mio corpo, il sangue e fate questo

in memoria di me.

 

Lo faranno.

Le membra informi, i piedi sgangherati,

le calvizie, le pance, brame e ignavia,

non uno che non speri

in parole solenni, gesti sacri,

di peso vogliono essere salvati

senza far nulla: basta non pensare,

vedono solo ciò che hanno nel piatto.

 

Padre, padre celeste, mi hai mandato

a salvarli e ora mi abbandoni?

2008


4

qui sul mio tavolo:

ho la luce accesa,

una tazza tedesca di Bayreuth,

le biro e nella scatola

che ho foderato io di carta a fiori

la gomma il temperino

il rotolo di scotch la cucitrice,

Rapid One, è svedese.

 

Guardali, uno ad uno,

non pensare, non muoverti.

Solo un metro più sotto

c’è la disperazione.

 

Ancora un’ora, poi berrai qualcosa,

poi guarderai le mail, il telegiornale,

poi qualcuno telefona.

2011






5

sorelle barche nella luce lunare,

ancorate qua sotto, nella baia,

le prue obbedienti al vento,

il vento muto della notte

che c’è ma non si sente.

La risacca tace, c’è solo uno sciacquio

da qualche anfratto buio della sponda.

Da millenni nella notte di giugno

c’è questa pace.

O fossi io quella babbuccia bianca

addossata alle altre,

alle sorelle,

a fare come loro.

2011

 





6


È DA UN SUONO REMOTO

dalla casa, dalla stanza in fondo,

o è un mio tremito interno

o è quel giovane ailanto

che s'agita là fuori, all'imbocco del parco,

il selvatico che alligna dappertutto

senza riguardi.

 

Di dove viene che non la vedo,

questa speranza

io non so in che cosa,

questa gioia improvvisa

fuori del cuore,

quest'aliena che canta

la sua infinita ragione d'esistere?

2012





7

HAPPY HOUR

Una vita sola? Io so che ce n'è un'altra:

sarà come stasera,

questo caffè dentro la stazione

e la pioggia che lucida il piazzale

e il vai e vieni di colori e di ombrelli.

Caldo e voci all'interno -

tu cosa bevi? e tu? Sempre lo stesso?

Salute!

Salute a te, e dimmi come stai.

Tu mi ascolti la faccia tra le mani

e io ti ascolto con i cinque sensi

e questa sera non andiamo a casa.

Quel che diciamo - cose da niente,

ma ritorna il candore

e la voglia di ridere

e una giovane smania di consacrazioni.

2013







8

L'OLEANDRO ROSA al di là del cancello

poi c'è il verde il giardino

il bianco di una casa.

In una porta accucciato sul gradino

un ragazzo suona l'armonica a intermittenze.

Io dentro, in casa, io nel mio letto,

io e il soffitto.

Io? Che cos'è?

Il resto di un'antica credenza,

anima si chiamava, daimon, identità, farfalla,

e questa mia svagata

era amica del mondo,

erano amanti.

Ritorna,

o bella superstizione dell'amore.

(2012)







9

SCROSCIA L'ACQUA sincera

fredda calda obbediente

e schizza per il bagno fino agli allegri led.

Care mensole colme di sciocchezze,

asciugamani bianchi

dove mi nascondo

a occhi chiusi

e non vedo più niente.

 

Sono io quel volto nello specchio?

Un sembiante il caso lo dà a ognuno,

ma se lo fissi e pensi "sono io"

ti fa impazzire.

(2010)







10


                                    a Bert Brecht

non è nota né voce, solo un punto

nel totale silenzio delle quattro di notte.

Qualcuno si è svegliato,

ma forse aveva solo aperto un occhio

e si è riaddormentato.

C’è come me chi ha sonno,

chi si volta dall’altra parte.

Poi un fischio, ma non ne sono certa. Sarà lui

o qualche insonne umano che già dice “al lavoro!”?

Poi esplode una curva melodiosa,

un incanto, un punto di domanda,

pura bellezza,

l’invisibile chiede: siete vivi, fratelli?

Risponde un pigolio: i passeri poltroni.

 

E’ l’alba, in una buia stanza d’ospedale,

novecentocinquantasei, Berlino.

Nulla

mi può mancare se io sono mancato”

pensa B.B. – è agli ultimi e lo sa –

ma solo adesso riesco

a rallegrarmi

d’ogni canto di merlo – anche dopo di me”.

(2008)