Arnaldo Ederle è nato a Verona dove vive, il 12 settembre 1936. Poeta, critico e traduttore, laureato in Lingue e Letterature Straniere, ha insegnato per diversi anni Linguistica presso l’Università di Verona e Lingua Inglese nella Scuola Secondaria. Parallelamente agli studi linguistici, ha seguito anche studi musicali: teoria della musica, armonia e pianoforte. Ha pubblicato: Le pietre pelose ben osservate (Verona, Ferrari, 1965), Vocativi e querele (Milano, Il Trifoglio, 1981), Partitura (Milano, Guanda, 1981), Intermittenze (Malaga, Caffarena, 1981), Il fiore d’Ofelia (Milano, Società di poesia/Bertani Ed, 1984), La chiesa di Santa Anastasia (Verona, Office Automation, 1992), Contrechant (Mondadori, Almanacco dello Specchio n.14,1993), Paradiso (Udine Campanotto, 1994), Il caso Tramonto, racconti 1974-78 (Udine, Campanotto, 1995), Cognizioni affettive (Roma, Empirìa,2001), Arcipelaghi (Ascoli Piceno, Grafiche Fioroni, 2002), Sostanze (Verona, Bonaccorso, 2004), Varianti di una guarigione (Roma, Empirìa, 2005), 10 Divagazioni sul corpo umano (Mondadori, “Almanacco dello specchio” 2008), La luce dei cristalli, scritti critici (Verona, Bonaccorso Ed. 2008), Stravagante è il tempo (Roma, Empirìa, 2009, finalista prima rosa al Premio Viareggio-Repaci, 2009), Sandwich, romanzo (Verona, Bonaccorso, 2010), Frammenti imprevisti, Antologia della poesia italiana contemporanea, a cura di A.Spagnuolo (Kairòs Ed. 2011), Poeti e poetiche a cura di G.Lucini (CFR Ed. 2012), Vocativi e querele, 2^ ediz. (Piateda, CFR ediz., 2012), Negrura (Piateda, CFR ediz. 1912), Poemetti per Negrura (Piateda,CFR Ed.2013). Oltre ad aver tradotto da G.d’Aquitania, J.Clare, S.J.Perse, M.Maeterlinck, ha curato e tradotto per Guanda due libri di prosa: Ombre italiane di Vernon Lee (Biblioteca della Fenice, 1988) e Amanti assassinati da una pernice di F.García Lorca (Quaderni della Fenice, 1993). E’ stato tradotto in spagnolo, inglese, olandese. Scrive per “L’Arena”, “Il giornale di Vicenza” e “Bresciaoggi”. Collabora a “Poesia” di Milano.
E-mail arnaldoederle@libero.it
da Il fiore di Ofelia
Partitura - Parte prima
II
E’ tutto chiaro, il tempo e la stagione,
la polvere calda del sentiero
alla collina, a filo di parete
contro le mura.
C’è anche Oliviero, un nome che fa ridere,
con la ragazza che volevo per me.
Dora, amuleto, un orecchino e una ragazza
(non mi ricordo s’erano già parte
della mia persona, parole del mio
lessico incosciente).
Ora la rivedo così, dentro una lente rosa
(per un momento forse, poi mi vergognerò
e tento d’incalzarmi con l’occhietto
benevolo del sapiente amico che diceva:
non mollare, facile è dire, ma fare il dire,
ecco l’impegno e l’orbita del genio).
Dentro una lente rosa si muove
la ragazza che Carla non è, che mi guida
piena di grazia alla coscienza dell’amore serio
da presentare a casa:mio padre, mia madre....
Io vestito da uomo nella mia giacca grigia
foderata, a un petto, mi siedo e prendo
un caffè, ma lì in cucina, tanto
non sono già di famiglia? "La mamma
non gli’importa se stiamo vicini, basta
che non esageriamo, quello si sa. Ha più piacere
di vederci qui" (dentro una lente rosa)
Afferasti volgendoti graziosa
Il viscido argomento per le corna
Con due dita. Adesso il conto torna:
Il manichino s’è rimesso in posa.
Non cantar non danzar
Non correre la cavallina
Non gridar non chiamar.
(Che cosa mai vorrà dire
Erigere confronti, resoconti
Ponti da qui a là
Difficili da traversare
Senza piangere o ridere
Senza farli tremare?)
Pomeriggio, alle quattro è quasi buio. Scale
d’arrampicare con due libri in mano.
