Carla
BARONI PARMIANI
Carla Baroni Parmiani è nata nel 1941 a Cologna Veneta in provincia di Verona e vive a Ferrara. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Lo zufolo del Dio silvano (Sovera, 2002), Mi giudichi sol Dio e mi perdoni (Schifanoia, 2003), Variate Iterazioni (Bastogi, 2006), Origami di stoffa (Bastogi, 2007), Spazi della memoria (Bastogi, 2009), Il treno corre (Edizioni ETS, 2010), L’Osteria del Cavallo (Bastogi, 2010). Rose di luce (Bastogi, 2011), Canti d’amore per San Valentino (Panda, 2012), Versi d’ottobre (Edizioni Confronto, 2012), Nel firmamento acceso delle stelle (Edizioni Kolibris, 2013), Ed ora in forma antica vo rimando (Edizioni Kolibris, 2014), Il segreto di Dafne (Blu di Prussia, 2015), La Rina, Classe 1910 (Edizioni ETS, 2016), Oltre la siepe buia dei pensieri (Blu di Prussia, 2017), Dialoghi interrotti (Edizioni ETS, 2017), Scampoli di vita (The Writer Edizioni, 2018), Dove Fetonte imbizzarrì i cavalli (Edizioni Stravagario, 2019), Del otoño las hojas (Benilde Ediciones, 2020), Un anno d’amore (Edizioni Stravagario, 2020), La città dolente (Caramanica Editore, 2020), Passi scelti del Vangelo di san Luca in endecasillabi (The Writer Edizioni Ass., 2020), SATURazione poetica (Edizioni Stravagario, 2020), Le briciole di Pollicino (The Writer Edizioni Ass., 2021), Y a ti respondo (Benilde Ediciones, 2021) a quattro mani con Pasquale Balestriere, E il vento va a intessere carole (The Writer Edizioni Ass., 2021), La torba dissepolta dei miei giorni (The Writer Edizioni Ass., 2021), La cintura di Orione (The Writer Edizioni Ass., 2022) Vento, mio vento, d’ogni mia stagione (La Otra, 2022), La stagione dell’uva (The Writer Edizioni Ass., 2022) La contessa Lara (The Writer Edizioni Ass., 2022), Hot machine (The Writer Edizioni Ass., 2022), L’occhio del gallo (The Writer Edizioni Ass., 2023). È inoltre autrice insieme alla madre Rina Buroni di una traduzione delle Bucoliche di Virgilio in endecasillabi (Nuovecarte, 2018) e ha pubblicato i libri per l’infanzia in versi: La bottega delle filastrocche (Festina Lente Edizioni, 2014), Filastrocche della buona notte (Helicon, 2016) e Cinque bambini senza la mamma (The Writer Edizioni, 2018), nonchè di due libri di prosa Un po’ per celia… (The Writer Edizioni, 2017) e Detti e motti e loro origine (Edizioni Stravagario, 2019).
POESIE
da LO ZUFOLO DEL DIO SILVANO
XIII
No, era proprio un Dio della mia terra,
odorava di erbe, fiori e fieno
non di salmastro oppur di tamerici
che crescono curvate sulle dune.
Con un tralcio di vite s’adornava
non con la salicornia che rosseggia
sulla sabbia gemmata di conchiglie.
E suonava con zufolo di canna
come pastore a guardia dell’armento:
il canto dolce di malinconia
non rievocava il frangersi dell’onda.
No, era proprio un Dio della mia terra.
da MI GIUDICHI SOL DIO E MI PERDONI
III
Madre: Io custode di vigne e di capretti
———-come innocente figlia di Giudea
———-gli antichi canti intonerò nel giorno
———-riservato per me alla Tua gloria,
———-io ritornata vergine più pura
———-d’un giglio colto al limitar d’un fosso,
———-con Te, mio Dio, m’abbraccerò per sempre
———-e genuflessa con la bianca veste
———-entrerò nella luce dell’Eterno.
