L’INVENTARIO DI UMBERTO VICARETTI

L’INVENTARIO DI UMBERTO VICARETTI

… Questo tripartito Inventario di settembre (Blu di Prussia) di Umberto Vicaretti, che si offre come prezioso scrigno di sicura e alta poesia, invita -già dal titolo- alla dovuta riflessione e cautela esegetica, consegnandoci una prima chiave interpretativa. “Inventario” infatti è parola di ampio significato, che include, in felice e variabile ambiguità, i concetti di ricerca, rilevamento, classificazione, enumerazione, descrizione, valutazione; “settembre”poi è il mese dell’equinozio d’autunno, del tramonto dell’estate, ma allude anche all’autunno della vita: stagione di raccolta, certo, però anche occasione di bilanci, per mettere ordine nei conti. Da questi emerge un attivo radioso in termini di umanità e, quel che più conta, di un’arte piena e matura, la quale ha il magnifico pregio di un raggiunto e dosato equilibrio, che ha quasi valenza identitaria, tra νοῦς e λόγος, tra il pensiero (sospeso tra filosofica saggezza e fremiti di passione) e la sua espressione, cui si piega e obbedisce una ricchezza e padronanza verbale in grado di offrire al lettore un prodotto artistico inesauribilmente accattivante, vero, genuino, perché genuina e vera è la commozione di questo mirabile creatore; e anche bella e intensa, come è la sua voce dai toni ora teneri e lirici, ora vibranti ed epici, ora assorti e meditabondi. E tutto questo perché Vicaretti, come i poeti autentici, sta saldamente nella vita, l’abita con partecipazione, consapevolezza e un pizzico di dolceamara ironia, ne sa la precarietà, il dolore, la violenza, ma ne testimonia anche il fascino e l’amore; e la vive come un viaggio, un esodo verso la Terra Promessa (La Terra irraggiungibile) in un tripudio di affetti -specialmente familiari (bordeggiano il mito le figure del padre e della madre, vivida e soave appare quella di Maria)- spesso segnati da graffiante sofferenza; di luoghi consegnati all’amorosa e vigile memoria di colui che, bambino, fu superbo re dei vicoli e del vento; e di altri luoghi che, visitati dalla furia di belve umane, rompono gli argini del cuore e reclamano la voce dolente e solidale del poeta (Fiori di Londra, Fiori di Madrid…) ; di personaggi e vicende, di istanze sociali e civili che, trascurati dalla futile e gretta realtà odierna, cercano – e trovano per merito di questa sensibilissima penna – degna ed elevata espressione. In Vicaretti ogni verso è uno svelamento, una realtà poetica in sé e che quasi vive, come pure potrebbe, per sé, una corposa e densa creazione, in cui si aggrumano insospettate pregnanze semantiche e indicibili venustà. E ciò perché egli, per lunga militanza letteraria e artistica, è perfettamente consapevole di quanto sia necessario, non solo in poesia, il labor limae o, quanto meno, il tentativo di dire fedelmente l’attimo dell’illuminazione, della scintilla creativa: per ragioni di serietà, perché all’arte apollinea non si addicono improvvisazione e velleitarismo. Per finire, una confessione: considero Umberto Vicaretti poeta di grande e indiscutibile validità. Tra i viventi uno dei migliori, superiore a tanti già famosi i quali, rispetto a lui, possono vantare il grande privilegio di avere alle spalle una casa editrice di grido. E la sua poesia incarna quella classicità -sintesi, armonia, misura- che è degli spiriti eletti e che il Flora definisce come morale e verbale; che non conosce barriere spazio-temporali, né scuole o salotti e conventicole letterarie; che, insomma, canta la vita nella sua perfetta nudità e, perciò, in tutto il suo drammatico e inconfutabile splendore. Dove s’annida la fragranza della rosa, primo fiore di un’autentica raccolta di fiori.

Pasquale Balestriere

Postfazione

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