Massimo
PAROLINI
Massimo Parolini è nato a Castelfranco Veneto (TV) nel 1967 e vive a Trento. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Non più martire in assenza d’ali (poesie sulla guerra nella ex-Jugoslavia, Editoria Universitaria, 1994), La via cava (LietoColle, 2015), #(non)piove (poemetto su una giornata di rinascita di D’Annunzio e della Duse ai giorni nostri, LietoColle, 2018), L’ora di Pascoli (poemetto sulla riunione del nido della famiglia Pascoli a Barga, Fara Editore, 2020). Nel 2017 ha dedicato un ricordo in versi a Gloria e Marco, i due giovani fidanzati scomparsi a Londra nell’incendio del Grenfell Tower (https://www.youtube.com/watch?v=7UK9YodhAQw). Nel 2019 ha collaborato con l’artista Giuliano Orsingher nella mostra di arte ambientale “E-VENTO” (sull’uragano Vaia) con il poemetto Lamento per lo schianto (Publistampa edizioni-Fondazione Castel Pergine onlus). Collabora con alcuni blog letterari (Versante Ripido, Readaction Magazine, Casamatta). Ha pubblicato la raccolta di racconti Cerette (Fara Editore, 2020). Laureato in Antropologia filosofica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. È stato addetto stampa del Centro Universitario Teatrale (C.U.T.) di Venezia (fondato su iniziativa di Giorgio Gaber) per il quale ha scritto e rappresentato le commedie “Il medico della peste” e “Svevo e Joyce”.
POESIE
La vigna
——-a mia moglie, Sabina
Ho piantato una vite fragile, pensavi,
malata; non nutrivi
grandi speranze…
La guardavi, aspettando
qualche segno…
L’hai curata perché l’amavi,
volevi il fresco delle sue foglie,
il disegno dell’abbraccio pergolato;
volevi il succo dei suoi chicchi,
il rosso dell’uva fraga…
L’hai legata, ai pali, per dargli un dove,
con lacci morbidi, gommati…
Il fil di plastica, ti han detto, l’avrebbe strozzata…
Ogni giorno il filare avanza, l’uva
si matura… Tra non molto, ci darà l’ombra giusta,
bagnando l’arsura
—————————–del cretto d’ amore
Il padre prodigo
Forse perché della fatal pace tu sei la forma
che improvvisa mi investe in questa sera di dicembre
a me si caro vieni o padre
su questo marciapiede di confine
fra i resti di negozi pakistani
da riaffittare, compraoro spenti
e luminarie che invitano a un Natale
di pace, mercatini e viaggi organizzati…
Forse sei qui così
vivo e totalmente animato
come un cane sulla soglia di un pasto
morso dalla fame, a riscaldarti…
Conservo la tua giacca di pelo d’acrilico e
finta pelle: indossala mentre accendo la fiamma
della corona dell’avvento…
Lo so: un purgatorio in transito
o un paradiso estatico
cedi per un po’ di brodo tiepido,
un pane che si sbriccia, un bicchiere di buon rosso…
Attaccato a un tubo clinico
ti sei spento in un rantolo muto…
Adesso maceri gli acini
nel torchio del mio affetto
da un bordo bianco in cui cola il tuo vissuto
(mentre il lete è in agguato…)
Mi chiedi, dall’asfalto, un po’ di posto
in questa vita che hai condiviso:
l’unica dove hai urlato
l’unica dove hai riso_________
Del ricovero
Sono venuto a trovarti
senza avvertimento…
Nel parco alcuni
sono in piedi sull’erba
altri in carrozzina, sotto coperta…
Dentro, in zona baretto,
c’è chi gioca a carte,
forse a burraco…
Salgo, in ascensore…
Ti trovo seduta,
sul letto, con la tv accesa…
Parlotti (un po’)
fra te e te…
All’inizio non mi riconosci… la vista è fioca…
Poi ti rihai: ci parliamo… ti porto giù, al sole…
Saluti le cocorite in gabbia… Ogni tanto qualcuna muore, sai…
e resta a terra…
Parliamo… ricordiamo…nominiamo…
Un po’ ci vedo, sai, con quest’occhio… con la luce giusta…
quella pianta è in sofferenza, dici improvvisa…
sta morendo, vero? Mi sorprendi…
Sì, la vedo secca…
Forse è già andata… Sarà stata malata… Forse…
Dopo un’oretta
ti riaccompagno al piano, hai fretta di salire:
devo essere puntuale, sai…con la cena…
Manca più di un’ora! Aspetta un po’…
Ma poi ripeti… e ancora…
e ti accontento…
Stai attento, per strada, mi raccomando…
Stai serena, mamma, ci vediamo presto….