E la sua testa nera nella fessura,
affresco d’un soffitto a volta. Le rampe
sono lunghe e snelle. Salgo con il capo
sporto in mezzo alle ringhiere, la falda
della gonna a ruota trasborda i ferri
ma non si vede niente, lei sorride
ma non è maliziosa, i corrimano
arrivano veloci fin su, prima di me.
Impressioni su marmi e frati
*
Ombrosa polvere giaceva morbida
sul braccio dell’angela che addita
la probità e il coraggio
del commendatore.
Guardavo le pieghe della marsina
e il fianco della confortatrice.
*
Sta scritto sul frontale
Udite Aride Ossa
La Tromba del Signore.
Un frate cimiteriale
si chinò e raccolse un verde
che spuntava dalla terra smossa
d’una lastra verticale
e masticò una foglia.
*
La piaga della conoscenza
bigia incagnita, nel rigido cappuccio
imberrettata (morte?)
e il frastuono che fa questo frate
le sedie per accomodare della messa.
*
Nice things should not exist
But since they do
They should be forever.
Così un gatto
mangiatore di morti rifletteva,
la sua cena imbandita
sopra una lastra blu-notte
venata in diagonale.
*
da Paradiso
Paradiso
3a domenica
(io)
Nel mio disegno si vedono vicine
la casa bianca dove stai tu, monumentale
con cornicioni timpani colonne, neri
cancelli (dietro ho abbozzato punte di cipressi)
e la casa con la scritta VINO che sporge
sul cartello ondulato come una bandiera.
Bassa, è la più vecchia di Vicolo Rosino,
il suo colore lo pensavo rosso, così
l’ho scritto sulla mia facciata.
Ma è grigio, forse nemmeno grigio.
Poi l’argomento, PARADISO: Chiereghino,
Duilio, Mariano VS INFERNO: Corradi (oste),
Boselli (pittore), il mantovano, Girelli (manovale).
(Chiereghino)
Progetti anche ai tuoi tempi, Duilio,
d’indorare una ditta in stile liberty,
specchio e oro e la donnina in bianco
bionda, ricciolina. Ne vedevo
bellissime nel Corso,
nelle vie attorno al Duomo.
(Duilio)
Si prendevano foglie d’oro puro
quadrate, sottilissime. Bisognava soffiare
debolmente come sulla bua dei bambini.
E la foglia si staccava e volava brevemente
dall’album alla spazzola piatta e si stendeva
sopra tremando come presa ancora
da una brezza.
Poi con vernice trasparente si fissava
l’oro sulla lettera vuota con i bordi
già pronti, dipinti a poggiamano e pennello
e col coltello tagliavi dritto
sulla sbavatura e avevi il viso
impolverato d’oro, i sopraccigli,
e la barba un po’ lunga.
(Chiereghino)
Rode, contrà, botteghe.
E’ lunga la giornata adesso,
i colonnati, i cipressi del viale,
contarli e ricontarli, lo scorrere del cielo
nostro divino azzurro fra terreno
e immortale passa sull’attimo
che rimane come nacque nel mondo,
sempre lo stesso tratto da contare
sperduto in una retta.
Rode, contrà, botteghe
senza premura, niente che ci aspetta.
da Cognizioni affettive
Apparizioni
2.
Quando sfoglia la rosa e tira il vento
in quel di Venezia, Duilio stava in posa
davanti a San Marco con le pieghe
dei pantaloni che sbandieravano larghi,
chiari e leggeri. La borsa che teneva in mano
lo fa sembrare un diplomatico a spasso tra una colazione
e un imminente incontro all’ambasciata.
E’ sempre stato molto elegante quando si trattava
di farsi ricordare.
Doveva essere autunno, ma non c’è mai una data
in queste foto d’antan.
5.
Rosa il colore dei merli sulle mura,
rosa la ragazza in posa tra due svolazzi di mattoni.
E rosa il cielo che scorre dietro le nubi
lentamente e liscio come seta.
8.
Ha sempre avuto il senso del carattere,
la circostanza l’ha di rado tradita, un obbligo
che con costanza ha rispettato in ogni caso
diverso, nella forma e nella sostanza. Qui
era la compunzione, la serietà marcata dell’arco
sopracciliare, e lo sguardo che doveva significare
l’impegno del comunicando. Fortuna volle
che la panca addobbata dal pizzo con calice
e particola non fosse troppo alta:
so vede bene il bracciale di raso bianco
e Matteo lo dice ancora con gli occhi
che la sua parte l’aveva perfettamente compresa.