———-Dio dove sei? Dimmi che matura
———-è l’uva che per Te ho preparato,
———-dimmi che sei con me nell’azzimo
———-pane che inghiotto, che non è peccato
———-questo mio delirare nella notte
———-che si fa giorno e nel lungo giorno
———-più buio e tetro della notte stessa.
———-Dimmelo, dammi un segno che io veda
———-perché la Fede e la Speranza sono
———-e madre e figlia e figlia e madre insieme
———-le uniche luci nell’oscuro mondo.
da ORIGAMI DI STOFFA
So che ritornerai.
Non so dove né quando,
se qui o sui tuoi colli verdeggianti
in cui il tordo s’appiatta tra il fogliame
alla ricerca avida e insolente
dell’uve liquorose del recioto.
Invano tento ora di curare
i rossi tuoi gerani, una farfalla
li sta uccidendo tutti a poco a poco.
Ma una nuova lavanda ha preso forza
come quella portata da Riccione.
Forse vuoi che ricordi i tempi buoni
i tempi di progetti ed illusioni.
Era riposta in me ogni speranza.
Eppure per volare, lo sapevi,
occorrono ali forti ed allenate.
Tu quelle ali le tarpasti presto
credendo che bastassero le tue
perché temevi un prossimo abbandono.
E non hai mai capito
quanti no abbia detto nella vita
per starti sempre ed in silenzio accanto.
da L’OSTERIA DEL CAVALLO
Alcide questa sera si è concesso
e Merope esporrebbe il suo lenzuolo
se qualche traccia di quel raro amplesso
fosse rimasta sulla bianca tela
come si fa nel Sud al verginale
imene lacerato della sposa.
O quanti polli a questo sacrificio
votati per l’onore compromesso!
Sfatta Merope incontra la perpetua
del vecchio prete quello ch’è in pensione:
“Quanto son stanca, non ho chiuso occhio,
non mi lasciò stanotte Alcide in pace”.
“Ché stava male?” “No stava benone”.
E un sorrisetto come “Mi capite?”
aleggia sulle labbra che son vizze.
Ma l’altra non capisce o ne fa finta
e se ne parte senza fare mossa.
“Tieni zitella e portatelo a casa
che non conosci com’è fatto un uomo”.
E s’allontana Merope ancheggiando.
Nella sala di sopra affumicata,
in barba dei divieti, come aringa
si gioca onesto a briscola o a scopone,
ma giù di sotto tra i severi tini
impera la bassetta e il faraone.
Tre colpi in fretta ed uno distanziato
sul pavimento in legno che rimbomba
e il tavolo da gioco è già sparito
e i giocatori sono tutti in fila
a turno per andare alla toilette.
“Che ci metti il diuretico Giosuè
dentro il tuo vino?” tuona il maresciallo
radunando i suoi uomini e ridendo
appena sale sopra la sua alfetta.
“Trovato niente?”, “Niente capitano”
ed il giro prosegue da routine.
da ROSE DI LUCE
“Berrai alle mammelle della luce”
Chi disse questo o press’a poco questo?
Ora mi sfugge ché il mio ricordare
mi sembra quel vapore sopra i vetri
che poi in mille rivoli s’incrina
e non rimane impresso sulla lastra
se non quel filo d’acqua che impedisce
a dell’altro respiro di posarsi.
S’accovaccia da sempre la memoria
sui gradini fanciulli della vita
e da qui non si alza innamorata
di quel nostro sentire tanto strano
che dà voce alle piante e ad ogni cosa.
Ed è miele per noi preso dal favo
senza punture d’api o d’altri insetti.
Dopo si farà ortica la bardana
riempiendoci le nari del suo odore
e polvere di fuoco avranno gli occhi
per quel seguire gli orizzonti vani…
ecco mi sembra adesso fosse Nietzsche
coi suoi vaneggiamenti e fantasie
dall’ali già mozzate, ali d’un folle
cui infido morbo consumava il senno.
Io non berrò la luce come tu
non bevi il buio falsa incantatrice
che di lusinghe sterili mi copri.
