POESIE
Vicolo del porton rosso
c’è un muro di fronte alla finestra
della cucina di casa mia
nel vicolo del porton rosso.
è su quel muro che leggo i continenti
sento i refoli dei venti
le turchesi braccia dei tesori
sventolare sulle terre del galoppo
e vedo agitarsi oceani in tempesta.
proietto lì, sopra i mattoni multicolore,
le direttrici di viaggio della mia età quasi adulta
io che non cresco mai
perché vedo il mondo intero
dentro un pezzo di muro.
(inedito)
da Il Cristo dei poeti
non credo in dio
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.
mi copro il volto con le mani.
non pensavo dentro ci fossero
ancora tanti oggetti di quei giorni.
per quanti mesi è durata questa
pratica dell’umanità…
era una serata più faticosa delle altre?
erano angeli questi?
fuori era l’inferno,
a qualche decina di metri l’acciaio
proseguiva a fondere a centinaia di gradi,
dalle macerie si continuavano a
tirare fuori pezzi di corpi umani.
qui dentro non uno sguardo allarmato,
non una faccia tirata,
solo calma e gentilezza.
erano angeli questi?
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.
copro il mio volto con le mani.
molti di noi si riposavano sulle panche
di legno, vestiti com’erano,
ci chiedevano se volevamo caffè, doccia,
oppure ci abbracciavano e basta.
è questa la carità?
non credo in dio,
nella fede che scuote.
quando io entravo per questa porta
a volte ero coperto di sangue e loro
mi abbracciavano. mi amavano
e si sono presi cura di me.
mi hanno nutrito e massaggiato.
ero morto dalla fatica e da quel che vedevo.
ero morto.
loro mi davano la forza.
erano angeli questi?
non credo in dio,
nella fede che scuote.
quando io entravo per questa porta
di st. paul’s chapel…
sono la mia gente.
questo è il mio posto.
questo è il paradiso.
io non credo in dio,
io credo alla gente di st. paul’s chapel,
credo nella loro aspirazione alla pace.
io credo nelle parole del reverendo
lyndon harris:
what we tried to offer at st. paul’s
was an integrated approach to ministry
where all the needs of the human
being were taken into consideration,
especially the needs of the body.
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.
mi copro il volto con le mani.
ogni giorno una maceria da sollevare,
continuamente una croce da togliere.
sempre quell’odore, quell’infamia
della polvere di amianto e di acciaio.
ogni giorno un occhio in più per piangere,
e i rumori insopportabili delle ruspe
di continuo, un giorno dopo l’altro,
questo lavoro incessante dentro
l’inferno. loro erano là, con noi.
io non credo in dio
credo nella gente di st. paul’ s chapel,
nella loro aspirazione alla pace.
io non credo in dio
io credo nella gente di st. paul’ s chapel,
credo nella loro aspirazione alla pace.
sitting
in a starbucks coffee shop
i see people coming in
and a fleet of cabs
slipping downtown.
i’m on the corner
at this urban simple corner
behind the clean windows
is the only way to keep
in in and out out.
a shape, a style
of that ancient new city
this postmodern middle-age
of contemporary
fence cultures.
inside me i feel what i’ve heard
inside me
up to this exact moment
and outside walking the joy
of clothes on the street or
the burden of my soul
in the eyes and over
the shoulders of people
who come back home
from jobs and opportunities.
i drink coffee and
turn my head around
like a little bird that stopped
his singing
to listen from other trees.