17.
Padre, madre, sorella. Ancora rocce in fondo
dopo gli alberi, la cengia alta della Tofana
passa a mezzo centimetro dalla testa di Rosa.
Dietro a Duilio spunta una specie di pennacchio verde
che stacca il candido dei suoi capello dalla casta
neve della cima. Tale e quale è rimasta Liliana,
terza presenza, bambina montanara che guarda dritto
con tanto d’innocenza.
Chant
Chioggia
E poi il ritorno dopo ombre e luci
sulla lingua di terra in mezzo all’acqua
bassa con le briccole strette l’una all’altra
e il velo d’aria bianca che filtra
barche e campanili, e affonda i cuori
in un bagno d’odori tremolanti. Chioggia,
la festa della pesca.
Ai pescatori dedicò Pisolini un Com’isso
trepido e forte che racconta braccia
e reti, volti e laguna, cruna
dilatata dove passano il tempo e la fatica.
Il canto delle donne in terraferma
il ritorno santifica.
Noi siamo seduti in piazza e la pellicola
ronza immagini e suoni, ci confonde
c’irrita, ci ammalia,
prova perfino a metterci d’accordo
sulla formula uomo umanità.
Dolo
Quando uscimmo dall’antro di Buzzati,
dalla grotta del dragoni piombo e risalimmo
al paradiso dei casti terminali,
non m’ero accorto ancora
della tua sofferenza. A Dolo
il dolore gustai masticando il pescetto,
e in un’ombra, piccola gaia sfera di vino,
il tuo viso comparve sorridente.
Contre-chant
2. :su tema di Macabru
Amors vai com la belluja. que coa-l fuec en la suja. >
art lo fust e la festuja. escoutatz! e non sap vas >
qual part fuja. cel qui del fuec es gastatz.
E pezzo a pezzo o intero
in un nero boccone,
scheggia accesa di carbone
vagante per bosco e sentiero
spiaggia monte pianura,
amore lo consuma.
Mano a mano che al fuoco si consuma
se ne va il corpo tutto intero
devastato come arsa pianura
dove per fama faresti un boccone
anche di terra secca di sentiero
anche d’un pezzo nero di carbone.
Ed ecco il cuore ridotto un carbone
che il fuoco ormai tutto consuma
batte affannato qualunque sentiero
in cerca del suo corpo intero
che amore s’è inghiottito in un boccone
come sciacallo in mezzo alla pianura.
Corre spargendo sopra la pianura
lacrime ardenti come chi di carbone
o di brace un canestro in un boccone
urlando e dimenandosi consuma.
E brucia e pare il cuore intero
un tizzone vagante sul sentiero.
Non c’è più strada, contrada o sentiero
che porta al monte oppure alla pianura,
anche a girare attorno al mondo intero,
che riporti quel pezzo di carbone
dentro il suo corpo che il fuoco consuma
inghiottito in ingordo boccone.
Povero Marcabru, che in un boccone
Amore hai divorato sul sentiero,
ardente Amoresole che consuma
erbe e fiori nella calda pianura,
e non ti sei accorto che in carbone
il tuo cuore hai mutato, nero e intero!
Il sentiero di Rilke
Dall’alto
Vero è che strade e alberghi
i veri viaggiatori non conoscono,
se a trasportarli sono gli uccelli
che volteggiano in alto.
Certo,
non le loro valigie né le braccia
che le sostengono.
Sono piuttosto i pensieri,
i loro cuori pesanti
(o leggeri)
che senza sforzo
(o a fatica)
trasportano gli uccelli.
Specie se fanno la medesima strada,
se anche loro
hanno voglia di vedere
dall’alto
la costa del mare.
Miramare
Non l’abbandono in quelle stanze.
Oh, Miramare! Quanta lontananza,
acqua di mare
fra il tuo principe e te.
Perché è rimasto il suo sogno
nelle ali bianchicce dei gabbiani?
Perché si sente nell’odore dei fiocchi
la sua anima inquieta,
infastidita dal viavai delle visite?
Dopo tutto, fra sudore e affanno,
nel progressivo sfaldarsi delle voci
stupite dinanzi al baldacchino,
potrebbe il tuo principe
passare inosservato. Potrebbe
dalle imperfette vetrate
infervorarsi ancora
del suo acuto progetto
d’impersonare il mare.
