Emanuela
SICA
Emanuela Sica è nata ad Avellino nel 1975 e vive a Guardia Lombardi in Irpinia. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Un angelo all’improvviso (2006, Delta 3 Edizioni), Il diario segreto di Giulietta (2023, Controluna Edizioni); poesie in antologia: Le strade della poesia (2011, Delta 3 Edizioni), Il Giglio di grano (2013 e 2018, Delta 3 Edizioni), Pietre Vive (2013, Delta 3 Edizioni); poesia e prosa: La ragazza di Vizzini (2018, Delta 3 Edizioni, con M. Vespasiano), Il caso Antigone (2018, Pensa Editore, con L. Anzalone), Una storia senza fine (2021, Delta 3 Edizioni), Il sogno di Edipo e mitici amori (2021, Pensa Editore), Canne al vento (2022, Pensa Editore, cura insieme a L. Anzalone), Storia di una Violetta (2022, Delta 3 Edizioni). Ha pubblicato anche di narrativa: Uccelli di carta (1993), Assolo (2010, Edizioni Il Monte), Anatomia di anime (2010, Edizione Albatros Il filo, 2022, ristampa KDP Amazon), Cairano Relazioni Felicitanti (2014, Edizioni Mephite), L’Ultima Luna (2017, Pensa Editore), oltre a racconti in varie antologie; e il saggio ROSSO – Vdg-0 – Antologia sulla violenza di genere (2021, Delta 3 Edizioni). È avvocato cassazionista, giornalista pubblicista, attivista per i diritti delle donne contro la violenza di genere. Dirige l’Area Anti-Violenza di genere del Corpo Internazionale di Soccorso. Collabora a quotidiani, riviste, blog.
avv.emanuelasica@gmail.com
http://emanuelasica.blogspot.com/
https://www.facebook.com/ema24ela
POESIE
MADRE
Madre
che lacrimasti sangue
alle radici longobarde
grappoli di vite nutriti nel silenzio
di muschio e aghi di pino
riprendi nelle mani callose
la terra che matura dal ventre
delle montagne innevate
riannoda i sentieri dell’aratura al pascolo
cattura l’anima dei morenti
stacca il dolore da queste ossa
di solitudine e rinnega
le devastazioni della gramigna
che seppellì generazioni innocenti.
Sotto cieli fuggiaschi riposano gli armenti
sacchi di povertà nelle trame del sonno
la memoria si disseta
nella sorgente del tuo corpo.
Vedi
ancora si muovono passi
nella membrana boscosa d’albe purpuree
ricamate di gelo sulle gote di bimbi
tremuli i lampioni a spegnersi
nelle vene secolari dei castagni.
L’artiglio d’aquila sulla bandiera immobile
come la Nike* nel destino scolpito
stringe tombe d’eroi e miseria
echi di dolore nel marmo disperso
orfane lacrime indurite nell’epitaffio.
Eppure viaggiano umbratili desideri
custodendo briciole d’argini vitali
minati dalla tenacia di chi ha deciso
di lasciare, tranciare, seppellire
incompresi pezzi di carboni ardenti
slanci mistici e mai sopiti del regresso
al borgo natio, matrice di stagioni feconde.
*La Nike, situata sul monumento ai caduti della prima guerra mondiale, in Piazza Vittoria
Tocca
lo smarrimento e la paura
l’abbandono lacerato dei tessuti
affetti, giovinezza, anni migliori
su quella roccia, innervata di rovi
innesta il cardo nella pelle
altera destini in destinali fughe.
Occhi briganti nei campi di grano
che nessuno ha più arato
frutti maturi caduti a marcire
foglie, lungo i viali, rimaste a coperta
infeltrita d’assenze e le finestre
chiuse col sole e con la neve.
Uniformato il pensiero all’attesa
l’emigrazione ai sospiri abbraccia
le stelle cadenti, le corse nel bosco inoltrato
le capriole sul selciato, le fragole rubate
lu subbrettu1 nella tazza smussata
spettri di soldati perduti p’la via d’la C’rreta2
sacchi di frumento ammassati sotta l’arcu3
renette sulle tavole della dispensa
fumo dalla crepa d’la furnacella4
muriculi5 appena colti
pane nel latte caldo, schiumoso di mungitura
volti di rughe nelle ore all’imbrunire
braccia che accompagnano l’inizio del raccolto
piedi scalzi, fanciulli, nelle lunghe notti
ad ascoltare cunti d’ianar e pu’pnari.6
1 Sorbetto fatto con neve fresca e vino cotto
2 Monte Cerreto da cui le “vedette” longobarde controllavano i confini.
3 Sotto l’arco di pietra (primo ingresso del paese)
4 Antica cucina a legna costruita nel muro
5 More
6 Racconti di Ianare e Lupimannari
Senti
nelle gambe la fatica delle corse
per i vicoli che portano a la Giaggia
ricercando compagni nascosti
portali di vite perdute
come in attesa di poveri fantasmi
magari celati, assonnati, quasi addormentati.
