RILEGGENDO ‘LA BARCA’ DI LUZI

RILEGGENDO ‘LA BARCA’ DI LUZI

Un deciso movimento di risalita, un “ricominciamento”. Mario Luzi, l’“estremo principiante” qui al principio. Con le poesie de La barca Luzi ventunenne debutta nel 1935. La sua disposizione di poeta esordiente verso la capacità evocativa della parola subito s’intreccia, stante il titolo, con la fiducia nella rappresentazione visiva di quanto costituisce per lui l’oggetto del fare poetico: la vita stessa considerata nel suo incessante fluire, nel suo dinamico e fatale trascorrere. Dalla barca di Luzi “si vede il mondo”, si scopre la vita, da soli e in compagnia di amici, di amici-poeti come ai tempi di Dante e dello Stilnovo. “All’editore Guanda non piaceva il titolo – scriveva l’autore a Piero Bigongiari –, ma io ho insistito su quello. È significativo e appartiene ad un oggetto reale senza essere fraseologico e troppo apertamente logico come lo sono anche i migliori e più concreti di questi ultimi anni: Realtà vince il sogno, Sentimento del tempo”. L’opzione è dichiaratamente rivolta – tra referenti betocchiani e ungarettiani – ad un lirismo non per simboli ma per segni concreti, ad un linguaggio che già aspira a farsi, precocemente, linguaggio della metamorfosi. L’antitesi individuo-cosmo, la grande problematica consegnata dalla modernità al Novecento, è da Luzi rimessa in gioco e rifusa nella poetica della “fisica perfetta”. La “barca di salvezza” di montaliana memoria sarà il luogo deputato di questa prima sintesi di esperienza ed esistenza, la dimensione purgatoriale da cui, scampati al naufragio – e Allegria di naufragi era stato il titolo dell’Allegria di Ungaretti –, tentare la fluviale risalita “dalle foci alle sorgenti”, il ricongiungimento a un unico “sospiro”. Il poeta “principiante” avverte l’importanza delle voci allora dominanti, ma va per la sua strada, suscitando semmai, nell’ammirazione per Betocchi, il primigenio Rimbaud e Mauriac, la dimensione di un rustico e pauperistico cattolicesimo di provincia che favorisce l’atto poetico: atto poetico – come puntualmente rilevava Giorgio Caproni nel recensire il libro – da ascrivere a un giovane uomo di fede. “Di questa pace interiore – notava Caproni –, cui solo un compiuto credente può giungere, è naturale riflesso anche la pacificazione dei modi esteriori; talché, in una prospettiva elegiaca ma umanamente sensibilizzata, già si potevano rintracciare “due distinti ma non contrastanti motivi: un radicato affetto per le cose, e il dolore che, con la coscienza della lor vanità, esse arrecano all’anima”. Le liriche della Barca, come avrebbe d’altronde chiarito in seguito Luzi stesso, “non ebbero all’origine alcunché di sperimentale o di scolastico, ma segnarono in termini persino troppo scoperti l’emozione di un primo contatto con la vita”. Un universo sentimentale di provenienza biografica sigla così, alla luce dell’arte senese e delle sue mirabili quintessenze, connotati e figure: madri, fanciulli “con lo sguardo profondo”, fanciulle “con le fronti pensose”, fragili donne e trepidi adolescenti, tutto un popolo di creature fissate in gesti e situazioni elementari, partecipi presenze di quella “naturale volontà” che è per Luzi segno cristiano e tellurico del mutamento. Una poetica è in atto, densa di sviluppi e fedeltà a lungo corso. Esemplificano, e ora più che mai commuovono, i versi iniziali di Alla primavera:  “In allegrezza le foglie cantano la loro resurrezione, / nel cuore della natura trema la dolce emozione / di risalire dentro i tronchi morti”.

Marco Marchi

Pioggiaobliqua

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