LA POESIA DI MATTEO BIANCHI

LA POESIA DI MATTEO BIANCHI

La poesia di Matteo Bianchi, scegliendo nel folto dei discorsi quotidiani nella raccolta  La metà del letto (Lorenzo Barbera Editore), dà rilievo di immagini e irripetibilità alla presa di posizione dell’uomo nei confronti di se stesso e del mondo. Per cui la disposizione etica ha spazio lirico e il suo atteggiamento morale ha misura di canto, in queste pagine rastremate e tanto più intense nella loro concentrazione. La capacità immaginativa ne è il motore: un’energia intellettuale capace di trasfigurare da immagine a immagine in un vorticoso susseguirsi di riferimenti culturali e di ricordi, di figure e di dati del presente. Tutti elementi che contribuiscono in ogni caso in modo decisivo a disegnare un “insieme”, universo immaginario, dentro al quale si evidenzia la riconoscibilità generazionale dei trentenni, senza per altro assurgere a nessun tipo di presunzione e rimanendo anzi con i piedi ben piantati per terra dentro il nostro ordinario mondo quotidiano. Niente più di queste pagine è in grado di dare conto di una personalità e delle sue molteplici sfaccettature e, attraverso la musica delle parole e la tendenza che la sonorità delle parole ha di scavare nel profondo, di restituirci la vivace presenza di un talento. Specie quando si procede secondo un modo critico di interrogare la realtà per decifrare l’apparente indecifrabilità del mondo, senza disdegnare il dubbio sottile, anche quando sul vuoto si impone la sete di un qualcosa di più, di una chiave veramente risolutiva. E quando la lusinga della materia, con tutte le implicazioni anche di oggettiva suggestione, non sa ricolmare gli spazi, i cunicoli della vicenda quotidiana. È la situazione che contribuisce a dare alla poesia di Matteo Bianchi lo stile che la contraddistingue: quella piegatura appena nervosa che è il frutto dell’ironia che la attraversa tutta con la sua dinamica. I personali itinerari e labirinti mentali sono pieni, nello stesso tempo, dei ragguagli minimi di una realtà quotidiana di contatti e di rapporti e dei riferimenti privilegiati agli autori canonici e ai loro testi. È in questo intreccio di dati della realtà e della letteratura che si configura un altro aspetto originale del libro di Matteo Bianchi, in una sorta di spartito continuamente tenuto in bilico tra due versanti pensati e vissuti in una fusione, insieme, di constatazione e di sorpresa, di illuminazione e di considerazione riflessiva, di coinvolgimento e di messa a fuoco nel distacco, in “una delle raccolte di poesia più coerenti e ispirate che sia capitato di leggere negli ultimi anni,” come sottolinea Roberto Pazzi nella prefazione al libro. Il filtro della coscienza vale a mettere in successione razionale anche il continuo riemergere di un’ansia profonda (non solo nei confronti della morte), in qualche modo esorcizzata e ordinata nelle cristalline superfici verbali che disegnano i versi di Matteo Bianchi dedicati alla scomparsa della zia Rosa. Al flusso vitale il pensiero impone, per interferenze puntiformi, un andamento più lineare, alla luce di quell’intelligenza cui si vuole commisurare ogni atto e gesto, oltre che ogni cosa e circostanza. La pacatezza del pensiero frena dunque l’ansia, risolta e illuminata nelle immagini. Per quello che, agli occhi del poeta, appare sempre più nel segno della consapevolezza come occasione di maturazione e di vera conoscenza. Se la vita inafferrabile scorre come un fiume, bagnando appena le cose che travolge, la risposta non è il lamento o il malinconico ripiegamento su se stessi, ma l’invito a riconoscere l’effettiva ricchezza di ciò che abbiamo sotto gli occhi e che è stata ed è la nostra vita. C’è, in questi versi, una capacità di rappresentare la realtà in fieri, qualunque essa sia e non importra se appartenga al passato o al presente, facendola “agire” nel qui e adesso, davanti ai nostri occhi, ricca di tutte le sue componenti di colore, di suono, di odore. Dominato da una vigile intelligenza, l’istinto non è affatto sparito, riemergendo a più riprese tra le maglie delle poesie. E quel fuoco, di cui l’amore rimane l’immagine più vicina ma in mezzo ad altre dentro a un mare che, anche se non agitato, non è mai immobile, consumandosi continua ad alimentarsi come adesione incontenibile per tutto, per la vita, per le creature, per il giorno e per la notte, per le cose, per il mondo. Un amore che rigenera, facendolo continuamente rinascere, il desiderio e trasformandolo dunque in una forza positiva in grado di dare nuovo impulso alle ragioni autentiche e generative della vita.

Paolo Ruffilli

Poesia

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