BASSANI POETA
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2. Ma riannodiamo il filo. Giorgio Bassani poeta. Anzi, dovremmo dire Bassani tout court, visto che lui stesso si è sempre definito “poeta”. Oggi una dichiarazione secca come questa “Sono un poeta, sostanzialmente un poeta” suonerebbe perlomeno curiosa. Perché? Perché i romanzieri di oggi non leggono più poesie, né tantomeno le scrivono (e si vede, verrebbe da aggiungere: vogliono tanto imitare gli americani, ma non hanno capito che probabilmente l’unico modo per dare velocità e icasticità alla propria prosa – velocità e icasticità così insite invece nella lingua inglese, mono e bisillabica – è usare le armi retoriche della poesia. L’italiano è lungo ed enfatico per natura. Lo si può sveltire solo con la poesia. Pena quella sensazione di ingolfamento, affaticamento, ingrippamento di tanta prosa italiana di oggi. Ma chiudiamo la parentesi e passiamo oltre.) Altre dichiarazioni che colgono Bassani in piena flagranza? Eccole, sparse in diverse sedi e decenni, tra interviste e appunti: “Chi ero, io, in fondo? […] Un poeta”; “Non pensare, anche tu, che il poeta sia soltanto colui che va a capo!”; “il consistere del minimo, del pressoché inesistente, accanto al sublime, mi fa sperare d’avere scritto dei libri che, in qualche modo, abbiano a che fare con la vita, con la vita nella sua realtà, e quindi con la poesia” ecc. Praticamente in ogni riflessione sulla scrittura fa capolino la parola “poesia”, come missione a cui essere intimamente fedeli. A tal punto fedeli da spingersi addirittura a dichiarare che “non avrei mai potuto scrivere niente se non avessi, prima, scritto Te lucis ante. In un certo senso è dunque questo il mio libro più importante”. La prima edizione di Te lucis ante, in effetti, è del 1947. All’epoca Bassani non ha pubblicato quasi niente (Una città di pianurasotto pseudonimo e i versi di Storie dei poveri amanti), ha 31 anni, e sta lavorando ad alcune delle Cinque storie ferraresi – date alle stampe soltanto nove anni dopo, nel ‘56. (Che c’entri Orazio, tra l’altro amatissimo da Bassani, e il suo nonumque prematur in annum?) E comunque, prima delle Cinque storie ferraresi, nel ’51 escono per Mondadori ancora delle poesie, Un’altra libertà. Insomma, la prosa viene cesellata e temprata al fuoco costante della poesia. Se le cadenze di pubblicazione, vediamo come la poesia accompagni a intervalli più o meno elastici la prosa: L’alba ai vetri esce nel ’63, un anno dopo Il giardino dei Finzi-Contini, Epitaffio è del ’74 e si cala in pieno negli anni della costruzione del romanzo di Ferrara, così come In gran segreto del ’78, fino alla raccolta definitiva di tutte le poesie, sorta di analogo poetico del Romanzo di Ferrara, dall’emblematico titolo In rima e senza del 1982. Dunque prosa e poesia si alimentano a vicenda, in un moto circolare, momenti in rima e momenti senza rima, due ventricoli di un unico cuore pulsante. Ai filologi il compito di stabilire cosa venga prima e cosa dopo, cosa abbia influenzato cosa. A noi il piacere di leggere i due momenti, in rima e senza, in un flusso continuo, suggestivo, atemporale. …