Vattene via lontano, vade retro
maledetta megera degli inganni.
Infermiera, infermiera ho sete, sete…
da NEL FIRMAMENTO ACCESO DELLE STELLE
Alzate l’architrave carpentieri
Alzate l’architrave carpentieri
perché rubi dal cielo le comete
per farmene una veste scintillante
o una stola di polvere d’argento
io donna ambigua dal sorriso incerto
che nasconde nell’intimo i pensieri.
Gioco coi verbi, dico e poi disdico
m’arresto per fuggir subito dopo
instabile nel riso e nel lamento.
Alzate l’architrave carpentieri,
lucciola sono di distanze estreme
falena che si nutre all’altrui lume
girando intorno, orbita fallace
d’un desiderio solo.
E non avrò che un cero
dallo stoppino fragile, uno spago
una corda restia a srotolarsi
per farmi donna libera di dire
gli ampi spazi che l’anima promana,
mondi diversi, inusitati suoni…
Alzate l’architrave carpentieri
io non sto dentro ad una sola stanza.
Estate bionda
Estate bionda, alla tua fatica
io non mi arresi mai completamente.
Legata a una stagione senza età
mai consumata con i bocci in fiore
non aperti né all’austro né al grecale
in selve mi inoltrai col desiderio
di un papavero rosso alla mia sponda.
E nell’intrigo oscuro crebbi felci,
umide felci spose già ai cipressi
dove il silenzio arresta la parola.
Così non ebbi spighe od uve acerbe
non ebbi la cicala a canticchiare
le note cupe della tua passione:
c’erano bocci chiusi sui miei rami,
c’era l’attesa
di un fiore ormai reciso dalla falce.
L’arco del giorno si conclude, a turno
vanno le gazze a scuotere l’ulivo:
qualche frutto ancor cade ma è marcito.
Non c’è più nulla adesso da godere
le nubi si accartocciano a ringhiera
a coprire ogni stella in firmamento
ma io attendo sempre il fiore rosso
che mi schiuda le labbra nella sera.
Perdonami, mio caro, se per gioco
Perdonami, mio caro, se per gioco
in agrodolce mi comporto spesso
mescolando lo zucchero al limone.
Però protesto che tu metta invece
l’arsenico nel latte a colazione.
È morto il gatto, povera bestiola,
con miagolii e ruggiti da leone.
da LA RINA, CLASSE 1910
Villeggiatura estiva
Monsù Ferrè adesso un poco osa
mette le mani alla Cesira ai fianchi
ma subito le toglie: l’Ingegnere
che cosa potrà dire l’Ingegnere?
A lui egli affidato ha la famiglia
e la Cesira è una di famiglia.
Come sarebbe bello farla sua
in mezzo al grano oppure nelle stoppie
o invece tra i filari al grignolino
la bocca dolce col sapor dell’uva
le chiome adesso strette nella treccia
sciolte alle spalle, gli occhi rovesciati
e lui succhia i capezzoli, fa spazio
con la mano nervosa tra le cosce…
È mezzogiorno i bimbi son tornati
tra poco sarà pronto il desinare
ma la Rina non c’è, dov’è la Rina?
E la Cesira già si sente in colpa
per non aver a dovere sorvegliato
presa anche lei da desideri impuri.
Ben altro per la testa, turbamenti
affondati da tempo nel ricordo.
Poi la Rina ritorna, col cestello
colmo di funghi, gli occhi scintillanti.
La Cesira non fiata, non la sgrida:
lingua tagliente e lunga ha la monella!
Ora tutti s’apprestano a mangiare.
Monsù Ferrè con aria indifferente
allunga il piede e poi lo struscia piano
contro il piede di lei sotto la tavola.
Avvampa la Cesira come brace…
da CANTI D’AMORE PER SAN VALENTINO
Mi son fatta per te strega di giugno
Mi son fatta per te strega di giugno
per raccogliere l’aglio e la lavanda
nella notte più corta dell’estate.