La figuretta
Aspettavamo che qualcuno aprisse,
leggevamo il nome avvitato
sul ferro battuto.
Poi arrivò
sfregolando la ghiaia del cortile
la figuretta.
Uccello spaventato, rondine
tremante nella mano del salvatore,
apparve e disse: “Sono a messa
i Principi, in cappella.
Ma se vogliono, se proprio da lontano
portano il loro cuore al poeta,
forse potrei permettermi la libertà...”
da Sostanze
Arcipelaghi
Esercizio del dire
Desidero riempire questo spazio
di tempo addormentato
senza memoria, rasente
al buio silenzio,
accoccolato
come il bimbo sul fianco
della madre.
E’ un desiderio
che coltivo da quando
lo spazio non mi avvolge
che distratto e impotente,
da quando il tempo
risiede solamente
nel candido memento
della mia pendola.
Una carezza voglio
Perché l’acqua sgorga lenta
dalle bocche della roccia,
dalla mia, la parola
stenta, teme l’aria
come pesce fuor d’acqua.
E così, lo giuro, a volte
mi strangola, come lisca
impuntata, dalla fervida gola
non si stacca. Poiché
desidero un passero che voli,
voglio una farfalla di miele
ch’esca dalle mie labbra come
dalle labbra d’un santo
e mi consoli.
Vocalizzo dei crepuscoli
L’ora
Questa data si segna da sé.
Perché è l’ora che aspetto
è l’ora che vieni,
perché è l’ora delle ore,
quella che passiamo assieme
come passeri che cinguettano
sottovoce beneducati
e si raccontano cose,
notizie di vita piccola o grande,
e si ascoltano con il piacere dell’ora
più prossima all’ora della quiete.
E’ tutto lì, nella certezza
che tutto sarà come previsto,
come ci aspettiamo che sia
che sia, ecco:
“come ci aspettiamo che sia”
Distanze
Padre.
Come devo chiamarti, nominarti?
Dovrei sentire ancora
l’odore del tuo pane e caffellatte
nel cucchiaio, me
sulle tue ginocchia ad assorbire
per u istante ancora il tuo calore
prima del tuo andare a bottega?
O ammirarti dovrei col tuo cappello
grigio e il bel bastone chiaro
per il passeggio domenicale?
Padre.
Come dimenticare
d’essere ormai coetaneo
della tua ultima età.
Ti vedo a ogni occhiata nello specchio
del mio corridoio
mentre metto il cappello
e me l’aggiusto un poco
sulle ventitré.
Oltranza a G.R.
Fratello padre, non la barba
bianca, né il sorriso che vede
chiaro e scopre l’invisibile.
Lo specchio e l’uomo azzurro
di Van Eyck, come la mano
di tuo padre
che vedi nella tua, certo
m’invischiano nella storia dell’uomo
e dell’artista, invogliano il passo
a ristampare l’orma felpata
sulla strada del senso e del suono.
Però, senza fraintendimenti.
Non m’invoglia la tua pantografia,
l’unghia che svela la calcomania,
la clonazione.
E’ questione di cuore, solo
di cuore.
Sogno con ginepro
Il ginepro, le lacrime e il profumo,
la tavola apparecchiata per tre,
per la famiglia. Te, madre mia,
la Nèlla che era di là, in camera...
Entro e ti vedo davanti al camino,
vedo la tavola apparecchiata e
sulla stufa economica accesa vedo
il ramo di ginepro. Ti abbraccio
alle spalle e ti dico “mamma,
che bello apparecchiato per tre,
siamo ancora qui, in cucina, e
sull’Adige bianco c’è freddo,
è inverno, ci sono i gabbiani”
Ti volti e mi guardi
e guardi il ramo di ginepro,
le tue labbra lentamente
pronunciano gi ne pro,
ma non mi giungono suoni,
solo profumo.
da Varianti di una guarigione
Il Male la malattia
1.
Torna a odorare il ceppo
della stanza chiusa, robusta
interdetta a intrusioni blasfeme.
Torna il colore della sera chiusa,
il lampo grigio delle rapide
figure, dei cieli
delle notti turchine.
Torna la voce del mondo.
tutto sembra ancora sereno
rivolto alla buona conclusione
e all’ovatta del sonno.
2.
