Antonio Santori è nato a Montreal (Canada) nel 1961. È stato docente di filosofia, poeta, saggista, redattore di riviste letterarie. Ha diretto "Laboratorio", rivista multimediale e telematica di poesia presente su Internet. E’ stato direttore editoriale de "L’Albatro Edizioni". Ha pubblicato: Quei loro incontri… (i Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese) (Antenore 1985, Premio Pavese 1993); Verso la meraviglia d’oro (dono e incoscienza in Nietzsche) (Il Lavoro Editoriale 1990); Infinita (NCE 1990); Albergo a ore (NCE 1992); Saltata (NCE 1996); Pavese e il romanzo tra realtà e mito (Laterza 1999), La linea alba (Marsilio 2007). Ha curato La sfida della ragione (Guaraldi 1996) e Acqua. Storia di un simbolo tra vita e letteratura (Transeuropa 1997). Suo il saggio Il senso religioso nella letteratura del ‘900 (Laterza 2001). È scomparso a Civitanova Marche nel 2007.
da Saltata
Saltata. Sono stata
saltata. Una sera
lui parlerà di me,
dirà: peccato, non averla
mai incontrata,
e berrà vino di Francia
dimenticando ancora
la mia vita.
Riderà, raccontando
di altri libri e di donne
perdute nell’Oceano.
Non mi rimpiangerà.
Io che potevo cambiarla
la sua vita.
Mi ha semplicemente
ignorata.
Ha scorso veloce
la pagina accanto
(il viso infuriato)
chiudendo di scatto
il libro pregiato
in cui sono nata.
*
Avrei preferito non esserci
mai stata.
Nel vento che mi apriva
(mi inseguiva)
inseguivo un’altra pagina
(nell’aria)
che diventava, come me,
una cosa inviolata,
non necessaria.
*
Eppure avrei potuto cambiare
la sua storia. Improvvisarla.
Dentro di me la gioia, l’intesa
sibillina che ci salva,
dentro di me la voglia
dell’attesa (dentro di me)
dentro di me la nostra storia.
*
Dentro di me.
*
Dentro di me la gioia,
la strada silenziosa
senza porta.
Non andare. Non andare.
Non c’era una volta…
*
Tu insegnavi ai ragazzi
la follia. Forse per questo
ti preoccupavi di fingere.
Sognavi versi afatici,
una piccola libreria
da stringere, un sogno
di metallo, denso di cornici.
Avevi compreso di essere
inaudito, di vivere
come i suoni delle radici
o come il senso della corsa
del cavallo, verso il mondo
immenso. Non avevi amici,
se non i tuoni e le stanze
dove a volte ti creavi,
o il giallo furibondo
negli occhi di Euridice
e la borsa in cui stivavi
rivolte e danze.
Non intendevi essere felice.
*
A volte sognavi di entrare
nella pelle, di entrare
dolcemente, freddamente.
Come la pioggia
che scende dentro il mare.
Perché come il mare
sentivi di essere settembre,
di proteggere l’odore
dell’animale ribelle,
sgusciante nell’acqua luminosa.
Non chiedevi l’amore. Sognavi
di inseguirlo nell’aria
sospettosa della terra del Nome,
tra i silenzi delle cose,
dove un giorno hai dormito
come un colore. […]
*
Per questo mi sognavi.
Mi sognavi distesa
come una donna prima
dell’amplesso. Ero io
l’amore? Ero io l’attesa?
Ogni volta mi sentivi
diversa ma mi chiamavi
con lo stesso nome.
Ero la tua cantina, la tua
discesa. La tua vita,
la tua morte, irrisolta.
Così la mattina ti svegliavi
in difesa della tua sorte.
Del tuo mazzo di chiavi,
delle porte che aprivi
e chiudevi, dei tuoi scaltri
colleghi. Mi lasciavi al di là.
Come una storia noiosa,
come il furto del cuore
degli altri. Al di là di te.
