LA POESIA CREATURALE DI LUCIANA NOTARI
I libri di Luciana Notari pubblicati nell’arco degli ultimi quindici anni (Animanimalis, 1991; La vita è nella vita, 1994; Aiuole di città, 1997; Il destino della foglia, 2003, tutte confluite poi nella raccolta di tutte le poesie La pietà e la paura, Passigli Editore) disegnano un album della personale condizione, calato nel paesaggio umano e culturale della sua terra umbra. La parola fissa l’immagine, la sensazione, la scoperta, la riflessione, strappando il vissuto non solo al rischio della dimenticanza ma al buio dell’indifferenza e all’usurpazione della violenza. Nello spazio e nella prospettiva di una problematica ancora tutta esistenziale. Una poesia sospesa tra la natura, con i suoi elementi vivi, in carne e ossa, e la parola immaginosa e concreta ispirata dal naturale spirito religioso che aleggia dentro il mondo e che sembra colmare il dilagante vuoto di Dio. Le poesie di Luciana Notari tendono a significare una reciproca compenetrazione tra mondo umano e naturale. E lo fanno con una misura talmente precisa che la penetrazione (nel fondo oscuro, nelle sedimentazioni dell’animo e nel labirinto della mente) avviene attraverso la mappatura delle superfici, secondo un passo e secondo moduli che possiamo definire della messa a fuoco più nitida. Così che temi di vasta portata, e di costante implicazione esistenziale, si fissano in componimenti pieni di luce e di colori. I versi netti e rigorosi ci immettono, ogni volta di incanto, in una dimensione autoriflessiva che quasi inavvertitamente si interroga sul mistero delle cose e sul significato della vita mentre ne subisce il fascino, per la legge dell’inversamente proporzionale. E, come avviene esemplarmente nell’ultima raccolta Il destino della foglia (libro della maturità umana ed espressiva) il taccuino degli appunti e delle annotazioni è, insieme, l’album della memoria critica, l’almanacco della propria condizione e il diario delle pagine privilegiate trascelte a comporre (e a verificare, a interrogare, a mettere sotto processo) il senso di una vicenda e di una vita. Tema centrale in tutta la poesia di Luciana Notari è, a ben guardare e oltre l’apparente silenzio (che è, poi, la voce del segreto e del mistero), la morte: termine ineludibile del confronto, enigma esistenziale, l’altra faccia della medaglia, vuoto di assenza in cui precipitano errore e disguido, ma in cui si scioglie anche il doppio senso della vita. Perché l’orizzonte resta comunque aperto nella continuità ultraindividuale, in una dimensione che proprio l’improvvisa illuminazione poetica ci fa scoprire a un tratto con inattesa evidenza come indistruttibile. Esiste una condizione psicologica di confronto consapevole con il vuoto che assedia l’uomo e sottrae credibilità alle sue fedi, che in poesia si esprime come tentativo di restituire alle funzioni verbali la razionalità altrimenti, nella vita, insidiata e smarrita. Senza, con questo, inibire alla parola le virtù liriche, evocative, fantastiche; anzi, concentrandole e come allineandole alla retta obliqua che attraversa da una parte all’altra la propria personale esperienza di vita. È il caso appunto di Luciana Notari, in tutto il suo percorso poetico. Ma, rispetto al procedimento più “visionario” che caratterizzava le sue prime prove, l’autrice è andata ricomponendo la consistenza materiale delle cose e degli oggetti, degli animali e delle persone, proprio contro quello spettro del vuoto con cui si misurava la sua precedente poesia e attraverso il progressivo uso oggettivante e oggettivato dei “quadri”. Muovendo da una profonda esigenza interiore di comunicare agli altri la propria visione del mondo e della vita, Luciana Notari costruisce i suoi rigorosi quadri, mirando a isolare i tagli, le fessure, gli scollamenti, in cui si esprime e si dichiara il disagio del non-riconoscimento, del vuoto. Ma tale disagio, sia pure dentro i dubbi ed il malessere dell’esistente (ex-sistere è balzare fuori di sé), diviene condizione da cui prendere le distanze; e la liberazione, rituale e salvifica, compone la mappa appunto dei “quadri”, la serie di contrassegni che guidano la marcia verso la riappropriazione nel concreto e nel dettaglio dell’esistenza. C’è una valenza primaria e assoluta che agisce nel profondo dell’autrice prima ancora che nella sua poesia: la forza della vita. E la cosa si dichiara già nel suo secondo libro, La vita è nella vita, che è tutto attraversato dalla parallela contrapposizione di due presenze, di due figure, la madre e il padre. Figure che sono altrettanti simboli, ma anche altrettante parole, cioè altrettanti suoni (Mtr, implosivo, da cui mater, madre, e Ptr, esplosivo, da cui pater, padre), che si completano a vicenda ma anche si escludono a vicenda. Il loro incontro-scontro è in relazione con l’immagine, ricorrente nel libro, della pancia-caverna. Questo luogo che ci contiene prima del nostro