Storie ormai lontane, uomini, donne, bambini
persone ricongiunte al buio
nel possesso della torba antica
dissodati senza ricambio alle fatiche del lavoro
rendiconto ai Santi in processione
a li Manganielli1 per la festa della Madonna
canti dal ventricolo delle madri
tornate da lu Tunzonu2 con ceste di panni freschi.
Trapassato a perdersi in nodi di tarme
San Leone e le milizie in pietre collassate
polvere di nobili negli stemmi assiepati
suore a innalzare rosari profumati d’incenso
lungo le scalinate della Chiesa Madre.
1 Contrada di Guardia dov’è custodita – nella Chiesetta votiva – la Madonna dei Maganelli
2 Antica fontana/abbeveratoio/lavatoio Guardiese
Assapora
il nettare del legame ancestrale
stretta sei, quasi agonizzante, in un pugno di nebbia
amniotica nel profumo di notti argentate
lingua di pietà a spegnere fiammiferi
fatalità di domani luttuosi.
L’inverno, il suono delle voci in ascesa
come sospinte, a grandi balzi
dal dondolare severo del vecchio campanaro
genera rintocchi ai primi fiocchi di neve
un flusso fragile di cuore e resistenza.
Una testa d’angelo, riversa, aspetta
uno sguardo che lo liberi
fermo, nella totale indifferenza
di un mondo che non sa perché è presente.
Resta
a custodire questo miracolo sotto tegole di devozione
ama fedele l’abitato dei tuoi figli
soffia sui dispiaceri e accogli le preghiere
le mie radici si intrecciano al tuo alito caldo
così respiro.
OFELIA
Misero quel sonno che si schiude sott’acqua
come foglia che appena s’affaccia in superficie
ondeggia nelle liquide selve il fantasma e la sua brezza
cintando solstizi di non detti.
I crini ondulati al migrare della corrente
i salici a piangere e sospirare
i venti di Norvegia a soffiare sui seni acerbi.
Sventura cadde al tramonto
dileguando il nettare nel suo calice
“Quel ramo, invidioso, s’è spezzato (…)
le sue vesti/appesantite dall’acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto/del suo canto ad una fangosa morte”1
strozzando la candida rosa
nel solco dell’aratro.
Liquida calma a riempire le orecchie
distrutte le mura che costruii
a difesa dei loro richiami
“Fear it, Ophelia, fear it, my dear sister,
and keep within the rear of your affection”2
“Springes to catch woodcocks”3
Inascoltate preci trasparenti voci.
Incustodito l’avvertimento
la mente fuggì al pascolo della tempesta.
Il rituale d’annegamento ricama nuovamente
la carnale diatriba tra il vero e il fasullo.
Eccomi al lunare richiamo
riemersa e sommersa dal passato
dissennata devozione
mi cucì nella costola d’Amleto
nelle mie vene galoppa il suo sangue maledetto.
Arcigna è la mia pena e si riannoda
si slaccia di sera in sera come l’innocenza che mi tolse.
Le olmarie appassite, perduta la via di casa
ineludibile strada per la mia paura
appassito il piacere
dimenticai la vita al torrente.
Dimmi Amleto,
di che materia era fatto il tuo amore?
Ai miei sguardi cambiasti pelle e coscienza
la svestizione d’un puledro in somaro.
Euforico e malinconico, oscuro e sconnesso.
Disvelato l’arcano della corona insanguinata
a colloquio con lo spettro di tuo padre
scopristi l’opera indegna di tuo zio
per sposare Gertrude, succedergli al trono.
Perché oscurasti la verità alla mia assetata conoscenza?
Incespicando nei rovi dei tuoi mutamenti
perdonai le offese dileguandole nella follia.
Strano quel sortilegio che mi colse
mi cibai della verità solo nel trapasso.
Mi amavi, sol ora comprendo.
Neppure desideravi uccidere il mio sangue
nascosto dietro un tendaggio.
Credevi che a spiarti fosse re Claudio.
Malasorte versò quello stesso veleno nei miei pensieri
danzai nel ventre delle tempie svagate
la presenza assenza
cantilenando sconnessi pensieri di turbamento.
L’usignolo che si credeva trota
confidando nelle ali, improbabili pinne
incapace di cogliere la tragedia
a spingerlo sotto limacciose coperte.
Così identica melodia d’insolita disgrazia
liberarono le mie corde
fino a che riempita la gola morte mi rapiva
mentre i passi del mio destino
si muovevano altrove
a chiedere in pegno amore al vento
che mai divenne respiro.