Quanti riti per fari innamorare
quanti lacci amorosi ho preparato
ma tu, sveglio, ti fermi ad ammirare
lassù in alto i fuochi d’artificio
e non vedi me lucciola di campo
che rigira ormai spenta attorno a te.
Amarti è forse gioco di follia
Amarti è forse gioco di follia
ma ogni mia fibra vibra al tuo contatto
se solo tu mi sfiori con la mano
e la tua voce scende liquefatta
come metallo ardente nelle vene
quando mi parli od anche mi saluti.
Non trovarmi l’antidoto o il vaccino:
voglio morir di questa malattia.
da SCAMPOLI DI VITA
25 febbraio
Sono invertiti i ruoli, io la madre
mentre la madre è diventata figlia
così indifesa, rannicchiata forse
come un piccino nell’utero materno
ma ancor non doma, ancora l’occhio spazia
lontano oltre le inviolate cime
a cui si affida il vecchio condottiero
per la vittoria all’ultima sua guerra.
Non è un lamento il suo, è una rampogna
all’unico soldato che la segue,
un Sancio Panza zoppo e un Don Chisciotte
sperduti in un deserto di menzogne.
Ma poi ritorna in sé e già mi chiama.
“Mamma” mi chiama ed io la imbocco adagio
paga
di questa figlia mia fuori stagione.
17 marzo
Davvero cosa strana questa figlia
che non cresce e nemmeno progredisce
anzi ogni giorno di più affievolisce
la sua capacità d’esser nel mondo.
Sono per lei il tramite, la parola
quando non riesce a esprimersi corretta,
sono l’udito e poi la vista e il tatto.
Tutto, sono per lei, lo schermo grande
su cui proietta ciò che ancora avverte
e dal quale riceve
le estreme sensazioni della vita.
Piccola, grande mia con te mi sento
solida barca in mezzo alla corrente,
scafo che sa affrontare le bufere
per quell’ancora vecchia, rugginosa
che non la lascia andare alla deriva.
TRADUZIONI
Ouvre-moi, mon Dieu, ta porte.
Oh mon Dieu, ouvre moi, ouvre moi ta porte!
et les jambes boiteuses que j’ai eu en sorte
libres seront des carcans et des épines
qui m’ont éloignée des voisins, des voisines.
Triste toujours je voyais les autres qui dansaient
quand mes pieds et mes rêves toujours il boitaient.
Et si ma vie j’ai cachée dans le silence
mes lourds pas ils criaient ma souffrance.
J’ai franchi chaque nuit sans les mots d’un amant
et les fêtes de Noël sans le rire d’un enfant.
J’ai eu la compagnie d’un très pauvre chien
mais peut-être que je n’ais pas lui fait du bien.
Oh mon Dieu, j’n’aurais pas de riche cercueil,
pas de cortège et pas de famille en deuil,
mais j’te prie d’essuyer ma dernière larme.
C’est Toi qui as mis dans mon âme le charme,
c’est Toi qui m’as donné pour frêle armure
le ciel dans les yeux et ma blonde chevelure.
Toi, je l’avoue, tu m’as fait un divin cadeau:
j’écris des rimes, je chante en vers, et ça c’est beau!
Je suis l’eau
Crois-tu de me connaître, vraiment est-que tu crois
que je me plie au vent docile à sa loi?
Moi je suis comme l’eau, je suive la liberté,
tu ne pourra, mon ami, vaincre ma fierté.
L’eau s’engouffre, l’eau jailli et à ça aussi
semblable toujours a été toute ma vie.
Et si parfois l’eau à la terre se lie
elle peut toujours changer de place et de lit,
de la terre au ciel en silence elle voyage
et à son souhait elle quitte chaque nouage,
elle guide la foudre, délie la tonnerre
il n’y a pas de digues si elle est en guerre.
Elle pleure douces larmes dans la mer salée
au mouvement des ondes toujours alliée.
Je suis l’eau, mon ami, toujours je suis
sincère dans le silence, sincère dans les cris.
(Traduzione di Stefano Franchini)