PROSA E POESIA IN CARDARELLI

PROSA E POESIA IN CARDARELLI

… La critica, nei confronti di Vincenzo Cardarelli, presenta discordanze a prima vista inconciliabili. Ormai acquisita è la possibilità della sua collocazione storica nel lungo capitolo, scarsamente evolutivo, della “prosa d’arte”; che è capitolo essenzialmente italiano, sicché egli appare situato in disparte, oggi più che mai, da un contesto letterario di portata europea. Ma anche nei confronti della nostra letteratura, Vincenzo Cardarelli si adoperò involontariamente a farsi considerare un caso isolato: favorì questa classificazione la sua stessa condotta di vita, non solo orgogliosamente di élite, ma dopo la fine della Ronda sempre più chiuso in sé e nel suo lavoro solitario, mentre disorientarono certe sue perentorie affermazioni teoriche, spesso male interpretate. Romani osserva: “Nell’opera di Cardarelli non è possibile isolare uno scritto o un gruppo di scritti confermando loro il valore di un campione rappresentativo, e non è neppure possibile definirlo un poeta o un prosatore, senza rompere l’interna unità che cementa da un capo all’altro la sua produzione letteraria. Questa unità interna è appunto il suo stile”. Il fatto è che la sua opera, nelle soluzioni più valide, siano pure le più esteticamente raffinate, nasce da uno spirito inquieto e turbato in sincronia con i tempi, e da quella visione dolente del mondo che si accentuò sempre più col passare degli anni. Il problema più frequentemente dibattuto è quello della preferenza da accordare al prosatore o al poeta. I primi critici optarono senza incertezze per il prosatore e in questo furono aiutati dal corso contemporaneo della letteratura e del gusto. Gargiulo vede nel prosatore “la facoltà dominante di concentrazione e rigore espressivo”; De Robertis, con sottili dimostrazioni, afferma che “nacque prosatore, e la sua prima poesia, sempre un poco più alta del giusto, spesso irrisolta, fu preparazione alla prosa”, fu “un ineguale tessuto prosastico riccamente punteggiato con, a volte, risoluzioni fulminee”. Occorre però ricordare che il De Robertis distingue la prosa d’arte dalla prosa poetica: Vincenzo Cardarelli possiede dunque il gusto della prosa d’arte “con un’aura, un respiro, misurando il passo del suo cursus, che in nessuno dei moderni è così sensibile”. Ferrata vede in Cardarelli ora il poeta in prosa, ora il poeta in versi con questa asserzione conclusiva a proposito della raccolta di Poesie da lui curata: “il lettore vero troverà nelle Poesie, oggi in Opere (Mondadori), una confessione più decisa, generalmente, e disperata di quanto ha potuto lasciargli intendere un riassunto della poesia in prosa”. Romani non vede soluzioni di continuità tra opera in versi e opera in prosa, pur riconoscendo che “ha trovato la sua esatta misura nelle prose di memoria e nelle elegie evocative”. Sempre Romani discute acutamente su di un altro aspetto dell’opera di Cardarelli: quello delle doppie e qualche volta triple redazioni di un medesimo motivo con soluzioni differenti in prosa e in versi, che già il Macrì aveva riconosciuto come una delle leggi interne; Romani propende a scorgervi esercizi di stile che non escludono l’ispirazione: un cammino particolarmente arduo, questo delle variazioni su di un medesimo tema, per puntare più in alto. E in questo consisterebbe anche un aspetto determinante della funzione storica di Cardarelli nella nostra letteratura: al punto di rottura fra due epoche egli sarebbe appunto riuscito a “conciliare la tradizione e l’ordine letterario con lo spirito di novità e di ricerca”.

Treccani

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