Luciana
FREZZA

Luciana Frezza è nata nel 1926 a Roma, dove è scomparsa nel 1992. I suoi libri di poesia sono: Cefalù ed altre poesie (Sciascia, 1958), La farfalla e la rosa (Feltrinelli, 1962), Cara Milano (Neri Pozza, 1967), Tempo di speranza (Neri Pozza, 1971), La tartaruga magica (Florida, 1984), Ventiquattro pezzi facili (Cominiana, 1988), Parabola sub (Empiria, 1990), Agenda (All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, 1994, postuma), Comunione col Fuoco. Tutte le poesie (Editori Internazionali Riuniti, 2013, postuma). Figura nell’antologia Donne in poesia (a cura di B.M. Frabotta, Savelli, 1976). Ha tradotto le poesie di Mallarmé, Laforgue, Nouveau, Verlaine, Baudelaire, Apollinaire, Proust.

https://it.wikipedia.org/wiki/Luciana_Frezza

POESIE

da AGENDA

Nostalgia
Chissà in quale
canneto di carta o verde
fantasma errante coorte
falciata alla radice
al di là di quali porte
nell’andito scuro di botteghe
in disuso dietro quale
muro di eluso rione
giace il piccolo corpo
di Amore dopo l’ordita
esecuzione.

Anni venti
Frantumata la coppia di levrieri
in amore le teste congiunte
come mani in preghiera o l’una
sull’altra affannosa
babele di carezze

guizzo unico il fianco
nell’irrimediabile
stretta del bianco
friabile bisquit.

Che ne farò
Che ne farò di Alma
ritta in shorts
statuaria cotta di soli
serica senza una scalfitura
della vita riguardosa
di lei ritta con due foglie
di alloro due sole tra le dita
della folta spalliera
farfalle vive per il pesce
che farò di lei ferma
che dà la Buonasera
tarocco entrato nel gioco?
(Vittoria apuana, Agosto 1991)

Alziamo i calici
Non crederli gigli appassiti
mi conforta anzi scintillanti
ancora i tuoi bicchieri alzati
voglia di gioia negata
impuntatura librata
per forza propria ape e fiore nell’aria
dove ancora salgono e il brutto
muso di lutto pret a porter che detestavi cade
come buccia dal frutto.

Spezzatura d’inverno
-Come invogliano
i fiori-
la vecchia signora con vista
annebbiata trascina
dolcemente il carrello
vogliosa della
nostalgia di quella
voglia più che dei fiori
che non fatica
hanno voluto me.

Bisenso
Il rogo ardente di Mosè era quasi
certamente un pozzo di petrolio
il petrolio è il prelievo
dai buchi dell’anima per farne poesia

il petrolio è pericolo
il petrolio è vicinissimo a Dio
da un capo della storia
ora dall’altro.

Felicità raggiunta si cammina
a Marisa Di Jorio

Qui il sogno lustra il pelo
uscito di clandestinità
muovendosi fa accadere pensieri
che si siedono ingombrando

il lungomare è ancora
un feudo sterminato che aspetta il suo signore

l’investitura cucita
alle spalle fluttuando
ombra in lungo di tulle
senza bagaglio sorpassa
verso il fondo apparizione.
(Vittoria Apuana, Agosto 1991)

Svendita
Arroccata pettinessa a filettature dorate
la specchiera a ciocche trafitte dall’alto spillone

a conchiglia comò di ragazza il primo cassetto
celò lettere e voglie gli altri matassine di seta

ravvolte in velina d’ore vuote e matasse
di lana o sogno trasmesso come un gene nell’impianto

di quel comò giustamente perché pieno di cose vane
nulla avesti, madre, o quasi, o altro.

La perfezione
a Vittorio Sereni

Nei party sull’erba
seminata di lustrini
pioggia recente o ventagli d’irrigazione
si possono comporre versi
nel padiglione di un orecchio
da sciogliere in riso
tintinnante col ghiaccio dei bicchieri

Ce n’è cose belle al mondo disse il sorriso
eppur muovendosi occhio
qua e là in perlustrazione
socchiuso affilato
sulla trama del tappeto sfumato
di sera dove l’errore
raccomandato

se è vera e quale
l’immunità promessa
da quel nonnulla di sbagliato se vale
anche per una qualche eternità.

Negativi
I contenitori di mistero anche se sono tuoi amici
li prenderesti volentieri a sberle

con sicumera apprendono festoni di frasi
ti addobbano di assurdità un locale estraneo

dove tempo dopo allo specchio dell’uscita
scoprì che hai fatto l’alba a ballare

circolano in borghese non esercitano
perché esercitano continuamente

hanno i loro guai non sono apostoli
gl’interessati li seguono come gatti di strada

rimuginando Non sa quello che dice il maledetto
e intanto imparano a memoria le frasi

le vecchie leggi di fisica scritte in corsivo
e il gabinetto degli esperimenti sempre in disuso

e in quel turbinio di palle da giocoliere
intercettano a volo la biglia che li riguarda

se piovono pugni sanno che è per farli rinvenire
mentre ignoravano di essere svenuti

se vengono afferrati e fatti passeggiare tutta la notte
con tazze di caffè e discorsi ripetitivi e insensati

è perché hanno voluto morire e possono riprovarci
ma prima di tradurre quel gergo bisogna obbedirgli.

Self-service
Raramente si coglie la seconda occasione
anzi è la riconferma che non si poté non si volle

il bene era lampante ma c’era nell’inerzia
di lasciarlo sparire un piacere misto al dolore

e piacere e dolore sono lo strascico ornato
il ricordo della veste con cui si presentò la prima

la seconda occasione trabocca di meraviglia
e un senso di fatalità approfondisce la gioia

eppure esterrefatti ci si astiene dal gesto
per prenderla un’identica pania lo impedisce

anzi il nuovo strato stendendosi sull’antico
prolifera infrenabile di nuovi no senza più chance

Vecchi distici
a Rosa “Bien loin d’ici”

Il mio nome inciso tra spini
su una pala di ficodindia stilla nel sole

la campanula turchina mostra il cuore
dagli occhi umidi delle ragazze fugate

la gaggia spogliata di tutti i suoi zecchini
vive la lunga bugia degli anni luce

la polla è un occhio verde che aspetta di nuovo
una mano che smuova l’argilla del suo fondo

i cori a bocca chiusa degli uliveti
incagliati in secche di silenzio

i sismografi della pace sono guasti
la capra bianca ha sradicato il paletto

la Morte lancia coccole dal cipresso
senza colpire il canto della fontana

la mano del bambino è di marmo
la nutrice è più piccola del suo fazzoletto

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