venire alla luce e che, come tale, continuerà a contenerci sempre, anche dopo il taglio del cordone ombelicale e la consegna ad un altro contenitore, la casa, che ha il compito che ha avuto la pancia di nostra madre di preservare la nostra vita e di farla crescere. In una poesia di La vita è nella vita, questa situazione viene riassunta nell’immagine dell’animale domestico che dentro il recinto della casa si consegna a noi attraverso un gesto di assoluta fiducia, consentendoci di accarezzargli la pancia. È un procedimento di sinestesi per cui noi estendiamo la conservazione e la sacralità della vita agli animali. E la cerchia degli animali, domestici o no, è un’altra presenza ricorrente in tutta la poesia di Luciana Notari a partire dal primo libro Animanimalis fino all’ultimo Il destino della foglia, che estende il respiro comune della vita al mondo vegetale. Cosa importante, questa, non solo o non tanto per la capacità di pietas che l’autrice ha allargato dall’orizzonte puramente umano a quello animale e a quello vegetale; ma, per quanto qui ci interessa, in senso strettamente letterario e musicale per il respiro corale che l’incontro degli uomini e degli animali dentro il regno della natura porta nella poesia di Luciana Notari. Un respiro corale, coinvolgente e direi possente, che ha scarsi riscontri nella contemporaneità poetica italiana e che costituisce un’ulteriore ragione di inconfondibile originalità. Questa dimensione di poesia creaturale è poco praticata da noi, nonostante il tentativo di Francesco d’Assisi, che si sforzò di risalire anche letterariamente alla coralità degli esseri che respirano. Della “creaturalità” si è fatto interprete con ben altra forza il mondo orientale, ricco di una tradizione non solo di oralità o di astrazione di pensiero, ma di concreto agire quotidiano. Non solo i monaci buddisti filtrano l’acqua per evitare di inghiottire e di uccidere le spore o quegli altri esseri minimi che lì navigano e si muovono nella loro esperienza e avventura di vita, ma perfino i filosofi taoisti praticano la compartecipazione della vita assieme alle altre creature che respirano. L’attenzione che Luciana Notari ha nei confronti degli esseri che respirano è veramente a tutto campo. Ed è volta a inseguire e a pronunciare, sulla scena della poesia, la forza poderosa della vita. La vita, dunque, non come entità astratta, cioè come riflessione di pensiero, ma come trafila di attimi pulsanti, di respiri. La vita è nella vita, dunque, secondo il titolo della seconda raccolta, che è un assunto generale di tutta l’esperienza dell’autrice, la cui vocazione in tal senso si esplica addirittura a partire dalle “aiuole di città”, per citare il titolo di un’altra sua raccolta, la terza in ordine di tempo. La vita è nella vita, come capacità di dichiararsi da parte degli esseri che respirano con una forza che è una forza formidabile, capace di sopravanzare tutto. Perfino l’abisso di vuoto sul quale la vita riposa. Una vita che è in grado di abbarbicarsi proprio sull’orlo dell’abisso e lì attecchire, mettere radici e produrre lo slancio in avanti. Ecco, dunque, i motivi originali (e riconoscibili come suo marchio personalissimo) della poesia di Luciana Notari. Lei che, oltre tutto, è capace sul piano della scrittura di una semplicità e di una precisione che convivono in una luce radente e tagliente. Una luce che mette a nudo le cose per amarle, senza bisogno di volontà consolatoria e senza aloni di nostalgia. In una poesia che definirei perfino antielegiaca e che fa pensare, come possibile riferimento e antecedente, al più dimenticato e bistrattato dei nostri poeti del Novecento, Umberto Saba. Nel segno di una limpidezza crudele dentro la dimensione creaturale, dove la crudeltà è esclusivamente formale e serve a mettere in rilievo, a valorizzare appunto, quella pietas di cui si diceva. Proprio come in Saba, anche nella poesia di Luciana Notari le vicende del soggetto si appellano continuamente al mondo come contesto, come sede di quel flusso esistenziale da cui solo contingentemente si distacca l’io individuale. Cosa che, tra l’altro, crea l’intreccio costante di lirismo e racconto, di aulicità del ritmo e quotidianità del lessico. Ai diversi registri espressivi corrisponde una materia autobiografica densa e angosciata, in una continua scissione tra l’apparente facilità delle parole e la profondità delle analisi, la potenza dei sentimenti portati alla luce. In particolare, proprio nei testi che affrontano i rapporti tra le persone, i legami di sangue e di affetto, di passione e d’amore. Testi liberi da qualsiasi tentazione idilliaca e la cui inquietudine e drammaticità appaiono riassorbite (riscattate e salvate) dentro il grande alveo naturale della creaturalità. Con l’effetto di quella carica d’amore della quale Luciana Notari investe anche in poesia le persone, gli animali, le piante, le cose incontrate nella sua vita.