Tiziano
ROSSI
Tiziano Rossi è nato nel 1935 a Milano, dove vive. I suoi libri: Da talpa imperfetta (Mondadori, 1968), Dallo sdrucciolare al rialzarsi (Guanda, 1976), Quasi costellazione (Società di poesia, 1982), Miele e no (Garzanti, 1988), Il movimento dell’adagio (Garzanti, 1993), Pare che il paradiso (Garzanti, 1998), Gente di corsa (Garzanti, 2000), Tutte le poesie (Garzanti, 2003), Cronaca perduta (Mondadori, 2006), Faccende laterali (Garzanti, 2009), Spigoli del sonno (Mursia, 2012), Qualcosa di strano-Raccontini (la Vita Felice, 2015) e Piccola orchestra-Antifavole e dicerie (prefazione di Stefano Raimondi, La Vita Felice, 2020). Ha curato un’antologia di opere del Foscolo (Club del Libro, 1965) e, con E. Krumm, l’antologia Poesia italiana del Novecento, (Skira, 1995).
https://it.wikipedia.org/wiki/Tiziano_Rossi
POESIE
da TUTTE LE POESIE
NONNO
Caro nonno, che di me nipote
più non ti ricordi (sono
venuto al mondo dopo il Trentaquattro),
che mi dici figliolo o pressappoco
nel tuo scuro farnètico e gli sbagli, e
parli appena di trincee e di fuoco.
Ecco – la vedi? – questa è la trapunta,
così si chiama, e adesso fa’ attenzione
a come la federa s’apre e s’infila. O ancora
tu t’imbuchi là a Nervesa (la battaglia
sotto le troppo sue bombe) o a Doberdò
nel fumo stranita e caduta?
Di tanto si è ritratta la tua vita
tutta in un puntino, per fare resistenza:
che difesa scarnita in questo tempo
sempre di ghiacci, di afflitti letarghi;
ma tu, di certo, hai cominciato nello stento
un’altra specie di combattimento
da qualche spelata dolina…
E il colloquio è finito, radunare gli straccetti.
ZIO
Qui bene si staglia in due fotografie
dritto su un prato secco,
e somigliava a uno spago, bisognoso di nulla.
Si spera che sereno sia arrivato
ad altre solitudini,
porgendo l’orecchio a quello che non c’è:
mio zio col cappello, che poco lavorava
e gli piaceva solamente la musica e
con uno strumento faceva dolci suoni.
Ora rilucono di più le sue manie:
teneva un elenco dei genetlìaci, seguiva
notturno i lavori tranviari,
spesso si intruppava con dei cani.
La sua storia malcerta qui finisce
(sai le persone, isole che camminano)
e quale evviva potremmo gridargli
noi, venuti al tempo di cose mondiali,
di stirpi in smisurato espatrio.
STANZA
Quatte le nevi si avvicinavano
e rovente la stufa nell’angolo bolliva,
tua madre il violino sognante suonava,
tuo padre – che tutto ammirava – a quelle belle
arance sulla tavola esclamava: “che rosso!”.
E c’era lo zio Pino così grosso che ridendo
nel corridoio cascava, e più non si levava;
e tu chino su storti disegni, i pensierini
di gennaio o i re di Francia. Era
in questa maniera che combaciava la sera.
Pulita miniatura di una stanza e
da non disistimare,
perché la bellezza viene anche da distanza;
e ciascuno – se tu guardi – è ancora là
come pupazzo di stoffa stupito
nella sua discreta eternità.
SCOIATTOLO
Tu mansueto destino, camminante fortuna,
stelo piegato nelle guerre e raddrizzato,
inciampo che non cascava, sorriso che mai
non naufragava,
aiutami, papà.
Tu basco, pipetta e via andare
contento del colore di una pera,
tu e le tue tinte così azzurre sulla malta,
fatto di carezze discrete sulla malta, di malta,
di cavernose locande, e canoniche in quel gelo,
di sandali svelti e pulitezza,
pittore scoiattolo, lontano, impicciolito,
spoglia passione senza cruccio,
nonnulla che intorno aleggiava.
Adesso perlustro il terreno, la più scarna
tua Lombardia,
a cercare i granelli di riso che a cento
piano piano hai lasciato cadere,
tu Pollicino, e senza neanche sapere:
mio arrovellato inseguimento.
da MIELE E NO
GATTO
Il tempo cruciale, il più arduo svanire;
e il gatto malato per dissenteria
(roba maligna) scenderà per dove
dormono i morti senza suffragio.
Perciò ha azzerato qualunque movimento
-risorsa elementare, tecnica pertinente-
il caro, saggio mucchietto di ossa. Tuttavia
cosa vuoi che gli dica, e anche lui del resto…
I suoi baffi non sono più gran che,
il pelo gramo rabbrividisce;
e poi sta ognuno dentro sé recluso:
nocciolo inarrivabile.
Ci si sbalestra da tutti i focolari,
però questa volta niente insegnamenti,
se non la tua felina
signorilità, la poca lagna.
da GENTE DI CORSA
(BAMBINA Q.)
Con la matita trabiccola traccia
sul foglio una linea, la strada,
poi la prolunga, ancora e ancora,
ancora più lunga: chiede dove vada.
(BAMBINO B.)
Rincorre il pallone, l’intero creato,
impara come dirigere il piede,
quello strapotere delle inerzie,
i rimbalzi di un mondo che succede.
(BAMBINO O.B)
Rovista lo zainetto, interne masserizie,
detriti di tram, foglietti in sofferenza
ed un fiammifero: tesoro scarso
centrifugo come il suo cuore; e di già arso.
(BAMBINA Z.U)
“Non io stata, non stata”, si difende
e stende avanti le dieci dita:
stancante aurora, primi artifici
per dirottare i fratelli, un pò nemici.
(SAMANTHA A.)
Lontano da cemento e granoturco
la discoteca mulina potente.
E ad alto ritmo, bevendo luci,
col corpo guizza su dall’epoca carente.
(COSTANTINA G.)
Piange a quel film, fatto a strappacuore,
dove tradita è l’estetica, assente la misura
e malrisposta perciò la commozione.
Ma è la sua storia, la sua storpia direzione.
(SIGNOR RELONDI)
Vuole capire questo metamorfosare,
s’intestardisce sui giornali e la politica
e beve la tivù, meditabondo,
per dileguarsi almeno gravido del mondo.
(SIGNORA MOLTASI)
Dalla poltrona sventola la mano:
“Come stai bene, come sei cresciuto !
Tu sei mio figlio, oppure mio nipote ?”
Ma poi le basta l’uno lì venuto.