LA MAGIA DEL NON LUOGO IN ROBERTO PAZZI
Erano dieci anni che Roberto Pazzi ci lasciava senza le sue poesie, un tempo impensabile nelle tempistiche contemporanee, eppure il tempo giusto secondo l’esempio dei grandi del passato. Il tempo giusto per una riflessione lenta sulle cose, e l’attesa che esse compiano su di noi i necessari cambiamenti. Così arriva, dopo una vita da romanziere e numerose presenze al premio Campiello, allo Strega, al Viareggio e altro, “Felicità di perdersi, Poesie 1998- 2012”, pubblicate da Barbera Editore. E per noi la felicità di perdersi leggendolo. Perché è così: ci prende per mano, con una lingua seducente e piana, e ci conduce a giro nei tempi, per stazioni deserte, fermate di autobus, sul greto del Po. E dopo tanto girare ci accorgiamo che siamo sempre lì dove lui è, a Ferrara. La città deserta e abitata dai “gatti turchini”, come scrisse nel 1700 Charles de Brosses, o anche dannunzianamente la città del silenzio: «Ferrara è la mia camera da letto», scrive Pazzi. Una città che, come lui dice, essendo costruita sull’acqua, crea il fantastico. Così come fa questo libro, che crea una sorta di presente incantato. È bello di un libro quando si può dire a qualcuno “ma l’hai letta quella? e quell’altra, e quell’altra ancora?”. Così succede nel libro di Roberto Pazzi. Tra le poesie, bellissime “Se il treno ritarda”, “Donne scalze”, “Al Po”, “La battaglia di Azio” e “Ritorno al mare”, e “La pietra” forse la mia preferita. I tempi si incrociano, il passato, la giovinezza e il futuro, il terzo verbo infinito che non si riesce a pronunciare, si confondono dando all’oggi, che è un tempo di mezzo, tutta la bellezza e la forza della vita, come nella battaglia di Azio «che lascia a Cleopatra e Antonio solo poche notti d’amore, ma le più belle». È un libro che racconta di questa passione di vivere, o di aver vissuto. Racconta anche il sogno di fuggire che si ha da giovani, «era la via della felicità / il viale della stazione», ma sempre radicato in una città, mai astratto. Questa è la forza della poesia di Roberto Pazzi, che un po’ come faceva Giorgio Caproni con Livorno o Genova, ti fa sentire tutta la fisicità di un luogo, ma come se ci fosse sempre una magia del non luogo, del dappertutto.