A oriente ritorno
con gli astri a svanire
luiti e nifee ad accompagnarmi
nel letto del riposo eterno.
Passerà un altro sole
e riaffiorerà la mia pallida supplica
from this water of condemnation.
1 Estratto da W. Shakespeare – Amleto atto IV, scena VII
2 Non fidarti, mia cara sorella, non fidarti, e tieni la retroguardia del tuo affetto! Le dice Laerte, mettendo in guardia la sorella.
3 Laccioli per beccacce – dice Polonio, che ordina alla figlia di tenere a freno la sua passione, di moderare i suoi sentimenti.
RACCONTAMI
“Nononna”
raccontami con verbi perduti
intrecciati alle parole chiare
d’uncinetto e incanto
fili morbidi a snodarsi nei timpani
scie di lucciole a posarsi
negli occhi di stupore –
“li cundi andichi”che sbocciavano
come fiordalisi nel lume dei tuoi anni.
Impasta “lu cr’scendu”
con lacrime d’orazioni
farina di frumento
gemme di sale contadino
e sorrisi liberi al focolare –
della bimba che fosti lasciami succhiare
mungitura calda e fatica nei campi
sentieri di briciole per pettirossi
infreddoliti sulla terra materna
nei filari spinosi di quel destino
che ti strappò il figlio maturo dal grembo.
Delle “Janare” a crepare nei boschi
ridotte dai padri padroni a serve
seppellite in letti disfatti di ricchi mariti
raccontami la ribellione
stacca il canto dal letto di morte
fanne alba di nuovi carmi
dimmi chi fu quella che disse “No”
al contratto discinto della violenza
e fuoco divampò a incendiare
le vie delle processioni ai Santi? –
La bocca che da te si nutriva
nel cucchiaio storto d‘amore devoto
impilava conserve spirituali
nel cuore adolescente
le avrei usate per le carestie d’incanto
di questo presente disincantato.
INDACO
Inganna l’indaco
smargina luce nei tuoi occhi
pianta voli e ritorni nei miei.
All’ombra preziosa della meridiana
so ancora meditare le parole
da non dire.
Nel palmo ho un giardino
di ninfee segreto dove cantano
cicale alle divinità dei sogni.
È stata quella nube piena
martire dell’inverno
a piantare radici dove c’era gelo
desideri dispersi che chiedevano asilo.
Di te ho respiri d’erba secca
che brucia ogni solstizio di primavera.
Scintille di poesia sulla lingua
veloci richiami per quella bimba
capelli d’angelo a ondeggiare
tra storia e riflesso.
Volevo solo chiamarti nell’ugola
ancora una volta
sentire la risacca della tua voce
che non contempli distruzione
alta marea che trapassa
dal muro della vita alle stelle.
NON VENNE LA NOTTE
Saziarsi di frammenti
scivolando lungo il crinale dei canti
turbini a disegnare profili
di spighe e malerba d’incanti.
Non venne la notte
a sacrificarsi nel silenzio
il tramonto restò acceso
a sfilarsi infinite volte nelle guance rosse
boccioli sospesi di sogni
ad assecondare cure all’insonnia.
Erinni a chiamare catastrofe nei tempi.
Usignoli a mutarsi in corvi
radici a nutrirsi di sabbia.
Laconici respiri a cullare la solitudine
dei perduti amanti.
TRADUZIONI
Desire was a child
astride the legs of life
it nourished itself on wooded paths and violets
content to dive into the womb of spring.
It reemerged at the full moon of gentle sighs
shiny gems feeding it nourishment.
Trembling slightly it burned down
to a candle reduced to a wreck.
Lutes of mist gave it rest
when the heart sought for a bed
softening wheat spikes of August.
Then came winter.
You had my heart in your eyes
Equinoxes of untied words
Demons to ravish silences
Hands to remove rust from my legs.
I passed through the whole valley of pants
while the moon kissed your forehead.
I wished I had heard
the only thing now tugging me
epochal as an unjust sentence
but never did the frost melt
from your tongue.
Let me love you
in the silence of white stone
as moss dwelling
in the shade of glycine.
Your absence is my companion. =
If in the crease of my smile I engrave a tear
nacre of women
the doubt of being air evaporates
reascends from my nose to the wrinkle
on my warm forehead
releasing nocturnal somersaults.
In the blonde rows shaken by the wind
I have collected lost worlds
desired in my escape from dramas.
Broken wings and weak soars
renewing the contract with nothingness
peat soaked by the dry weeping
of glycine.
And yet on my amber skin
I mask lightness
while the relentless mournful tenant
accompanies me to the tomb
of my best years.
It turns the key in my short life
and shuts in my hope of being
tomorrow.
(Traduzioni di Giuseppina Manganelli)