(inedito, in inglese)
da Agosto e Temporali
Brodskij
lo diceva josif brodskij
in una sua conferenza
che questa stanza, proprio questa
– diceva lui –
non è sempre così,
così come la vediamo ora noi;
questa stanza è riempita
per lo più di silenzio
nell’arco delle 24 ore,
io dico che anche per questo
si deve avere rispetto
dignità!, dico rispetto
per il suo silenzio
e se ancora questa stanza
ha una sua disposizione
che può apparire naturale
non si deve stravolgere
troppo.
lo scriveva josif brodskij
che ha vinto il nobel
come tanti l’hanno vinto
e tuttavia sono più quelli
che non lo hanno vinto,
e che comunque hanno scritto
e suonato con le parole,
con le loro serpentine di parole,
magie bicchieri favole
e le altezze delle donne
il loro sguardo
di gioie freschezze
giorni di festa,
e il mare di notte
che è nero, perché
è nero come il mare
che mugghia e poi
spuma bianco e
resta nero a largo
di notte che l’orizzonte
si stempera nel buio
del mare-cielo
tutt’uno divino e santo,
e si diceva del nobel
di brodskij e che
scriveva qualcosa che poi
alla fine ha a che fare col mare
perché introduce un vero
essere del mare
di un mare caldo e forte
come quello di derek w.
mezzo rosso e mezzo nero
come quel mare là, insomma
il suo mare nero
ma anche mezzo rosso.
e lo scriveva josif brodskij
per la mappa del nuovo
mondo di derek
che le civiltà sono qualcosa
di finito, e nella vita di ognuna
viene il tempo in cui il centro
non tiene più, e allora,
quello che le salva,
che salva queste civiltà in declino
(come questa nostra)
questi imperi sottosopra,
quel che le salva dalla disintegrazione
non sono gli eserciti e le legioni,
ma la forza della lingua,
fu così per roma
e per la grecia dell’ellenismo
- voi lo sapete -
e poi alessandro magno....
in questi momenti
lo scriveva josif brodskij
il compito di tenere
di reggere il declino spetta
agli uomini delle province
delle periferie.
la periferia dell’impero
non è il luogo in cui
finisce il mondo, ma
è il luogo dove il mondo canta,
perché alla fine si canta.
e quando josif brodskij
scrive così – e anche fra pochi secondi
che ve ne racconto un’altra delle sue –
lo so perché ha vinto il nobel.
e lo scriveva josif brodskij
che le vere biografie dei poeti
sono come quelle degli uccelli,
i dati vanno ricercati
nei suoni che emettono;
e allora voglio cantare anch’io
e sproloquiare qui davanti a voi
che bevete tranquilli
nelle vostre tiepide case
e che trovate tornando a sera
un cibo caldo e visi amici,
ditemi chi sono io che il mezzo
del cammin di nostra vita
è ciò che non siamo
come cocci aguzzi di bottiglia
che il guardo esclude e poi
pum pum
quella albero secco lassù
e la forza dell’intelligenza
di josif brodskij e di voi
che state seguendo questo sintomatico
armonico ossimorico
rap serenata al sapore di sale
sapore di mare che pisa
non fa la stupida stasera
che azzurro il pomeriggio
e stato troppo azzurro e lungo
per elisa quando margherita
non c’era sulla locomotiva
che buca ancora e a notte
alta e sono sveglio e
il chiodo fisso ora
è come finire questa
vita spericolata che mi fa
continuare a parlare sulla musica
e tutto qui è reso magicamente
soffuso da questa luce
seminotturna seminterrata
e tutto non potrà che andare bene
e anche per il meglio
perché conosciamo le strade
e la luce della notte
e sappiamo dove andare
e abbiamo occhi per guardare
altri occhi e mani per toccare
e orecchie per sentire
e bocche per dire e piedi
per muoversi e siamo
tutti quanti noi puri
e statemi bene e buonanotte
a me a voi, e a tutto il mondo
di cui siamo cittadini
e buonanotte suonatori…..
da En el rojo de Occidente
viaje en autorreflexión
a veces, por la noche
vuelvo los ojos hacia el oeste,
un avión aterriza en Pisa
en la misma dirección de mi coche.
siento un destino que se cumple,
como uno de los sitios
donde iré de una manera u otra.
escogemos una conducción separada,
pero constante,
presente como una fatalidad
que aprendí a reconocer
de los mapas del mundo,
se abren en mitad del tórax
mientras empieza a soplar el viento,
un alma.
(traduzione di Manuel Masini e Stefania Gandolfo)