Vado al parcheggio
mentre l’aria si è fatta più fresca, più tagliente…
Mi fermo un momento, sul sedile, prima di avviare:
un giorno te ne andrai, oltre il parco
—————————————– senza voltarti
anche tu
senza avvertimento
Aylan
Si chiamava… Non ha più nome, è basso sulle ali
l’ennesimo caduto bocconi su una spiaggia qualunque…
cancella anche quello nel vomito del mare
l’occidente baumaniano nelle sue liquidità…
Rimane, ma per poco, una nuova
icona pop, virale in poche
ore, sui social coi “mi piace”…
Ei fu… Siccome immobile la spoglia immemore
la terra attonita al video sta…
Here lies one whose name was writ in water
Dormi, Aylan con tuo fratello Galip, con tua madre Rihan…
non dare ascolto, allegro bimbo curdo
di Kobane, su quella spiaggia
a tutti i senza terra che neanche il mare sa accettare…
un dio, impietosito, ti avrebbe mutato in corpo astrale:
oggi, invece, ti rendiamo -virtualmente- speciale…
All’ombra del verde melograno
fra un pianto antico ed un “i like” nuovo
rispuntano i fiori del dolore,
corolle oscure di un atro fondo
che nessun dio vuol più spiegare,
che nessun mondo -dietro al mondo-
potrà con un guizzo giallo illuminare…
Risorgive
——a Gloria e Marco, giovani vittime del Grenfell Tower
nel rumore d’elica che accompagna, spettrale, gli idranti nel silenzio
delle ultime fiamme nefaste dopo il grido lo strazio dell’abbraccio di Talo,
si eleva un fumo inutile, uno scarto che non giunge agli dei, dalla pira di cemento
e alluminio al ribasso, nel buio di una stele serrata dai chiodi di Efesto
là dove beltà splendea e sudate carte…
La vostra storia, oltre l’età fiorita: tatuaggi d’uncinetto nella nostra memoria lisa…
Ora, tornate… il vostrovisoluminoso bello bellissimo che dice Vita che ancora sei nostra e di tutti scorrerà da risorgive sulle zolle vangate come un seme di frutto
e la Bigia sull’Ontano porterà l’annuncio del passaggio
al Piro piro, alla Sterpazzola, alla Capinera
lungo il Muson dei Sassi e l’amico Tèrgola,
ad ogni ansa, in ogni golena dai pioppeti attenti;
nei fossi, nei meandri abbandonati, tra i giunchi neri della palude Onara
l’Airone cinerino e il Fischione faranno eco al vostro arrivo e i prati aridi
sentiranno l’alito di quel sorriso fresco che dice Vita, ancora,
e la torba limosa e le ghiaie e le sabbie si smuoveranno dal torpore
e l’Eufrasia sbatterà le sue ciglia mentre la poiana girerà nel vostro corridoio d’anime a lambire i mulini, le filande, le segherie alla veneziana,
e sarà ala al polline degli amenti e la calta, gialla, si aprirà
e dirà il vostro nome al sigillo di Salomone, nell’ombra,
se agitando timido le vocali foglie saprà commuovere la menta palustre
e così l’anemone nemorosa avrà brividi a stami e pistilli
e l’erioforo farà la sua parte sventolando in alto i piumini…
di nuovo () tornate, in tremiti continui sui sentieri degli Ezzelini, nel cammino di Sant’Antonio e poi giù, in lontananza, al di là del Brenta, fino al Livenza, accolti
dallo stridìo dei cocài, dal guizzo rosso della Scardola argentata, dal luccio dai denti taglienti: ad ogni stagione (per la nostra-vostra non dimenticanza) conforterete il paesaggio dal caìvo, sarete sagra del risveglio: non vi lasceremo in quella muta carcassa di piani affumicati… la vostra terra, che vi cuna,
ha bisogno di voi, del vostro sorriso acceso di giovinezza, che sciolga la bròsa,
di una discesa per scorciatoie assai precipiti, nel cono d’ombra del “vi aiuterò da lì”,
dal cielo dietro il cielo, terra_pece_terra_abbacinante di ogni mancamento,
sui tralci della vite che rifiorisce, sull’erba pena tajàda,
soe raìse, soe pàje seche, sol primo fén, soe soche, soe panòce, soa tera che boje, soa tera che jàza, soe visèe, sui fagàri, sui figàri, sui veci moràri sensa rami, ——sui nogàri, sui salgàri, sui campi de spighe,
soa tristessa de chi va, soe fadighe de chi resta…
Sempre, tornaré, alegri, a far nova la tera… Sarà l’ora pi bèa
quea dei vostri sorrisi lucentissimi, mai stuai dal fogo che no slùsega
Umani
—————————«Uomo sono: nulla di ciò che è umano mi è estraneo»
——————————————————–Terenzio, Heautontimorùmenos
Bardati con scafandri e mascherine
ombre bianche chine su un respiro
li abbiamo temuti o chiamati eroi
offrendo nel buio un violino lustrale
interferenza alle ambulanze
da un tetto in cemento di ospedale.