Come una cosa.
*
Come una cosa.
Come le cose
del mondo che rimangono
cose. Cose ignote
e sole. Silenziose.
Tu lo sapevi da sempre
che io non ero là
ma nel dolore
delle cose, delle cose
del mondo che rimangono
cose. Io non ero là,
perché il dolore
è nella pagina piena
di cose, di cose ignote
e sole. Silenziose.
Tu lo sapevi da sempre
che io ero il nome
delle cose, nella pagina
infinita e stretta
su di sé, come una cosa.
Tu lo sapevi da sempre
che io ero là, la vita
stretta su di sé,
la dolorosa[…]
*
D’improvviso mi sono guardata.
Le braccia, le gambe
sembravano strade.
Mi sentivo percorsa
ed ero nascosta.
A me stessa, nascosta,
nel ruolo di madre.
Ho provato a parlare
per far nascere il giuoco
di chi attende risposta.
Il giuoco carnale, terroso.
Infernale.
Ho provato a parlare,
rintanata nel suolo di vene
del mio essere madre.
Oh, non ero divisa.
Mi sentivo nascosta.
A me stessa, sotto le strade.[…]
*
Era settembre ed io
volevo essere misteriosa.
Non una cosa
solitaria, una colonna
imperiosa, un diamante
nell’aria.
Volevo essere mancante.
Coperta di pelle,
come una donna.
Sono enorme ma esitante.
Pure volevo essere come
il niente tra le stelle
o come il buio
nelle ciabatte nere
e gialle.
Lei era bella e odorava
di latte e sembrava
una mano. Elegante
e ribelle. Lei diceva guarda
le mie gambe come
sono buffe, la voce
aperta non così rassicurante.
Io correvo, correvo
ero l’erba… Io ero l’erba.
Ed io?[…]
*
Non si sfugge alla pagina scritta.
*
Vedo intorno gli angoli
del foglio e non mi possiedo.
*
Non so se il mio corpo
è una donna,
un timido imbroglio,
un bimbo confuso
in soffitta.
*
Forse me lo chiedo.
*
O forse sono io
l’inutile risposta?[…]
*
Dove sarai adesso?
Forse esci dalla doccia
cercando inutilmente
le ciabatte colorate
e stai pensando
a principesse distratte,
perché è estate
e il giuoco dell’amore
è divertente. E prendi
dalla borsa rossiccia
l’asciugamano, bagnando
le tue carte.
Sento di vederti nell’estate
infinita, non è strano?
Di prevederti.
Ma tu lo sai, siamo matte.
E con certe pretese!
Di cambiare la vita,
di metterla da parte.
Per sentirla soffrire
e farle la corte.
*
Ora guardi la ferita
stupito, ci scommetto,
la tua piccola ferita
sul braccio destro,
immaginando. Come
facevi da bambino
pensando al segreto
nascosto nell’involucro
di gesso.
Tu ora sei per me
quel segreto, al di là
del bianco inespresso.
Dove sarai, dove sarai
adesso?[…]
*
Te ne andavi nelle domeniche
lievi, le strade quasi deserte,
i lampioni ancora accesi,
compravi quattro cinque
giornali sorteggiando.
Ti imponevi di non leggerli,
di attendere il movimento
del mondo, il cui nome
è Arianna. Prendevi un bus
immaginando.
Raggiungevi la casa infinita,
dalle finestre buffe nel loro
grigio, ti stendevi sul letto
stringendo la carta sudata,
ancora immaginando, ti venivano
versi possibili, il cui nome
è Arianna. Quasi parlavano
nel bianco.
Aprivi gli occhi non distinguendo
più il viaggio dal labirinto,
la borsa era lì, con i biglietti
da tempo staccati,
sentivi come un lieve
respiro nell’ombra, tutti
gli anni erano passati.[…]
*
Perché hai temuto di essere
diverso. E hai tentato
segni sulla carta solo
per rinunciare a dire:
Ecco, è così…
E hai sognato alberi di carta
per vantarti di essere fiabesco.