“Mi fa male qui
proprio nel basso ventre.
Sento, posa la mano, sembra
un rigonfio duro”
4.
E trame scure s’intrecciano
alla carezza. Nella sala
sprofuma il ceppo e le cortine
vibrano un poco, ondeggiano
a un alito di vento
estremo, inospite.
6.
Come giunga il dolore
come si ponga ritto indubitabile,
come non chieda il passo
ma s’imponga perentorie
irremovibile.
11.
Quando il Male, il nemico,
si traveste
coi panni umidi della malattia,
è quando più nuoce.
Va odorando radici, gangli
memorie di vita,
occlusioni canali. E prova,
prova con la caparbia dell’ingordo,
piange di desiderio.
12.
“Dovrò affrontarlo. L’anima
mi si richiude, sbarra
la porta delle stanze,
la cucina, le camere da letto.
Resto come appesa alla mancanza.
Il suono del telefono
è una voce tagliata già prima
del suo annuncio.
Credetemi. Sono proprio sola”
14.
Cos’è il dolore, o meglio,
come lo si accoglie.
Basta che un fiore scricchioli
dentro un vaso di vetro.
Basta
un morbido cuscino
che nasconda un grumo
di lana che preme la tempia.
Basta la piuma che sporge
dalla federa, una macchia
una piccola macchia sul lenzuolo:
tutto sembra dolore
timore.
21.
Se il rimedio apparisse
col volto del miracolo...
Se pregassi con sante parole
l’oracolo della salvezza...
Se in ginocchio potessi
ammansire il dolore e renderlo
simile a un flusso
di santa benedizione...
32.
Chi riapre le care cortine e soffia
argento nella stanza,
liquido nelle lampade quiete?
Chi si introduce
dal vano della porta
con ardore di lumi
con drappi colorati e ondulanti,
e chiama i nomi
dei poveri astanti, dei numi
che stanno in silenzio?
Varianti di una guarigione
1.
E’ tornata la calma, sembra,
tra le feritoie della battaglia,
tra le braccia della paura.
Rode ancora l’odore
delle anestesie le nari un poco,
ma già si va sfibrando
anche la patina che ricopriva
il cuore e il cervello.
3.
Sembra di scrivere
per passare il tempo, perché
il tempo passi, cioè sgoccioli
via, in fretta più che si può,
il pericolo, la malattia.
8.
E’ vero, c’è una pace
che consola là dentro:
alberi e viali, calmanti
persone un po’ stanche, camici
bianchi.
Ma i tigli della strada spandono
profumi liberi da cancelli
e la luce della sera, qui fuori,
riverbera il turchino.
12.
Meglio affrettarsi a ribattere
il chiodo del buonaugurio.
Non si sa mai
che la nebbia ritorni
a invaderci i giardini e gli orti,
e le figure ricomincino
a muoversi lentamente
per non collassate.
15.
T’arrivano, non ne sei sicuro,
segnali strani, aggrovigliati
ad altre disfunzioni.
Non riesci a distinguere
le simulazioni.
20.
Dicono che è perché l’hanno incubata.
E’ che il bianco del giglio
è così bianco e il polline
del bottone non lo corregge
non lo sfuma minimamente.
Troppo bianco. La voce
è come uscisse dalla bocca
d’una bambina. Ma è una donna
ad alitarla fuori,
sorridendo un pochino,
vergognandosi.
25.
Sul cuscino del letto posa
la testa Capelli d’oro.
Nella morbida conca riposa,
foderata di pagliuzze lucenti.
28.
Dentro la mia pillola dev’esserci,
che dolcifica,
qualche milligrammo di te.
29.
Bianca e vellutata, la fiacca
può fare tenerezza. Di solito
veste camicie lunghe,
trasparenti e quando passa
fa cenno con la mano,
vacilla senza cadere.
41.
Piccolo bonzo, accèttati
coronata d’aria.
Pazienta, vedrai,
la manna presto verrà
che porta capelli d’oro.
da Stravagante è il trempo
La piccola acqua
Acqua che vai controcorrente
ai bordi del canale, piccola
acqua che ritorni presso i ponti
intimidita dal flusso veloce.
Stai raccogliendo il coraggio
per gettarti anche tu nel corso grande.
Come il fanciullo sei,
che si appresta a saltare il fossato,
e per paura del vuoto
chiede aiuto a una mano invisibile
che lo regga nel salto.