Pollici alzati applausi corali
sirene sincrone e abbracci virtuali:
nell’aria falcata da frecce tricolori
non c’è voce che non partecipi
all’ aureola da offrirgli in gloria…
Vogliamo martiri angelicati
forse profeti per rinnovare
il calendario da promemoria
ormai consunto di vecchi santi.
E se alla fine fossero solo
uomini e donne…
ma per davvero?
Che fanno bene il loro lavoro
che hanno il senso del loro dovere?
E non è, questa, noi ci chiediamo,
la natura sincera della parola: “umano”?
Clausure
Serviranno due soli
quando noi guariremo
dallo sciame che abbranca
e ora implode alle stanze
f—r—a—m—m—e—n—t—a—n—d—o—c—i—in—frode
Serviranno due soli
un fenomeno strano
di rara meraviglia
un cerchio di luce
di ventidue gradi
che giostra sul sole
formando allo sguardo
un alone——milioni
di piccoli esagoni
di ghiacci —sospesi
Serviranno due soli
dopo il graffio che striglia
due visioni roventi
a fiorire inattesi
come questa betulla
dalle dita mozzate
che ora splende di foglie
ma che ieri era brulla
Usciremo con foga
dalla vita sdraiata
verso un’aria di seta
chiederemo umilmente
ogni nome alle cose
e anche il loro perdono
mendicando alla luce
per resistere al lete
solo un bacio guardingo
sulle labbra negate
Nadìr
———————a mia figlia Laura, perché ognuno
——————————-nel suo andarsene rimane
Ora che vai
verso il verde dalle brughiere acceso
fra eriche e asperule
nelle colline umide di arcaiche liturgie
resta nelle stanze l’inciampo
delle sillabe masticate a stento,
il silenzio della parola rinviata
a dopo, in un vuoto angolato
per non cozzare, anima a riccio,
sulle parti molli aurorali
di lucentezza indifesa…
Resta l’eco lungo del tuo piede
che scende calcando il legno
del gradino, lo sguardo che si nega
nel rischio di uno scontro,
l’allegrezza al cellulare
se un trastullo ti rilassa…
Ora che vai
nelle acque tranquille
dei canali gaelici
a recitare un tuo diritto
al futuro, nella piega che si sconosce
allo specchio di una posa furtiva,
verso la vita che ti confessa
mentre sulla collina
fra un alone di nuvole
un ragazzo impalato
mira pensieroso
l’interminato spazio
e un’amica greca lo raggiunge
appena uscita da una buca
sgambettando un’ombra
e tu sei lo sguardo
che scrive con la luce
gli istanti degli altri
aspettando la scossa
che ti ridìa al tuo Nadìr
riaffluendo dal morso
di un sedimento aperto
dalla secca scorza
per rifiorirti addosso…
TRADUZIONI
The hour of Pascoli
(We lingered, for a while, where we were born again.)
(Oh you who are among the living
if only because I’m thinking of you…)
—————————————————-(dreams are the infinite shadow of the Truth)
Today, the rain. And an acrid smell
of smoke that smells of burning.
The black mass of clouds
over the rough Apuan Alps
dazzles from the West.
And yet, beyond the panes
a clamour of short wild cries
insistently rises:
tac tac tin tin
prit rere rere
sii sii sicceccè
scilp videvitt
Uid uid cu… cu…
hu hu Cincin…
Blackcaps robins house martins
goldfinches chaffinches stonechats
black sparrows swallows larks
cuckoos turtledoves great tits
(the countryside around resounds
with merry growls and long low moans)
answer each other, in different, discontinuous voices
flashing phonemes
of short lyrics…
Some, by the tower of Barga’s Cathedral
fill the gap of the kiss never given;
others stand on the Royal gate;
thrushes are whistling by the Theatre of the Differenti
where the Great Proletarian
is still resounding…
On the Medicean balls: a jumping,
on Garibaldi’s bust: a gliding,
above Bargeo’s bust: a circling,
above Mordini’s statue: a flight;
and on the Young Cedar of the Fosso,
sprouted from the Cedar in S. Mauro
which has died
–among the little shrikes –
and has always revived
you hear a robin and his light golden tinkle…
—
And again, at the convent of friar Francis
while the chaffinch, nimbly fluttering,
is singing my francis my francis
and its finkchink finkchink…
The faint light awakens
ceramic stigmata by the Della Robbia
and raises Our Lady of the Assumption to the altar.
Then, a thin mist, shrouds,
slowly, each thing: hiding
what’s near, hiding
what’s far…
(Translated by Francesca Diano)