Perché hai pensato di avere
paura di te stesso e per sfida
hai gridato al padre
imperioso: Ho paura…,
rotolandoti come un dispetto
sotto l’albero di pesco.
Perché anche tu sei
un nascosto, un latitante,
sei una cincia, ovunque
nidificante, e assalti
il gesto che non comprendi.
E ogni sera attendi il sonno
per dimenticarti.[…]
*
Avrei voluto sfiorare le tue
gambe, con lingua accaldata
premere sul petto e ingoiarti.
E poi ripensarti mentre
mi guardi e fra te dici
che è strano amarmi.
Avrei voluto piegarmi su di te
e aprirmi, come se la vita
dipendesse da questo, aprirsi,
come se la vita dipendesse
da te mentre dici
che è strano amarmi.
Avrei voluto che tu diventassi
una presenza terribile, in me,
che tu diventassi sangue
e terra. Con superba danza
avrei voluto dire che esisti,
come se la vita fossi tu,
come se tu fossi
la mia stessa esistenza.
Avrei voluto essere un ricordo
d’amore per te ma ora
io non riesco a ricordarmi.[…]
*
Miracoli. Giardini. Tu che rincorri
la nuvola magica. Poi altari. Un ramo
d’olivo e il filo bianco di lana.
Ancora: non arriva nessuno. Ancora:
non è strano? Immagina, mi dico.
Immagina la gara. La stanza.
La penombra.
La spada. E quel crogiuolo di nomi
e di sangue che è il mostro.
Figlio del toro bianco dalla lingua
stregata. Vocabolario sfuggente.
Di parole senza sesso.
Immagina, mi dico, l’immensa
sciarada quando lui colpirà.
Ancora: il filo non si tende.
Ancora: non è strano?
Dove sarai adesso, quale stupida
mano ha sospeso il tuo nome?
Se tu fossi morto…
al di là… Se tu fossi morto
io avrei più un senso?
Appoggiata a questo ingresso.
La mano alzata, buffa,
nel mio cuore.
*
Mi sono addormentata su quest’isola
bianca e non so come sono arrivata
fin qui. Ricordo solo di essere uscita
dalla mia stanza, stupita.
Ma era un sogno. Io sono Arianna.
Un uomo nel sogno mi precedeva.
Là fuori. Era lui che mi aveva
salvata. Lui si era occupato
di me, trascinandomi via.
Ma via da che cosa? Io non ero
morta. Così ho gridato.
L’ho visto voltarsi d’un tratto
poi più nulla. Mi sono svegliata.
*
Qui sono Arianna. E l’uomo
è fuggito sulle navi bianche
o è rimasto lì, voltato, in me.
Lui era lo stesso che aspetto
da sempre, il filo ben stretto
nel pugno. Lui verrà e non sarà
un sogno. Lo ha promesso.
Così mi dirà come sono saltata
fin qui.
Qui sono Arianna, per sempre.[…]
*
[…]Ti chiedevo:
dimmi come si fa, voglio
essere una preda nell’erba.
Non sapevo che tutto accade
sempre nell’invisibile.
Cerca di capire. Io volevo
essere acerba, un grido
appena udibile, quasi
un’assenza[…]
*
[…]Ti chiedevo:
sono io, questa? Io, così
invisibile?
*
Sono io
*
Io?
*
Il poema è un sortilegio
impossibile. Puoi vederlo
tu stesso se distogli
lo sguardo. Cerca
di capire. Tutto insiste
aspettando al di là
della parete, tutto è
da sempre disponibile
e insiste[…]
*
Vedi, qui tutto è già accaduto.
Gli uomini stanno provando
a rilassarsi. Il giorno ha gli occhi
aperti e il sole è un istante.
Fa stare tutti zitti.
Come se davvero non esistessi.
Vedi, anche tu sei distante
e involuto. Irritante, mentre
firmi il tuo patto. Come se
non mi vedessi, come se io
fossi la notte, esatta e perversa,
introversa, come l’unghia del gatto.
Vedi, tutte le parole vivono
ormai lo sfratto, come se
davvero non esistessi, come se
mai avessimo avuto un senso
e qualcuno da sempre
provasse a contarci.
(D’un tratto penso
che se riuscissi a emergere
diventerei pulsante.
Prova a pensarci. Avresti
due cuori. Come tua madre
prima che tu nascessi)[…]
*
Ma è tua o è mia la maschera
bianca, la maschera inquieta
di Arianna?
*
Stanotte ti ho sognato, tu
eri bianco e mi toglievi
il trucco con le mani.
Mani da luna, mani
da ladro. Svegliandomi
ho sentito in me
un respiro, come se
un altro mi vivesse
nel respiro. Così
ho pensato al nostro
piano, al filo appeso
al chiodo del bancone,
come previsto.
Fine del labirinto, fine
del fato.
Ho detto: non puoi
aver perso il filo
del discorso. Il copione
andava letto, non recitato.
*
Che cosa abbiamo sbagliato?
(Lo chiedo anche adesso
al mio fiato mentre cospiriamo)
*
Darti del tu, così.
Non è strano?
Non sono strani anche
i gatti che fuggono,
qui, dentro di me,
e mi dicono: E’ ora?
Ci sono consigli stupendi,
a volte, negli occhi
dei gatti.
E’ ora di andare, lo so.
Ma dove? Qui non ci sono
porte.
Andare dove?
Io non sono la morte.
*
Hai mai pensato
di essere Dio?
Io sì, sempre,
se il filo intrecciato
che la vita
degli uomini omette
è la scrittura infinita.
Tu lo sai, perché come
gli altri lo hai saltato.
Il filo che tiene
e salva la vostra
sortita di marionette
sono io.
Sono io costretta
all’attesa, l’impercorribile,
la dipanata
che anche
se letta è da sempre
saltata.
*
Tu ladrone poeta.
Tu lo sapevi da sempre
che in questa pagina
saltata
è la tua vita.
*
Antonio?
*
Tu con il viso infuriato…
sul bancone dei libri.
Tu ragazzo
distratto
e represso…
*
Antonio…
Dove sarai
adesso?
NCE, 1996 (2° ed. I Quaderni del Battello Ebbro-L’Albatro Edizioni, 2000)
da Infinita
I.
Stanotte abbiamo parlato
di gesti diversi,
di possibili creazioni,
immersi nello spazio
udibile, tra i corpi
assorti nel sonno.
Ho respinto l’idea
di un desiderio mai sazio,
che imponga ribellioni,
Tu hai fatto un cenno
con lo sguardo alla ragazza
che ci dorme accanto
e che tenta verso il confine
l’impossibile richiamo.
"Elena rischia di perdersi",
hai detto infine, e il tuo
disegno di donna
si è mosso (già assonnato)
nella luce del faro
che scivolava: il nostro
è stato un sonno agitato.[…]
III.
Ecco la valle: non confonderla
con uno spazio d’intese,
dove il verde e il giallo
formano canali da percorrere.
Senti ancora impensabile
la strada da qui a lì
e i traguardi parziali
che nessuno di noi
ha ancora colto.
Tutto è vulnerabile
per questa via; gli stessi
sguardi che incontrano
animali (in volo o in fuga)
o un volto.
IV.
Cediamo perfino la nostra
distrazione alla conca
dai grandi raggi,
alla tensione di formule
in ascolto, ai nostri passi.
Nascosti dentro i sessi,
ci confondiamo con i giorni
per credere che siano
noi stessi, inventiamo forze
sconosciute per ritrovare
i vicoli, le baracche.
Entriamo con tanti altri
nudi, nelle docce.
V.
Cediamo i nostri giuochi
di marionette ai cunicoli
di sabbia ed erbe
o alle rocce.
Ripetiamo i nomi delle cose
perché intendiamo e
essere tra queste.
E dall’alto senti impensabili
le nostre stesse risposte,
se ciò che si rinserra
senza minacce
noi lo dobbiamo ripetere.
Senti ancora attendere
la voce, mentre hai
tra le mani frutta
di terra e mi guardi
e credi di sorridere.
NCE,1990
da Albergo a ore
L’albergo non ha finestre. Né potrebbe averne, mi pare.
Percorri da anni le buie ringhiere e sali o scendi
gli innumerevoli piani.
CORRIDOIO
Non comprendo ancora
il nostro significato.
Se camminiamo
tra porte
inseguite
da porte,
ripenso (ridendo)
a ciò che siamo.
Tu aspetti il boato,
le fiamme,
l’odore del gatto
bruciato, la nostra
vera sorte.
Io non so dove
ci conduciamo.
*
Forse davvero tavoli
e sedie parlano
un linguaggio
cifrato, oltremondano.
Io non so se il tempo
ha già tracciato
le svolte,
se il cammino
che resta
non sarà illimitato.
*
Sono pensieri, Sara,
che non ti ho mai
confessato.
Ma se camminiamo
sfiorando le braccia
alla donna sudata,
all’omino fissato,
se nel buio inseguiamo
(oltre al gatto)
la traccia
del bambino scocciato
che ruba le scarpe,
puoi pensare anche tu
alla formula usata
per stanare di fatto
l’inquilino assediato.
*
Il cliente è da sempre
sfrattato. Lo dice
il contratto.
Noi possiamo seguire
l’eterna sfilata
e sorridere appena
dei tanti
che non hanno sporcato.
E’ la solita scena
e non ha significato.
I garanti lo sanno
che anche il nostro
sorriso fa parte
del giuoco.
*
Forse davvero dovremmo
fermarci in un unico
corpo abbracciato,
bloccare il trasloco,
produrre dissensi.
Diranno che nulla
è mutato?
*
Sara, che ne pensi?
NCE, 1992
translations
OVERLOOKED
Overlooked. I’ve been
overlooked. One night
he will talk about me,
he will say: what a pity, I
never met her,
and will drink French wine
forgetting my life
once again.
He will laugh, telling
about other books and women
lost in the Ocean.
He will not regret me.
Me that could have changed
his life.
He simply
ignored me.
He quickly skimmed
the page next to me
(fierce look on his face)
abruptly closing
the precious book
in which I was born.
*
I wish I’d
never been in there.
In the wind that opened me
(chased me)
I chased another page
(in the air)
that became, like me,
an inviolated
unnecessary thing.
*
And yet I could have changed
his story. Improvise it.
Inside me the joy, the sibylline
understanding that save us,
inside me the wish
for waiting (inside me)
inside me our story.
*
Inside me.
*
Inside me the joy,
the silent road
with no way out.
Don’t go. Don’t go.
Once upon no time…
*
You taught youths
craziness. Maybe that’s why
you strove to make believe.
You dreamed of aphasic verse,
a little library
to hold tight, a dream
of metal, full of frames.
You had understood you were
unheard, you were living
like the sounds of roots
or the sense of the horse’s
run, toward the endless
world. You had no friends,
but the thunder and the rooms
where you sometimes created yourself,
or the furious yellow
in Euridice’s eyes
and the bag where you stowed
revolts and dances.
You weren’t looking for happiness.
*
Sometimes you dreamed of deep
into the skin, deep into it
tenderly, coldly.
Like the rain
going deep into the sea.
Because like the sea
you felt you were September,
you felt you protected odour
of the rebellious animal,
slipping away in the luminous water.
You weren’t asking for love. You dreamed
of chasing it in the suspicious
air of the land of the Name,
among silent things,
where once you slept
like a colour.
Tanslated by Tania Calcinaro